Il
filosofo inglese analizza e critica il concetto aristotelico di sostanza. Egli
ritiene che essa consista “nell’essere un sostrato degli attributi” e lo spazio
non ha a che fare con la sostanza, ma solo con gli attributi.
A. N.
Whitehead, The Concept of Nature, trad. it. M. Meyer, Il concetto della natura,
Einaudi, Torino, 1975, pagg. 16-21
Le congetture di Platone usano un linguaggio assai piú immaginoso dell'analisi sistematica di Aristotile; ma per alcuni aspetti sono piú apprezzabili. Il profilo generale della sua teoria è affine a quello della scienza moderna. Comprende concetti che qualunque filosofia della natura deve prendere in considerazione e in qualche modo spiegare. Aristotile pone la questione fondamentale: che cosa si deve intendere per “sostanza”? E a questo proposito l’intervento della sua logica nella filosofia riesce davvero disastroso. Nella sua logica il tipo fondamentale di proposizione affermativa consiste nell’attribuzione di un predicato al soggetto. Di conseguenza, fra i molti significati correnti del termine “sostanza” che egli prende in esame, dà risalto a quello di “sostrato ultimo, non piú predicabile di altro”.
L'accettazione dogmatica della logica aristotelica ha portato agli estremi la tendenza di postulare un sostrato per tutto ciò che si rivela nella sensazione, cioè di ricercare al di là di quanto percepiamo la sostanza nel senso di “cosa concreta”. È questa l'origine del moderno concetto scientifico di materia e di etere, ossia essi sono il risultato di questo persistente abito mentale di postulazione. [...]
Cosí l'origine della concezione della materia è la conseguenza dell'accettazione dogmatica dello spazio e del tempo come condizioni esterne per l'esistenza della natura. Con questo non intendo dire che non sorgano dubbi sullo spazio e sul tempo come componenti della natura. Voglio soltanto dire che “lo spazio e il tempo sono stati inconsciamente presupposti come ciò dentro cui è posta la natura”. Esattamente è questo il genere di pregiudizio che colora il pensiero in qualunque reazione contro le sottigliezze del criticismo filosofico. Secondo la mia interpretazione della formazione della teoria scientifica della materia, la filosofia ha in primo luogo illegalmente trasformato il mero ente, che è semplicemente un’astrazione necessaria al processo del pensiero, nel sostrato metafisico di quei fattori della natura che in diversi sensi vengono riferiti a enti come loro attributi; e, in secondo luogo, gli scienziati (inclusi i filosofi che erano anche scienziati), per cosciente o incosciente ignoranza della filosofia, questo sostrato, in quanto sostrato degli attributi, lo supposero nondimeno situato nello spazio e nel tempo.
Il che costituisce evidentemente un equivoco. L'intero essere della sostanza consiste nell’esser un sostrato degli attributi, e quindi spazio e tempo dovrebbero essere attributi della sostanza. Ma evidentemente non possono essere attributi, se quale sostanza della natura si assume la materia; poiché è impossibile esprimere enunciati spazio-temporali senza richiamarsi a relazioni che implicano termini ben diversi dai frammenti di materia. Non insisto oltre su questo punto e passo a un altro. Non la sostanza è nello spazio, ma gli attributi. Quel che ritroviamo nello spazio è il rosso della rosa, il profumo del gelsomino e il rombo del cannone. Tutti ci siamo trovati nel caso di indicare al dentista dov'è il nostro mal di denti. Quindi lo spazio non è una relazione fra sostanze, ma fra attributi.
E allora, anche se si ammette che si possa concepire la sostanza come materia, è tuttavia un errore collocare la sostanza nello spazio, con la scusa che lo spazio esprime le relazioni fra le sostanze. È ormai ovvio che lo spazio non ha nulla a che fare con le sostanze, ma solo coi loro attributi. Intendo dire che, se si presume – e, a mio avviso, a torto – di costruire la nostra esperienza della natura come percezione degli attributi delle sostanze, questa teoria ci impedisce di ritrovare qualunque analoga relazione diretta fra le sostanze attraverso il loro rivelarsi nella esperienza. Non potremo ritrovare che relazioni fra gli attributi delle sostanze. Cosí se la materia è concepita come una sostanza nello spazio, lo spazio in cui essa si trova non ha nulla a che fare con lo spazio della nostra esperienza.
La critica precedente è stata espressa nei termini della teoria di uno spazio relativo. Ma se lo spazio fosse assoluto – cioè se possedesse un'esistenza indipendente dalle cose che lo occupano – il corso della nostra argomentazione dovrebbe cambiare ben poco. Poiché le cose nello spazio devono possedere una certa relazione fondamentale con lo spazio. Questa relazione io la chiamo “occupazione”. E quindi vale ancora l'obiezione che nella relazione spaziale noi osserviamo gli attributi e non le sostanze.
Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991,
vol. I, pagg. 599-600