Pubblicazioni recenti
Monografie
- L’agonia dei partiti politici, Rubbettino, Messina, 1999.
- Credere dopo la filosofia del secolo XX, Armando, Roma, 1999 (trad. tedesca, Monaco, 2001).
- Destra e sinistra: due parole ormai inutili, Rubbettino, Soveria Mannelli, Messina, 1999.
- Liberali: quelli veri e quelli falsi, Rubbettino, Messina, 1998.
- Trattato di metodologia delle scienze sociali, Utet, Torino, 1997.
- Storia della filosofia (in coll. con G. Reale), voll. 3, La Scuola, Brescia,199931; opera tradotta in spagnolo, portoghese e russo.
Introduzioni
- Introduzione all’edizione italiana di F.A. von Hayek, "La presunzione fatale", Rusconi, 1997.
- Introduzione a L. von Mises, "Liberismo", Rubbettino, Messina, 1997.
- Introduzione a F.A. von Hayek, "L’abuso della ragione", Seam, Roma, 1997.
- Introduzione e traduzione di K. R. Popper, "Tutta la vita è risolvere problemi", Rusconi, Milano, 1998.
Antologie
- Friedrich A. von Hayek (in coll. con L. Infantino), tradotto anche in russo, Rubbettino, Messina, 1998.
La metodologia (o teoria della scienza o epistemologia) consiste in quel complesso di indagini destinate a rispondere a domande come queste: “Cosa fa il ricercatore quando fa ricerca ? Come procede? E da dove parte? In che modo si distingue il suo discorso da quello di un filosofo, da quello di un moralista o da quello dell’uomo religioso ? - Che cosa vuol dire spiegare scientificamente un fenomeno? (…) Che ruolo gioca la fantasia nella ricerca scientifica ? Qual è il rapporto fra teoria ed esperienza? Come si fissa un protocollo? L’errore quale funzione svolge nello avanzamento della conoscenza scientifica ? E se nella scienza nulla vi è di certo (in quanto la storia della scienza è la storia di teorie superate, di teorie cioè confutate), cosa vorrà allora mai dire che la scienza è oggettiva ? E infine, in che consiste la prova di teoria ?” (1) L’insieme di risposte a queste e simili domande si chiama metodologia o epistemologia. Tutto ciò ci porta alla teoria generale della conoscenza scientifica, vale a dire all’epistemologia. Per Antiseri le teorie di fondo (2) dell’epistemologia si possono sintetizzare in alcune tesi:
1 Tutta la conoscenza scientifica è ipotetica e congetturale.
2 L’accrescimento della conoscenza scientifica consiste nell’imparare dagli errori che abbiamo commesso: in primo luogo osando commetterli - proponendo arditamente teorie nuove - e, in secondo luogo, andando sistematicamente alla ricerca degli errori mediante la discussione critica e l’esame critico delle nostre idee.
3 Gli esperimenti sono costantemente guidati dalla teoria, da mezze idee teoriche, di cui spesso lo sperimentatore non è consapevole, da ipotesi sulle fonti possibili di errori sperimentali, da speranze o congetture intorno a quello che sarà un esperimento fruttuoso.
4 L’obiettività scientifica consiste soltanto nell’approccio critico. Sarebbe un errore pensare che gli scienziati sono più “obiettivi”. A farci tendere alla oggettività non è l’obiettività, o il distacco, del singolo scienziato, ma la scienza stessa, o quello che possiamo chiamare la cooperazione allo stesso tempo amichevole e ostile fra gli scienziati, cioè la loro prontezza a criticarsi reciprocamente. Il metodo della scienza è il metodo della discussione critica, ed è estremamente importante che le teorie critiche siano difese tenacemente.
5 La parte fondamentale che nella scienza hanno le teorie, le ipotesi, o congetture, fa sì che sia importante distinguere fra teorie controllabili, o falsificabili, e teorie non controllabili o non falsificabili.
6 Così si può dire che ogni teoria che possa essere sottoposta a controlli vieta che certi eventi accadono. Una teoria parla della realtà empirica solo nella misura in cui le pone limiti. 7 Nessuna teoria può dirci qualcosa intorno al mondo empirico, a meno che non sia in linea di principio in grado di entrare in collisione con il mondo empirico; e ciò significa, esattamente, che deve essere confutabile.
8 La controllabilità ha gradi: una teoria che asserisca di più, e dunque assuma rischi più grandi, è controllabile meglio di una teoria che asserisca molto poco.
9 I controlli possono essere graduati secondo che siano più o meno severi. Ad esempio, i controlli qualitativi sono, in linea generale, più severi dei controlli quantitativi. 10 L’approccio critico è collegato con l’idea di sottoporre a controlli, ossia di tentare di confutare, o di falsificare, le congetture.
In campo medico il discorso del metodo è stato sempre rilevante: il medico attento vede mutare, nel corso della sua esperienza, teorie e terapie; e vede questo fatto meglio di chiunque altro in quanto la medicina, scienza tipicamente interdisciplinare, ingloba, per le sue spiegazioni, teorie fisiche, chimiche, biologiche. Queste teorie mutano, si commettono errori ma si cerca di correggerli. Anche in Italia si è intensificato, soprattutto in questi ultimi anni, l’influsso del pensiero di K.R.Popper, il noto filosofo di origine viennese, professore emerito dell’Università di Londra. Popper è figura di primo piano ormai in tutto il mondo. La forza delle sue teorie ed argomentazioni è tale da aver provocato un vero terremoto, e non solo nel campo dell’epistemologia e nell’ambito della teoria politica. E’ un fatto notevole per la storia del pensiero richiamare alla memoria il “fallibilismo” di Popper, la concezione, cioè, che nella conoscenza nulla vi è di certo e che noi andiamo avanti per tentativi ed errori. E quando, più di recente, il pensiero di Popper ha cominciato a diffondersi, sono stati i medici e i biologi (molto prima degli stessi filosofi) a rendersi conto della validità e dell’estrema rilevanza della filosofia di Popper, per una seria impostazione della metodologia della ricerca. Nel 1978 è stata pubblicata dall’editore Armando di Roma l’“autobiografia intellettuale” di K.R.Popper con il titolo “La ricerca non ha fine” (3). Si tratta di un libro tradotto in molte lingue che ha rappresentato un grande evento per la cultura internazionale. Le idee di Popper rappresentano forse lo sviluppo più importante nella filosofia del ventesimo secolo. Dario Antiseri (4) - anche più di Marcello Pera - è l’autore che più di ogni altro ha fatto conoscere in Italia e all’estero l’opera di Popper.
1] Inciampiamo in qualche problema;
2] ne tentiamo la soluzione proponendo, ad esempio. Qualche nuova teoria;
3] impariamo dai nostri errori, specialmente da quelli a noi svelati dalla discussione critica.
Per dirla in tre parole: problemi, teorie, critiche. “La ricerca inizia sempre da problemi, pratici e teorici. E chi è più in grado di provare né stupore né sorpresa è per così dire morto; i suoi occhi sono spenti. E’ questa l’opinione di Einstein. Ma è ovvio che noi inciampiamo nei problemi (e in questi piuttosto che altri) perché siamo una memoria, siamo eredi di una tradizione in evoluzione. E quando un pezzo di realtà urta contro una aspettativa incastonata nella nostra memoria, allora insorge un problema. Un problema è sempre un’aspettativa delusa (14). La ricerca parte dai problemi. Ma per scoprire la verità dobbiamo imparare a sognare, perché non c’è nessun metodo logico per avere nuove idee. Dobbiamo tentare, immaginare, costruire ipotesi, inventare mondi possibili con la speranza che uno di questi mondi riesca a rendere conto del frammento di realtà affiorato con il problema” (15). L’aggancio tra mondo possibile (costituito dall’ipotesi) e realtà viene decretato nel processo della prova. Le ipotesi vengono provate. La prova consiste in severi tentativi di smentire o falsificare la soluzione proposta. Vogliamo smentire le ipotesi, perché desideriamo trovare in esse degli errori. Vogliamo trovare degli errori il più presto possibile per poterli eliminare subito proponendo teorie migliori, più simili al vero, più ricche di contenuto informativo e quindi più controllabili. L’esperimento e l’osservazione sono il tribunale dell’immaginazione teorica. Esperienza è il nome che ciascuno di noi dà ai propri errori. Nella scienza si va avanti perché non si sbaglia mai due volte allo stesso modo. Ogni giorno, nella ricerca scientifica, si corregge un errore, si migliora la verità, ogni giorno erriamo meno della vigilia e impariamo a sperare di fare meglio del domani. Problemi, teorie, critiche: sono questi i punti cardinali della logica della ricerca. Se le cose stanno così, anche lo storiografo della scienza dovrà partire dalla ricostruzione congetturale di stati problematici oggettivi, per poter successivamente capire la rilevanza delle teorie proposte come soluzioni dei problemi, e passare, infine, all’analisi dei tipi di prove addotte pro o contro le teorie proposte. Certo, la scienza, oltre ad una logica, ha anche una storia. Nella storia della scienza ci sono più cose di quante se ne possono supporre nella logica della scienza. “Problemi - teorie - critiche: è questa la logica della ricerca scientifica e, simultaneamente, lo schema evolutivo della scienza. Ma dove sono i problemi dell’insegnamento delle scienze ? In genere, i problemi, nell’insegnamento delle scienze non esistono. E, quando esistono, sono in fondo al testo, stampati in corpo minore, concepiti come il banco di prova di quanto di teorico un alunno avrebbe dovuto apprendere senza motivazione alcuna. Eppure, è chiaro che non si danno risposte se non si pongono domande” (16). Per questo, bisogna partire dai problemi dei ragazzi e offrire o cercare teorie per la soluzione. Se una comunità scolastica avrà inciampato in problemi entusiasmanti non ci sarà pericolo né del nozionismo né del “ricerchiamo”. Sono i problemi e le teorie, infatti, che hanno il potere di vivificare una nozione o una informazione irrilevante. Un problema e una teoria trasformano una nozione qualsiasi in una nozione rilevante o importante: rilevante per il problema e per la conferma o la smentita di quelle teorie in competizione. D’altro canto, l’epistemologia ci indica la via di un sistematico sfruttamento pedagogico dell’errore. La storia della scienza è la storia di errori individuati e poi eliminati e in primo luogo commessi. Occorre dunque avere il coraggio di sbagliare se vogliamo andare avanti, se vogliamo risolvere i problemi. Se amiamo la verità, dobbiamo amare di essere criticati e di criticare. Per tutto ciò la scoperta di un errore, dovrà essere salutata da un momento di gioia. Non ogni verità, infatti, ci indica una via da seguire, ma ogni errore ci indica una via da evitare. Non c’è da vergognarsi dei propri errori; c’è invece da vergognarsi del desiderio di coprire l’errore, della volontà di immunizzare le nostre teorie dalla critica. Il metodo scientifico ci fa distinguere l’ameba da Einstein (17). Il metodo non è da confondersi con le tecniche di prova o, come spesso si dice, con le metodiche. Proprio su questo ultimo punto occorre insistere un po’ perché resta proprio qui la sorgente di continue confusioni. Il metodo della ricerca, infatti, non è da confondersi con le tecniche di prova. Queste variano da ambito ad ambito, anzi da problema a problema, ma il metodo resta unico. Le tecniche di prova mutano da ambito ad ambito, da disciplina a disciplina. Di più: mutano da problema a problema (combinandosi e disgiungendosi). Eppure, le teorie delle diverse discipline (fisica, filologia, chimica, sociologia, biologia, economia, psicologia, ecc.) le diciamo tutte scientifiche, pur provandole con tecniche o metodiche o mezzi diversi, se rispettano i canoni del metodo scientifico. Il metodo scientifico è unico. E’ costruibile una teoria unificata del metodo o della metodologia scientifica. Nella scienza non ci sono semi-dei. Non c’è garanzia contro l’errore. Possiamo sempre sbagliare. Andiamo a caccia dei nostri errori per migliorarci. I nostri errori, infatti, sono i segnali di senso vietato sul difficile sentiero che ci porta fuori dall’oscurità della caverna.
Interdisciplinarità
“Ad evitare pseudo-problemi sarà bene dire subito che cosa non è l’interdisciplinarità. Ebbene, l’interdisciplinarità, prima di ogni cosa, non consiste nel parlare di tutto o un po’ di tutto. I tuttologi possono fare solo discorsi da bottega di barbiere. L’insegnante tuttologo potrà, al massimo, essere un salottiero dilettante, ovviamente presuntuoso ed ignorante. L’onnisciente è un dilettante. (…) L’interdisciplinarità non consiste nemmeno, come spesso si dice e si fa, nel prendere un periodo, un autore, un evento o una istituzione per parlarne da più punti di vista. Così, per essere espliciti, si è preteso di fare lavoro interdisciplinare scegliendo un periodo, il Seicento per esempio, lasciandovi parlare sopra il professore di italiano, quello di scienze, quello di storia dell’arte, l’insegnante di religione, e, ovviamente, il professore di filosofia (…). Questo tipo di lavoro pluriprospettivistico non è ancora ricerca interdisciplinare. In breve: la ricerca interdisciplinare non consiste e non è paragonabile ad un album fotografico (23)”. Poiché non esistono discipline a sé, ogni problema richiama gli altri e il metodo scientifico è interdisciplinare. L’interdisciplinarità non è qualcosa da aggiungere a diversi insegnamenti; non si realizza ricercando collegamenti più o meno esteriori, essa è pluralità unitaria. Antiseri, come Popper, difende pertanto il pluralismo che solo può garantire sia la logica della ricerca sia la libertà politica o culturale, sia un insegnamento aperto, critico e costruttivo.
Motivazione all’insegnamento e all’apprendimento
Le motivazioni all’insegnamento e all’apprendimento non possono essere estrinseche e cioè voti, premi, castighi e tutto l’armamentario di cui si è circondato a lungo l’insegnamento; le motivazioni vere ed autentiche sono quelle intrinseche. Tutto sta a saper partire bene. Se, come punto di partenza, si assume un libro di testo fatto di nozioni, cioè di princìpi, di esperienze, di idee da apprendere e da ricordare non ci possono essere motivazioni intrinseche. E’ solo partendo dai problemi che si realizza la motivazione intrinseca dell’apprendimento. I problemi possono essere posti anche da un libro di testo fatto bene, ma possono ancor meglio essere costruiti dentro la classe, attraverso la ricerca, sulla base delle esperienze e delle tradizioni, dai ragazzi stessi sotto la guida di docenti consapevoli che quello della problematizzazione è il metodo da seguire (24). Partire dai problemi è il primo passo ma non ci si può arrestare ad essi; occorre che si orientino e guidino i ragazzi a cercare teorie per la soluzione dei problemi stessi. Compito dei docenti è quello di saper fare inciampare i ragazzi nei problemi più profondi, più ampi, e cercare di offrire teorie per la risoluzione di tali problemi. Questo vuol dire procedere sulla base di una programmazione scientifica e interdisciplinare e non affidarsi allo spontaneismo, al caso, al pressappochismo.
Programmazione
Non volere la programmazione vuol dire correre il rischio di cadere nel ricerchiamo, nello spontaneismo irrilevante e dispersivo; la consapevolezza di questi due errori opposti e il fatto che l’epistemologia ci indica la via di un sistematico sfruttamento pedagogico dell’errore ci conducono a considerare la programmazione come un’ipotesi di lavoro, che prevede la consapevole scelta di certi problemi, quelli più rilevanti.
Fantasia creatrice di ipotesi
Una didattica fondata sui problemi, su quelli più significativi, coinvolgenti i ragazzi, scatena la loro fantasia creatrice di ipotesi, per cui essi divengono veramente attivi, perché si fanno artefici della ricerca per risolvere i problemi. E’ questa la via attraverso la quale si superano il disinteresse, il ricerchiamo, il nozionismo e il dogmatismo a tutti i livelli.
L’errore
Non bisogna aver paura di sbagliare, anzi occorre avere il coraggio di ricercare e affrontare l’errore (25). Per andare avanti sul serio, i ragazzi, come i docenti, debbono essere messi in condizione di avere il coraggio di sbagliare, di riconoscere gli errori per impegnarsi a costruire ipotesi sempre più nuove, valide e più significative. Se amiamo la libertà, dobbiamo amare di essere criticati e di criticare; la scoperta di un errore, in una comunità scolastica, dovrà essere salutata come un momento di gioia. Sulla base di queste considerazioni, esaminiamo i problemi più rilevanti della didattica su basi epistemologiche ed in prospettiva democratica. Prima fra tutti il problema dell’interdisciplinarità (26) che scaturisce dalla stessa impostazione razionale e critica del pensiero di Antiseri. Sul piano didattico quello dell’interdisciplinarità è, senza dubbio, il motivo centrale, più fecondo e di più viva attualità di Antiseri. Del resto tutta la didattica contemporanea si muove chiaramente in direzione dell’interdisciplinarità, perché si è assunta consapevolezza che solo essa può garantire al processo formativo la necessaria unità nella pluralità delle componenti in cui essa si articola. L’interdisciplinarità non si restringe al solo ambito dell’apprendimento e del processo formativo; essa è l’altra faccia della vita reale strutturata sulla divisione del lavoro nel processo produttivo e nell’organizzazione dei servizi. Pertanto vi è parallelismo ed interdipendenza tra la “scuola delle discipline” in cui queste sono una accanto all’altra, una dopo l’altra ed una senza l’altra ed “il mondo del lavoro”, in cui l’uno lavora accanto all’altro e senza l’altro. E come è mostruosa ed alienante la divisione del lavoro, altrettanto è mostruosa ed alienante la scuola delle discipline. La divisione alienante del lavoro è un fenomeno macroscopico, tale da attirare l’attenzione di tutti per cui tutte le società oggi si trovano a dover urgentemente affrontare tale problema; la scuola delle discipline separate è un fenomeno altrettanto macroscopico ma, forse per routine, forse per altri motivi essa non si è posta come problema in modo così netto ed in termini così drammatici. Ciò non toglie che non sia urgente allo stesso modo la soluzione del problema della divisione del lavoro quanto la soluzione del problema della divisione del lavoro quanto la soluzione del problema del superamento della divisione delle discipline; anzi Antiseri rileva, attraverso un’analisi puntuale e precisa, che non si può avviare a soluzione uno di questi problemi senza parallelamente avviare a soluzione anche l’altro; i due fenomeni e le due problematiche sono infatti interdipendenti (27). Antiseri affronta la problematica dell’interisciplinarità mettendo in evidenza che “l’interdisciplinarità presuppone la multidisciplinarità” e cioè le discipline o teorie nella loro autonomia e strutturazione linguistica. L’interdisciplinarità non è materia d’insegnamento; non esiste il professore di interdisciplinarità (28). L’interdisciplinarità non è prerogativa di nessuna disciplina; essa è piuttosto un modo di impostare i problemi, una mentalità, una maniera di condurre un insegnamento, che sfugga ai pericoli delle discipline una accanto all’altra, una senza l’altra. Il lavoro interdisciplinare scatta dovunque c’è da risolvere un problema non banale ed esso consiste nella cooperazione “competente” dei diversi esperti alla soluzione di questo problema. Alla spiegazione di un “fatto” storico contribuiscono il sociologo, l’economista, il politico, ecc.; la costruzione di un ospedale pediatrico non è certo affidata ad un solo competente, ma c’è il matematico che risolve i compiti che gli pone l’architetto e questi non può non ascoltare lo psicologo e l’urbanista, e costui non può certamente fare i suoi conti senza il contributo dell’economista, e di tutti quanti debbono dare una occhiata alle “significative” statistiche del sociologo; e, ancora, l’interpretazione, ad esempio, di un testo filosofico, non è funzione esclusiva del filosofo; accanto a costui, infatti, ci sarà il filologo, il sociologo, il linguista, lo psicologo, ecc. Dal punto di vista conoscitivo, l’interdisciplinarità effettua il recupero dell’unità nella comprensione del sapere, unità che si è frantumata nel corso della ricerca scientifica, la quale procede sulla via di una specializzazione progressiva. Il lavoro interdisciplinare, pertanto, non consiste nell’apprendere un po’ di tutto, ma nell’impostare il problema con tutta la competenza dello specialista che tiene conto dei problemi, delle difficoltà, delle spiegazioni e delle previsioni degli altri competenti. Questa impostazione del problema dell’interdisciplinarità conduce in modo corretto e coerente al lavoro di gruppo come via e metodo di lavoro interdisciplinare. L’interdisciplinarità che si realizza attraverso il lavoro di gruppo dei docenti e discenti, potrà essere uno dei fattori che contribuiscono allo sradicamento della competizione nella scuola, in quanto spinge a vedere nell’altro un collaboratore e non un rivale. L’interdisciplinarità è una lotta contro gli effetti alienanti della divisione del lavoro. Il lavoro interdisciplinare può prendere i suoi inizi da qualsiasi tema o problema che venga affrontato in una molteplicità di discipline. Esso può progredire, a livello epistemologico, allorché le strutture logiche e i procedimenti di verifica di una disciplina sono messi a confronto, o in correlazione, con quelli di un’altra disciplina. L’interdisciplinarità deve diventare l’imperativo capace di trasformare un insegnamento atomizzato in una scuola in grado di configurarsi come centro produttore e diffusore di grammatiche di lettura del mondo in cui viviamo. Tutti coloro che sono impegnati nell’opera educativa devono realizzare un effettivo lavoro di gruppo per costruire significative ipotesi di lavoro interdisciplinare. Potremmo dire che l’interdisciplinarità è collegialità ed è partecipazione in atto e, come tale, è democrazia. Antiseri, con precisa conoscenza della situazione della nostra scuola, coglie la valanga di difficoltà che si trova a dover affrontare chi intende realizzare il lavoro interdisciplinare. Scrive testualmente: “Orari, il giorno libero, interrogazioni, registro, programmi, una legislazione per molti aspetti inadeguata, mancanza o comunque insufficienza della biblioteca, scuola non a tempo pieno, spesso rivalità tra gli insegnanti - che a parità di funzioni - sono gerarchizzati secondo i criteri più strani, litigi tra il corpo insegnante e il preside, spessissimo mancanza di aule e locali (…), maldicenze e populismo a buon mercato sono alcuni dei fattori negativi che vietano il lavoro interdisciplinare, il quale lavoro se è vero che comporta competenze precise, implica, almeno in un primo momento, anche una buona dose di abnegazione e, diciamolo pure, di umiltà nei confronti delle altre competenze (29)”. Per un iter corretto e produttivo sul piano didattico, Antiseri prospetta come punto di partenza i “centri di interesse”, rilevando che gli alunni possono interessarsi ad un problema per i motivi più disparati. I motivi per cui si deve partire da centri di interesse sono da individuare nel fatto che questi rendono possibile l’aggancio ai problemi concreti della vita di oggi; partire dai centri di interesse significa non deludere le attese dei giovani e sollecitare i loro interrogativi. L’interdisciplinarità, quindi, non è un fatto, un dato, un punto di partenza, bensì è imperativo, un metodo di conquista dell’unità nella multidisciplinarità. Dato che l’interdisciplinarità richiede il superamento della competizione, del settorialismo, delle chiusure specialistiche, essa concorre a formare mentalità aperte a un progetto interdisciplinare. In questo modo tutti sono indotti a vedere nell’altro non un nemico, bensì un collaboratore da cui possono ricevere ed a cui possono dare. Il fatto, poi, di lavorare non uno accanto all’altro, ma uno con l’altro rende chi vi partecipa capace di confronto, di verifica, di autocontrollo, di solidarietà. Questo vuol dire far “scuola di democrazia”. A noi preme sviluppare soprattutto il discorso relativo alla didattica delle scienze. Antiseri sviluppa un ampio, fecondo e costruttivo discorso su epistemologia e didattica delle scienze (30). La didattica delle scienze deve formare il soggetto alla metodologia della scienza che è fatta di problemi, teorie e critiche. L’acquisizione di un metodo scientifico forma il soggetto in quanto lo rende capace di costruire i problemi, di formulare le ipotesi, di verificarle, cioè forma una mentalità concreta, razionale, critica. I problemi sono il punto di partenza dell’insegnamento della scienza come di ogni altro insegnamento e, come problemi veri, sono auto-motivanti, vale a dire che motivano intrinsecamente il soggetto al ricercare, progettare, al fare. La didattica delle scienze, procedendo dai problemi, dalle ipotesi alle verifiche, promuove una “creatività emotiva” e richiede che gli alunni, con la loro fantasia, costruiscano ipotesi significative. L’insegnamento delle scienze promuove la formazione di una mentalità rigorosa perché educa il soggetto all’osservazione, a costruire ipotesi, a riconoscere gli errori, a compiere verifiche. Tutto ciò vuol dire, in pratica, educare la mente al rigore logico e alla apertura democratica.2) D.ANTISERI, L’interdisciplinarità, Servizio Informazioni Avio, n. 11-12, Armando, Roma, 1977, pp.418-419. Sullo stesso argomento si veda D.ANTISERI, I fondamenti epistemologici del lavoro interdisciplinare, Armando, Roma, 1975.
3) K.R.POPPER, La ricerca non ha fine, Armando, Roma, 1978.
4) Cfr. di D.ANTISERI soprattutto: K.R.POPPER: Epistemologia e società aperta, Armando, Roma, 1972. Regole della democrazia e logica della ricerca, Armando, Roma, 1977. Teoria unificata del metodo, Liviana, Padova, 1981.
5) D.ANTISERI, Il pensiero di K.Popper: intervista ad Armando Armando, op.cit., pag.124.
6) D.ANTISERI, Regole della democrazia e logica della ricerca, Armando, Roma, 1977, pag.509.
7) M.BALDINI, Epistemologia e pedagogia dell’errore, La scuola, Brescia, 1986.
8) D.ANTISERI, Regole della democrazia e logica della ricerca, op. cit., pag. 50-51.
9) D.ANTISERI, Regole della democrazia e logica della ricerca, op.cit., pag.53.
10) La citazione è riportata in D.ANTISERI, Regole della democrazia e logica della ricerca, op.cit., pag.55.
11) D.ANTISERI, I fondamenti epistemologici della interdisciplinarità, Armando, Roma, 1975, pp.31-32.
12) K.R.POPPER, Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna, 1972, pp. 258-261.
13) D.ANTISERI, Regole della democrazia e logica della ricerca, op.cit., pag:59.
14) D.ANTISERI, Epistemologia e didattica delle scienze, Armando, Roma, 1977, pp. 83-84.
15) K.R.POPPER,Logica della ricerca e società aperta (antologia a cura di D.Antiseri), La Scuola, Brescia, 1989, pp. 8-9.
16) D.ANTISERI, Epistemologia e didattica delle scienze, op.cit., pag. 7.
17) Su A.Einstein cfr. la raccolta di scritti: Come io vedo il mondo, Giachini, 1955.
18) D.ANTISERI, Regole della democrazia e logica della ricerca, op.cit., pag.63.
19) D.ANTISERI, Regole della democrazia e logica della ricerca, op.cit., pp.65-65.
20) D.ANTISERI, Epistemologia e didattica delle scienze, Armando, Roma, 1972.
21) D.ANTISERI, Epistemologia contemporanea e didattica della storia, Armando, Roma, 1974.
22) D.ANTISERI, Teoria e pratica della ricerca nella scuola di base, La Scuola, Brescia, 1985, pp.107-111.
23) D.ANTISERI, L’interdisciplinarità, Servizio Informazioni Avio, n. 11-12, Armando, Roma, 1977, pp.418.
24) D.ANTISERI, Teoria e pratica della ricerca nella scuola di base, La Scuola, Brescia, 1985, p.111.
25) D.ANTISERI, Teoria e pratica della ricerca nella scuola di base, La Scuola, Brescia, 1985, pp.55-58.
26) D.ANTISERI, I fondamenti epistemologici della interdisciplinarità, Armando, Roma, 1975.
27) D.ANTISERI, I fondamenti epistemologici della interdisciplinarità, op. cit., pp.10-15.
28) D.ANTISERI, I fondamenti epistemologici della interdisciplinarità, op. cit., pag.70.
29) D.ANTISERI, I fondamenti epistemologici del lavoro interdisciplinare, Armando, Roma, 1975, pp.55-56.
30) D.ANTISERI, Epistemologia e didattica delle scienze, op.cit.
31) D.ANTISERI, Teoria e pratica della ricerca nella scuola di base, op. cit., Per il concetto di creatività si vedano soprattutto le pp.31-36.
32) D.ANTISERI, Teoria e pratica della ricerca nella scuola di base, op. cit., pag.31.
33) D.ANTISERI, Teoria e pratica della ricerca nella scuola di base, op. cit., pag.32.
34) D.ANTISERI, Teoria e pratica della ricerca nella scuola di base, op. cit., pag.35.
35) D.ANTISERI, Teoria e pratica della ricerca nella scuola di base, op. cit., pag.36.
36) D.ANTISERI, Epistemologia e didattica delle scienze, op.cit., pag.157.
37) D.ANTISERI, Epistemologia e didattica delle scienze, op.cit., pag.158.
38) D.ANTISERI, Le concezioni pedagogiche-didattiche di G.Vailati, Motivi di attualità, in Pedagogia e vita, n.3, La Scuola, Brescia, 1988, pp.263-276.
39) TH.S.KUNH, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, op.cit., pag.20.
40) D.ANTISERI, Le concezioni pedagogiche-didattiche di G.Vailati, Motivi di attualità, op.cit., pag.271.
41) P.K.FEYERABEND, Contro il metodo, op.cit., pag.40.
42) D.ANTISERI, Le concezioni pedagogiche-didattiche di G.Vailati, op. cit., pag.269.
43) D.ANTISERI, Teoria e pratica della ricerca nella scuola di base, op. cit., pag.187.
44) D.ANTISERI, Teoria e pratica della ricerca nella scuola di base, op. cit., pag.188.
45) M.Laeng, I programmi e la riforma, in AA.VV. I Nuovi Programmi della scuola elementare, Giunti e Lisciani, Teramo, 1984, pag.9.