Vi ricorderete di quella meravigliosa immagine all'inizio del settimo libro della Politeia di Platone: quei cavernicoli incatenati, il cui viso è rivolto alla parete di roccia davanti a loro - dietro di loro sta la fonte di luce, che non possono vedere - si occupano perciò solo delle immagini d'ombra che essa getta sulla parete e cercano di stabilirne il nesso. Finché uno di loro riesce a spezzare le catene, e si volta e si accorge: il sole. Abbagliato, brancola intorno e parla balbettando di ciò che ha visto. Gli altri dicono che è pazzo. Ma a poco a poco egli impara a guardare nella luce e allora è suo compito scendere fra i cavernicoli e condurli in alto alla luce. Egli è il filosofo, ma il sole è la verità della scienza, che sola non rincorre illusioni ed ombre, bensì il vero essere.
Ebbene, chi oggi si pone così, nei confronti della scienza? Oggi, piuttosto, il sentimento della gioventù è proprio l'opposto: le costruzioni di pensiero della scienza sono un regno sotterraneo di astrazioni artificiose, che cercano di prendere con le loro mani smagrite il sangue e la linfa della vita effettuale. Ma è qui nella vita, in ciò che per Platone era il gioco d'ombre sulle pareti della caverna, che pulsa la realtà effettuale. Il resto sono spettri senza vita, astratti da questa e null'altro. Come si è consumato questo cambiamento? L'entusiasmo appassionato di Platone si spiega, in ultima analisi, perché allora per la prima volta si era scoperto consapevolmente il senso di uno dei più grandi mezzi del pensiero scientifico: il concetto. [...] Qui per la prima volta sembrò a disposizione un mezzo con cui stringere chiunque nella morsa della logica, così da non lasciarlo uscire senza ammettere o di non sapere nulla, o che questa e non altra è la verità, l'eterna verità, che non sarebbe mai trascorsa come l'agire e l'indaffararsi degli uomini ciechi. Fu questa la straordinaria esperienza che si schiuse ai discepoli di Socrate. E sembrò seguirne che, se solo si fosse trovato il corretto concetto del bello, del buono, o anche del coraggio, dell'anima e così via, se ne potesse cogliere anche il vero essere, e questo sembrava di nuovo aprire la via per sapere e per insegnare: come agire giustamente nella vita, soprattutto come cittadini. Infatti per i greci, che pensavano in una maniera completamente politica, tutto dipendeva da questa questione. Perciò si coltivava la scienza.
(Max Weber, La scienza come professione)