ANTIOCO
A cura di Marco Machiorletti
Antioco nacque ad Ascalona fra la fine degli anni trenta e l’inizio degli anni venti del II secolo a.C. Fu a lungo discepolo di Filone di Larissa. Dopo aver abbandonato Atene insieme a Filone si recò ad Alessandria con Lucullo, ove soggiornò fra l’87 e l’84 a.C. Fece in seguito ritorno ad Atene e divenne capo degli Accademici. Nel 79 a.C. , durante la dittatura di Silla, Cicerone si trasferì ad Atene, dove seguì, per alcuni mesi, le lezioni di Antioco. In seguito, Antioco seguì Lucullo, in occasione della seconda guerra mitridatica in Siria, e nel 69 a.C. assistette alla battaglia di Tigranocerta. Morì poco tempo dopo.
Nessuna opera di Antioco ci è pervenuta.
Antioco, che fu a lungo discepolo di Filone, si era staccato dallo Scetticismo di Carneade prima che il maestro partisse per Roma e che mutasse con i due libri ivi scritti le posizioni scettiche dell’Accademia.
Furono anzi essenziali le stesse critiche di Antioco al fine di smuovere l’originario Scetticismo di Filone. Ma, mentre Filone si limitò ad affermare l’esistenza del vero oggettivo senza avere il coraggio di dichiararlo senz'altro anche conoscibile dall’uomo e ponendo in luogo della certezza la probabilità positiva, Antioco fece il gran passo con cui si chiuse definitivamente la storia dell’Accademia scettica, dichiarando la verità non solo «esistente» ma anche «conoscibile» e sostituendo alla probabilità la certezza veritativa.
Sulla base di tali affermazioni, egli poteva ben presentarsi come il restauratore del vero spirito dell’Accademia: uno spirito che era in antitesi con quello che ispirava le tendenze inaugurate da Arcesilao e da Carneade, e che, contro il parere di Filone, egli non riteneva in alcun modo con esso conciliabile né mediabile. Come si ricorderà gli Scettici nascevano come eredi del messaggio platonico: ma di quest’ultimo, rigettando il discorso sulle Idee, mantenevano soltanto quello sulla natura, che come è noto Platone aveva liquidato come ambito dell’opinione e dell’incertezza, non afferrabile dalle leggi della ragione. Di qui il dubbio universale fatto valere dagli Scettici.
Tuttavia, alle aspirazioni di Antioco non corrisposero effettivi risultati: nell’Accademia non rinacque affatto Platone, bensì un intruglio eclettico di dottrine.
Egli era convinto che Platonismo e Aristotelismo fossero una identica filosofia e che esprimessero semplicemente gli stessi concetti con nomi e con linguaggio differenti. Ma – e proprio questo è particolarmente indicativo – Antioco giunse addirittura a dichiarare la stessa filosofia degli Stoici sostanzialmente identica a quella platonico-aristotelica e differente solamente nella forma.
Di conseguenza, certe innegabili novità degli Stoici furono da lui giudicate non altro che miglioramenti, completamenti e approfondimenti di Platone.
Antioco pretese di portare a compimento l’opera di restaurazione della vecchia Accademia, recuperando Crisippo e non Platone, tant’è che non esitò a respingere la gnoseologia platonica, e dunque anche la dottrina delle Idee sulla quale essa si fonda.
Antioco, che, per un certo tempo, alla Scuola del primo Filone aveva udito le idee scettiche dell’Accademia, si trovava nelle migliori condizioni per criticarle, conoscendole bene dall’interno, nelle loro intime motivazioni.
Egli rileva sostanzialmente come i due obiettivi fondamentali, la cui possibilità di raggiungimento tutti gli Scettici avevano contestato, ossia il «criterio della verità» e «la dottrina del sommo bene», siano in realtà irrinunciabili per chiunque intenda presentarsi come filosofo, e pretenda di avere qualcosa da dire agli uomini. Lo Scettico, col suo dubbio sulle nostre rappresentazioni (cioè sul criterio della verità), rovescia ciò su cui l’esistenza umana si basa.
Da un lato, negato il valore della rappresentazione, rimane compromesso anche il valore della memoria e dell’esperienza, e quindi conseguentemente la possibilità stessa delle diverse arti (che nascono dalla memoria e dall’esperienza).
Dall’altro lato, negato il valore del criterio, cade qualsiasi possibilità di determinare che cosa sia il bene, inoltre cade la possibilità di stabilire che cosa sia la virtù, e quindi di fondare un’autentica scienza morale.
Senza una salda certezza e una salda convinzione circa il fine della vita umana e circa i compiti essenziali da assolvere, l’impegno morale si vanifica.
Né, secondo Antioco, ci si può trincerare nell’ambito del mero «probabile», perché, senza il criterio distintivo del vero, sarà impossibile ritrovare anche quello del probabile. Infatti, se fra rappresentazioni vere e false non è possibile operare una distinzione, mancando esse di una differenza specifica, non sarà nemmeno possibile stabilire quale rappresentazione sia vicina o prossima al vero o meno lontana da esso. Pertanto, per salvare il probabile, si dovrà reintrodurre il vero, perché, per stabilire se una cosa sia più o meno vicina o lontana dal vero, occorre sapere che cosa sia il vero: proprio in ciò sta la rottura col probabilismo di Carneade.
E neanche sarà possibile sospendere in qualsiasi caso l’assenso. Infatti l’evidenza di certe percezioni naturalmente comporta l’assenso, e in ogni caso, senza l’assenso noi non potremmo avere né memoria, né esperienza e, in generale, noi non potremmo compiere alcuna azione e per conseguenza tutta la vita si bloccherebbe.
Inoltre, non si potrà dare colpa ai sensi di ingannarci. Quando gli organi sensoriali non siano guasti e le condizioni esterne siano adeguate (come già Aristotele aveva sottolineato), i sensi non ci ingannano e quindi non ci ingannano le rappresentazioni. E non vale richiamare, come argomenti in contrario, i sogni, le allucinazioni e simili: queste rappresentazioni, infatti, non sono fornite della medesima evidenza rispetto alle normali rappresentazioni sensoriali. Anche la validità dei concetti, delle definizioni e delle dimostrazioni è innegabile. Lo attesta l’esistenza stessa delle arti, inconcepibili senza di essi.
Al limite, lo dimostrano gli stessi ragionamenti degli Scettici, che possono avere un senso solo nella misura in cui hanno un senso concetti e dimostrazioni.
Infine il dilemma con cui Antioco mise in crisi Filone, costringendolo ad abbandonare Carneade: non si può ammettere ad un tempo: a) che alcune rappresentazioni siano false e b) che fra rappresentazioni vere e rappresentazioni false non esista una differenza specifica che le contraddistingua.
Se si ammette la prima affermazione, cade la seconda; se si sostiene la seconda, cade la prima. Insomma, secondo Antioco, messo alle strette, lo Scetticismo deve a poco a poco riconoscere inesorabilmente le verità negate.
Purtroppo, se Antioco si mostra acuto nella critica allo Scetticismo (e ciò che abbiamo riportato è solo un saggio dei numerosi argomenti da lui addotti), si mostra invece quanto mai deludente nella proposta dell’alternativa positiva che dovrebbe riempire il vuoto aperto dallo Scetticismo.
In logica egli non si scosta sostanzialmente dagli Stoici, e in particolare da Crisippo.
Anche in fisica Antioco ripropone idee stoiche. Ma quel che più stupisce è la sua pretesa che queste siano anche sostanzialmente le convinzioni di Platone e di Aristotele. Né le cose migliorano quando si passa all’etica: l’uomo deve vivere seguendo la natura, anzi conformemente alla sua natura, che consiste nella ragione. In ciò sta la virtù, che è il sommo bene.
Hanno però torto gli stoici nel sottovalutare il corpo e quanto è connesso al corpo. Infatti, basta, sì, la virtù alla felicità, ma non alla «perfetta felicità». Hanno dunque in parte ragione anche i Peripatetici nel ritenere che alla perfetta felicità concorrano anche i beni materiali. Inoltre, Antioco attenua i paradossi dell’etica stoica e tempera la pretesa che il saggio sia impassibile.
È, questo, un tipico esempio di «eclettismo dogmatico», che accosta idee di estrazione diversa, senza saperle unificare.
Pertanto, l’Accademia restaurata non poteva aver lunga vita né andare molto lontano: in realtà, Antioco non aveva fatto altro che mascherare, sotto le proprie insegne, le dottrine del Portico.