La vita
accademica è un vero azzardo. Quando dei giovani studiosi vengono a chiedere un
consiglio sull’abilitazione, la responsabilità che ci si assume nel darglielo è
quasi insostenibile. Se poi si tratta di un ebreo, non si può che dirgli:
lasciate ogni speranza. Ma anche agli altri va chiesto in coscienza: credete di
poter sopportare di vedervi passare avanti anno dopo anno una mediocrità via
l’altra senza amareggiarvi e corrompervi l’animo? Ovviamente si ottiene ogni
volta la medesima risposta: senz’altro, giacché questa è la mia vocazione
professionale [Beruf]. Io però ho visto solo pochissimi sopportare questa
situazione senza danni interiori.
[Max Weber, “La scienza come professione”, Rusconi, Milano 1997, p. 75]