Van Groot parte con l’osservare
che esiste un’antica tradizione per la quale quando c’è il diritto non c’è la
guerra e viceversa. Egli cita a sostegno di questa tesi numerosi autori
classici a cominciare da Tucidide.
H. van Groot, Prolegomeni al
diritto della guerra e della pace, par. 3
Tanto piú è necessaria
quest’opera, perché non mancano oggi come in passato coloro che spregiano
questa parte del diritto, come se di essa non avesse realtà che il vano nome.
Corre su quasi tutte le bocche il detto di Eufemo riferito da Tucidide, secondo
cui per un re o per uno Stato sovrani nulla che sia utile è ingiusto: il quale
ricorda l’altro, che afferma che, per i potenti, la giustizia si identifica con
la forza, e che gli Stati non possono essere governati senza ingiustizia. Per
di piú, le controversie che sorgono tra i popoli o i re hanno senza dubbio per
arbitro Marte. L’opinione che la guerra sia estranea al diritto non è soltanto
del volgo, ma è convalidata dalle parole che spesso sfuggono persino a persone
colte e sagge: nulla di piú frequente invero della contrapposizione del diritto
alle armi. Anche Ennio infatti disse: “Non mediante il giudizio, ma con le armi
rivendicano le cose loro”; e Orazio cosí descrive la tracotanza di Achille:
“Dice che per lui non esistono leggi, e tutto rimette alle armi”. Ed un altro
poeta ci presenta un guerriero che nello scendere in guerra parla cosí: “Ecco
che mi lascio dietro la pace e le leggi violate”. Antigono il vecchio derise un
uomo che a lui, che assaliva le città altrui, presentava un’opera sulla
giustizia; e Mario diceva che il fragore delle armi gli impediva di udire la
voce delle leggi. Pompeo stesso, dall’aspetto tanto mite e modesto, giunse a
chiedersi: “In armi, come potrei pensare alle leggi?”.
H. van Groot, Prolegomeni al
diritto della guerra e della pace, Zanichelli, Bologna, 1961, pagg. 24-25