Perché vi è, in generale, l’essente e non il nulla? Ecco la domanda. Non si tratta, presumibilmente, di una domanda qualsiasi. È chiaro che la domanda: “Perché vi è, in generale, l’essente e non il nulla?” è la prima di tutte le domande. Non certo la prima per quanto riguarda l’ordine temporale. I singoli, e anche i popoli, si pongono una quantità di domande nel corso del loro sviluppo storico attraverso i tempi; affrontano, esplorano, indagano ogni sorta di cose prima d’imbattersi nella domanda: “Perché vi è, in generale, l’essente e non il nulla?”. Capita a molti di non imbattersi addirittura mai in una simile domanda, né di chiedersene mai il significato: dato che non si tratta di fermarsi alla pura e semplice enunciazione, sentita o letta, della frase interrogativa, ma di formulare la domanda, di farla sorgere, di porla, di immettersi nella necessità di questo domandare. Eppure, capita a ciascuno di noi di essere, almeno una volta e magari piú d’una, sfiorato dalla forza nascosta di questa domanda senza tuttavia ben rendersene conto [...]. Essa è tuttavia sempre la prima in un altro senso: per il suo rango. Ciò risulta evidente da un triplice punto di vista. La domanda: “Perché vi è, in generale, l’essente e non il nulla?” reclama il primo posto anzitutto perché è la piú vasta, in secondo luogo perché è la piú profonda, infine perché è la piú originaria. Si tratta della domanda di piú vasta portata. Essa non si ferma ad un ente qualsiasi, ma investe tutto l’essente nel suo senso piú lato, né si limita al dato attuale, ma riguarda anche quanto è stato per l’addietro e sarà in futuro. L’estensione di questa domanda non incontra nessun limite se non in ciò che non è né sarà in alcun modo, ossia nel nulla. Tutto ciò che non è un nulla ricade sotto questa domanda, ed infine lo stesso nulla: non già perché esso divenga qualcosa dal momento che ne parliamo, ma perché “è” il nulla. La nostra domanda è di cosí vasta portata che non sapremmo oltrepassarla. Essa non verte su questo o su quell’ente in particolare, né sull’intera serie degli enti, ma sull’essente in toto, o, come vedremo meglio piú avanti, sull’essente nella sua totalità come tale. Per il fatto che questa domanda è la piú vasta, è anche la piú profonda. “Perché vi è, in generale, l’essente...?”. Chiedere perché è come chiedere: quale ne è la ragione, il fondamento (Grund)? Da quale fondamento l’essente proviene? Su quale fondamento si basa? A quale fondamento risale? La domanda non concerne questo o quell’aspetto dell’essente, né il suo essere qua o là, né come è fatto o come può risultare modificato o venire utilizzato, e via dicendo. Il domandare mira al fondamento dell’essente in quanto essente. Cercare il fondamento significa indagare la ragione, investigare. Tutto ciò che viene investigato si rapporta al fondamento. Solo che, per il fatto dello stesso domandare, rimane incerto se questo fondamento sia veramente fondante, se realizzi la fondazione, se sia un fondamento originario (Ur-grund); ovvero se questo fondamento rifiuti la fondazione, se sia assenza di fondamento (Ab-grund); o se, infine, non sia né una cosa né l’altra, ma presenti solo un’apparenza, forse necessaria, di fondazione, costituendo cosí solo un non-fondamento (Un-grund). Comunque sia, la domanda va in cerca di una risposta decisiva perseguendola in un fondamento che fondi, giustifichi l’essente come tale in ciò che esso è. Tale domanda sul perché non ricerca, per l’essente, cause della stessa natura o poste sul medesimo piano di esso. Essa non si muove su di un piano indifferente o solo in superficie, ma penetra nella zona piú profonda, proprio fino all’ultimo, fino al limite: rifuggendo da qualunque superficialità e appiattimento tende al profondo, cosicché, oltre che come la piú ampia, si presenta nel contempo, fra tutte le domande piú profonde, come la piú profonda. Infine, in quanto è la domanda piú ampia e profonda, si presenta anche come la piú originaria. Che cosa si deve intendere con questo? Se ci si rende conto di tutta l’ampiezza di questa domanda, che problematizza l’essente come tale nella sua totalità, apparirà chiaro che essa non concerne in alcun modo questo o quell’ente singolo in particolare. Ciò che noi intendiamo considerare è proprio l’essente nella sua totalità, senza alcuna preferenza particolare. Tuttavia c’è un essente che si fa avanti sempre di nuovo con insistenza in questo domandare: quello degli uomini stessi che pongono la domanda. Pure, in questa domanda, non deve trattarsi di un qualche ente particolare. In ragione della sua portata illimitata tutti gli enti per essa si equivalgono. Un qualunque elefante in una qualsiasi foresta vergine dell’India è altrettanto essente che un qualsiasi processo chimico di combustione sul pianeta Marte, o quel che si voglia. Se intendiamo dunque perseguire nel suo vero significato e fino in fondo la domanda: “Perché vi è, in generale, l’essente e non il nulla?”, bisogna evitare di porre in primo piano un ente particolare, anche l’uomo. Perché, che cos’è in fondo quest’essente? Raffiguriamoci la terra nell’Universo, per entro l’oscura immensità dello spazio. Al suo confronto, essa è come un minuscolo granello di sabbia fra il quale e il piú prossimo granello della stessa grandezza si estendesse un chilometro e piú di vuoto: sulla superficie di questo minuscolo granello di sabbia vive un ammasso caotico, confuso e strisciante, di animali che si pretendono razionali e che hanno per un istante inventato la conoscenza [cf Nietzsche, Sulla verità; la menzogna in senso extramorale, 1873, opera postuma]. E che cos’è mai l’estensione temporale di una vita umana nel giro di tempo di milioni di anni? Appena uno spostamento della lancetta dei secondi, un breve respiro. Non sussiste alcun motivo perché, per entro all’essente nella sua totalità, si debba porre in primo piano quell’essente chiamato uomo, alla cui specie noi stessi per caso apparteniamo.
Martin HEIDEGGER, Einfürung in die Metaphysik; trad. it., Introduzione alla metafisica, Mursia, Milano 1990, p. 13-16.