Voltaire, Pascal e l’antropologia

A)

Voltaire affronta in piú occasioni il confronto con il pensiero di Pascal sul tema dell’antropologia. Egli sceglie Pascal fra gli avversari perché è il pensatore cristiano che stima di piú. Iniziamo con un brano tratto dalla Lettera XXV, aggiunta alle Lettere filosofiche.

Voltaire, Lettere filosofiche, Lettera XXV

 

Rispetto il genio e l’eloquenza di Pascal; ma proprio per ciò sono persuaso che avrebbe egli stesso corretto molti dei suoi pensieri, che aveva buttato a caso sulla carta riservandosi di riesaminarli in seguito: ed è proprio ammirando il suo genio ch’io combatto qualcuna delle sue idee.

In generale, ho l’impressione che Pascal abbia scritto i pensieri nell’intento di mostrare l’uomo in una luce odiosa. S’accanisce a dipingerci tutti malvagi e infelici. Scrive contro la natura umana all’incirca col tono con cui scriveva contro i Gesuiti. Attribuisce all’essenza della nostra natura ciò che appartiene solo ad alcuni uomini. Ingiuria eloquentemente l’intero genere umano. Perciò oso prendere la difesa dell’umanità contro questo sublime misantropo; oso affermare che non siamo né cosí malvagi né cosí infelici come egli dice;

Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1968, vol. XIV, pag. 529

 

B)

Quello del peccato originale è l’argomento di un altro grande “campo di battaglia”, sul quale gli illuministi s’impegnarono a fondo. In questa lettura nonostante l’atteggiamento canzonatorio, Voltaire non riesce a celare un vero e proprio disprezzo per la Bibbia e per la teologia cristiana. Da notare anche il tipo di razionalità che viene utilizzato per criticare la dottrina cristiana. Il suo pensiero viene espresso in forma dialogica.

Voltaire, Osservazioni sui Pensieri di Pascal, Dialoghi e incontri filosofici, Dialogo XXI, Secondo incontro, Sull’anima

 

B. I vostri discorsi parvero ai buoni cattolici romani una prova che siete posseduto dal diavolo; ma io sarei curioso di sapere come questa idea, che un essere infinitamente buono faccia venire al mondo tutti i giorni milioni di uomini per poi dannarli, abbia potuto entrare nei cervelli.

A. Per un equivoco, come la potenza papista è fondata su di un gioco di parole: “Tu sei Pietro e su questa pietra stabilirò la mia Chiesa” (Matteo XVI, 18).

Ecco l’equivoco che condanna tutti i bambini piccoli. Dio proibisce a Eva e a suo marito di mangiare del frutto dell’albero della scienza che egli aveva piantato nel suo giardino; egli disse loro (Genesi II, 17) “Il giorno che ne mangerete, voi morrete”. Essi mangiarono e non morirono affatto. Al contrario Adamo visse ancora novecentotrent’anni. Bisogna quindi intendere la parola in un altro modo, si tratta della morte dell’anima, della dannazione. Ma non viene detto che Adamo fosse dannato; quindi sarebbero stati i suoi figli ad esserlo; e come mai questo? il fatto è che Dio condanna il serpente, che aveva sedotto Eva, a marciare sul ventre (perché prima voi vedete bene che camminava con i suoi piedi); e la razza d’Adamo fu condannata ad essere morsa al tallone dal serpente. Ora il serpente è visibilmente il diavolo; e il tallone che morde è la nostra anima. “L’uomo schiaccerà la testa del serpente  quando potrà” (Genesi III, 15); è chiaro che qui s’intende il Messia, che ha trionfato del diavolo.

Ma come mai egli ha schiacciato la testa del serpente, lasciando nelle sue mani tutti quei bambini che non sono stati battezzati? Ecco il mistero. E come mai i bambini sono dannati, perché il loro primo padre e la loro prima madre avevano mangiato del frutto del loro giardino? Ecco qui un altro mistero.

C. Vi fermo lí. Non è a causa di Caino che noi siamo dannati, e non per Adamo? perché sembra che noi discendiamo da Caino, se non mi sbaglio, dal momento che Abele morí senza essere sposato; e mi sembra che sia piú ragionevole essere dannati per un fratricida che per una mela.

Voltaire, Dialoghi ed incontri filosofici, in Oeuvres complètes, Librairie de Firmin Didot Frères, Fils et C., Paris 1874, Tomo VI, pag. 681 [traduz. G. Zappitello]

 

C)

Ancora sul peccato originale. Secondo Voltaire, se la dottrina cristiana fosse vera, gli uomini sarebbero molto piú cattivi di come sono. Anzi essi non sono cosí cattivi, come si vuol far credere probabilmente per scopi di potere, cioè per dominarli meglio. Gli orrori, come la notte di S. Bartolomeo, sono solo eccezioni.

 Voltaire, ABC, Se l’uomo è nato cattivo e figlio del diavolo

 

C — Se ci rifletto, riconosco che il genere umano non è cosí malvagio come va gridando certa gente nella speranza di metterlo sotto la sua fèrula. Costoro somigliano a quei chirurghi i quali suppongono che tutte le dame della Corte siano affette da quella vergognosa malattia che frutta tanto denaro a chi la cura. Malattie ce ne sono, è vero; ma l’intero universo non è nelle mani della Facoltà di medicina. E ci sono grandi delitti, ma rari. […]

Ci sono province, come la Turenna, dove da centocinquant’anni non si è commesso un solo grande delitto. A Venezia, sono trascorsi piú di quattro secoli senza che nella sua cerchia avvenisse un moto sedizioso o un’assemblea tumultuosa; e ci sono in Europa mille villaggi dove, da quand’è finita la moda di scannarsi per la religione, non si è piú commesso un omicidio: i contadini non hanno il tempo di sottrarsi ai loro lavori; le moglie e le figlie li aiutano, cuciono, filano, impastano, infornano; tutta quella brava gente ha troppo da fare per nutrire cattivi pensieri. Dopo un lavoro piacevole, perché necessario, essi consumano un pasto frugale condito con l’appetito e cedono al bisogno di dormire per ricominciare il giorno successivo. Per loro, temo soltanto i giorni di festa, cosí risibilmente consacrati a salmodiare, con voce rauca e discorde, del latino che non capiscono e a perdere il senno nelle taverne: cosa di cui s’intendono anche troppo. Lo ripeto: se non tutto è bene, tutto è passabile. […]

C — Sono contento di quanto mi avete detto: io penso che la natura dell’uomo non sia del tutto diabolica. Ma perché allora si dice che l’uomo è sempre portato al male?

A — L’uomo è portato al suo benessere, che è un male solo quando l’uomo opprime i suoi fratelli. Dio gli ha dato l’amore di sé, che gli è utile; la benevolenza utile al suo prossimo; la collera, che è pericolosa; la compassione, che la disarma; la simpatia verso molti dei suoi compagni, l’antipatia verso altri. Molti bisogni e molta industria, l’istinto, la ragione e le passioni: tale l’uomo. Quando sarete degli dèi, cercate di farlo conforme a un modello migliore.

 

E. Chiari, Voltaire e il concetto di filosofia nel pensiero moderno, G. D’Anna, Messina-Firenze, 1981, pagg. 414-415