HANNAH ARENDT
A cura di Diego Fusaro
IL FUTURO ALLE SPALLE
In tutti i capitoli viene celebrato il potere liberatorio e consolatorio della parola dei poeti, e viene tracciata l'immagine del paria, comune a Heine, Kafka, Benjamin, Brecht e Chaplin. Ed ecco che si incrociano e scambiano le figure dello Schlemihl e del Pariah. Per Arendt paria sono tutti coloro che hanno preferito rimanere esclusi e marginali, indipendenti, piuttosto che sottomettersi e assimilarsi, perdendo ogni autonomia. Al posto dell'ostinata ricerca dell'integrazione, del conformismo, il paria coltiva la propria differenza, l'intelligenza disinteressata.
Lo Schlemihl a cui Heine fa vestire i panni del Principe del mondo di sogno volta le spalle a quel mondo sociale che non lo vuole per godere liberamente della poesia, dell'arte e della meraviglia del mondo. La situazione del paria si capovolge: da essere lui l'escluso e privato della mondanità, diventano i parvenu miseri e disprezzati, coloro che vivono in rigidi schemi sociali, coloro che hanno barattato la loro libertà con gli idoli dell'utilità sociale.
Al piccolo uomo di Chaplin non appartengono i doni della leggerezza e dell'irrisione sicura di sé. Anch'egli è innocente ma non è più protetto da Apollo. Il sospettato di Chaplin si muove in un mondo grottesco ma reale, è costretto a trovare protezione nell'astuzia e nell'occasionale bontà di un passante. Agli occhi della società Chaplin è sempre, per principio un sospettato. Molto prima che il sospettato si trasformasse nella figura dell'apolide, Chaplin aveva rappresentato la secolare paura ebraica davanti al poliziotto in cui s'incarna un ambiente ostile. Quello che collega la figura del sospetto con lo Schlemihl di Heine è l'innocenza. Negli innumerevoli conflitti con la legge risulta che trasgressione e punizione, per lo meno per il sospettato, sono indipendenti l'una dall'altra e in un certo senso appartengono a due mondi diversi che non si accordano mai. L'uomo sospetto viene sempre acciuffato per cose che non ha affatto commesso. In questo piccolo ebreo abbandonato, pieno d'ingegno, che è sospetto a tutto il mondo, si riconosce il piccolo, pover'uomo di tutti i paesi.
L'uomo paria kafkiano senza arroganza si contrappone sicuro alla società. Kafka fu il primo ad attaccare la natura e l'arte in quanto rifugi per reietti della società. Il signor K. ne Il Castello affronta problemi che, secondo Arendt, sono propri del paria ebraico: è privo di appartenenza, non è né un abitante del villaggio né un funzionario del castello, e tenta la via dell'assimilazione. Chiede soltanto ciò che gli spetta di diritto: una casa, un lavoro, una famiglia, la cittadinanza. Come sappiamo K. fallisce ma non si ritira nel mondo di sogno di Heine. E' l'acosmismo il peccato più grave del paria, questo ritirarsi in un suo rifugio quale l'arte, la fede, la lingua che crea mondi sublimi interiori, una libertà illusoria interiore che distrae e distoglie da quell'unica autentica libertà che si può avere nel mondo politico. La libertà del paria non ha senso perché in essa non ci sono aspirazioni, né spazio per il desiderio umano di realizzare qualcosa su questa terra, fosse anche il solo organizzare la propria vita. Chi si sente lontano dalle regole semplici e fondamentali dell'umanità, o chi sceglie di vivere in uno stato d'emarginazione, anche se costrettovi perché vittima di una persecuzione, non può vivere una vita veramente umana. Da questa constatazione ha avuto origine la tendenza di Kafka al sionismo. Ha aderito al movimento che rifiutava la condizione di anormalità ed emarginazione del popolo ebraico per farne un popolo come tutti gli altri.
Ma nel saggio su Brecht scopriamo che questa non è l'ultima parola di Arendt. Infatti questo ritirarsi nel mondo di sogno, credendolo l'unico mondo vero, permette al paria di creare le parole poetiche più belle, perché è ai margini, è distante da tutti i vincoli e ruoli sociali. Arendt è convinta che la poesia e l'arte più pure siano quelle dei paria.
INDIETRO