" come si mostra che nella conoscenza non potrebbe darsi obbiettività, e neppure la pretesa ad essa, se essa consistesse in copie o riproduzioni del reale, così si può dimostrare che nessuna traduzione sarebbe possibile se la traduzione mirasse, nella sua ultima essenza, alla somiglianza con l'originale. Poiché nella sua sopravvivenza, che non potrebbe chiamarsi così se non fosse mutamento e rinnovamento del vivente, l'originale si trasforma ". Appare chiaro dunque, che il tradimento auspicato da Benjamin è da formularsi nei confronti del tradizionalismo, il quale, chiuso nel culto del passato, rimane cieco nei confronti di una attualizzazione dei propri contenuti; in modo da perdere la possibilità che il presente abbia, oltre alla sua apparenza, anche un significato. L'origine in questa condizione rimane perciò mitica e irraggiungibile, il presente, come realtà nuova, sostanzialmente insensato. Ma a Benjamin sta a cuore il presente, forse anche solo perché coincide con il suo vivere. E' perché crede che questi non sia senza senso, che si muove all'interno di un recupero dell'origine. Proprio in quanto è attraverso il riconoscimento del punto di partenza, che è possibile comprendere il percorso che si sta attuando.
Un percorso che non ricerca la rassicurazione attraverso un'improbabile meta nel noto passato, ma che nel divenire, in un presente capace di riattualizzare la propria origine, ha la sua meta: probabilmente non certissima, comunque neppure totalmente impensabile. Ed è attraverso la parola, più che in una temporalità astratta, che avviene per Benjamin il recupero dell'origine. Questa si dimostra essere la verità stessa della parola. " La lingua non dà mai puri segni ", come vorrebbe la concezione borghese, ne è " l'essenza delle cose ", come deputerebbe la teoria mistica del linguaggio. La parola è lo strumento creatore di Dio, il mezzo con cui l'uomo può conoscere le cose. E' attraverso la parola che l'uomo può comprendere le cose; ed è solo attraverso questa unione con il verbo creatore, che egli può significare la realtà in cui vive. Ciò dimostra come viene a connotarsi l'origine. Questa non risulta essere semplicemente qualche cosa che afferisce al passato, ma bensì un'entità in continuo mutamento, che costantemente, attraverso l'incessante attività di significazione, trova nel linguaggio umano la propria rigenerazione. La parola, in assenza del peso conferitogli dall'essere luogo ove l'origine persiste, sarebbe vuota, puro segno, ponendo al proprio opposto un puro significato. Ciò le implicherebbe di divenire completamente muta, proprio per aver dissolto la sua possibilità di essere parlante, ovvero, parola che non può aver senso che per l'uomo stesso. Ed è attraverso questa unione con l'origine, la quale non dimentichiamo è teologica, che la parola può mantenersi nella sfera dello spirito, e realizzare le possibilità attribuibili alle sostanze immateriali. Pertanto " la lingua è allora l'essenza spirituale delle cose […] è identica alla loro essenza spirituale ". Presupposti indispensabili affinché sia comprensibile la seguente affermazione: " ogni parola è tutta la lingua ". Quanto qui sostenuto dall'autore nel saggio "Sulla facoltà mimetica", ha validità proprio in quanto viene attuata una considerazione della lingua intesa come evento unico ai fini della possibilità di senso dell'uomo; non perciò frantumabile in infiniti significati, e proprio per questo in nessuno. In tutte le parole esiste la medesima legge, ed è questa che unisce tutte le parole facendole essere una lingua.
Ed è proprio perché ogni parola porta con sé questa uguaglianza, che le singole parole possono articolarsi nella narrazione delle differenze. Mentre se non vi fosse questa unione, ogni parola non potrebbe che mettere capo ad una lingua, quella, senza dubbio, dell'incomunicabilità: una non lingua. Ma questa legge che sovrintende al linguaggio, non è intendibile come una legge regolativa. Essa proviene direttamente dall'origine. Non è afferrabile come una qualsiasi legge logica, proprio perché come il senso dell'esistente non è limitabile alla sua apparenza, così il linguaggio, che l'esistente sostanzialmente presenta, non è limitabile alla soddisfazione di esigenze funzionalistiche. Questa legge è perciò la legge dello spirito, o meglio, è lo spirito stesso. Uno spirito che, attraverso l'eccessiva attenzione ai caratteri attualizzativi, il mondo moderno ha emarginato. Proprio come quell'omino gobbo di cui Benjamin parla: questi per poter giocare a scacchi, deve camuffarsi in un burattino, deve mettersi al servizio di un " fantoccio chiamato materialismo storico. Esso può farcela [a vincere] senz'altro con chiunque se prende al suo servizio la teologia, che oggi, com'è noto, è piccola e brutta, e che non deve farsi scorgere da nessuno ". Un materialismo storico che senza una teologia intrinseca non sarebbe in grado di possedere un proprio peso specifico. Questa è la denuncia che Benjamin rivolge a chi ha bandito il metafisico pur continuando a basarsi sulle sue strutture. Proprio perché senza di queste la storia potrebbe solo avvenire, ma non possedere un fine, un senso comprensibile. Ma purtroppo la modernità, si è spesa senza indugi nell'abolire tutto ciò che poteva essere compromesso con il passato: lo ha praticamente raso al suolo. Ha questa sostanza infatti il passato che l'angelo della storia, figurazione che Benjamin ricava dal suo amatissimo dipinto di Paul Klee, si trova ad osservare attonito: " egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine. […] Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti " ridestare il prima, coloro che hanno vissuto nel passato e che ci hanno atteso sulla terra come il conseguente poi, affinché la storia si ricollochi nel divenire, " ma una tempesta spira dal paradiso ", quella medesima che ha raso al suolo e che impedisce all'angelo d'intrattenersi, " questa tempesta [...] ciò che chiamiamo progresso ", è ciò che " spinge irresistibilmente nel futuro ". Attraverso questa suggestiva immagine dell'angelo della storia si mostra il carattere oppositivo di modernità e tradizione. Un carattere pertanto conflittuale, che non va comunque colto attraverso atteggiamenti d'esclusione, ma con attenzione alle complessità significative che provengono dalle sue implicazioni. Questo è l'atteggiamento che Benjamin sembra proporre; in quanto nonostante egli sia convinto che " in ogni epoca bisogna cercare di strappare la tradizione al conformismo che è in procinto di sopraffarla ", appare del resto consapevole che la tempesta che si è impigliata nelle ali dell'angelo, e che lo trattiene, " spira dal paradiso ". Si comprende in questo modo il ruolo che l'autore assegna alla tradizione: quello di attendere al futuro. Un futuro non ostile, anche se conflittuale, proprio perché il suo carattere messianico di redenzione, auspica il miglioramento, non l'azzeramento del passato. In questa ottica quindi Benjamin sonda la modernità. Egli è guardingo, perché sa che essa porta con sé caratteri messianici. Non si conduce pertanto a rinnegare la modernità esclusivamente perché questa ha rinnegato la tradizione. Anzi, il suo impegno appare rivolto a far sì che tradizione e modernità si pongano tra di loro in rapporto, forse anche perché gli è chiaro che altresì entrambe sarebbero squalificate. Questa affermazione richiede comunque ulteriori esplicitazioni, in quanto per comprendere come esse si falsifichino vicendevolmente, conviene osservare con quale peculiarità affermino il vero, o anche, il modo specifico in cui lo realizzano. Se nella tradizione il canone di verità è affidato, come si è visto, alla fedeltà del ricordo, questi nella modernità è divenuto una " reliquia secolarizzata ". Un nuovo criterio ha adottato la modernità. Esso ha la sua fedeltà nella riproduzione tecnica, non più in quella rammemorante, proprio perché il prodotto " ha un valore finora ignoto; […] il sempreuguale appare per la prima volta sensibilmente nella produzione di massa ". E' questa uguaglianza sensibile, con la forza di essere un fatto riscontrabile materialmente, a soppiantare l'arbitrarietà del ricordo.
Il sempreuguale è perciò l'esito di un'esigenza di verità riscontrabile, che ha nella nuova concezione produttiva la sua concreta attuazione. Una evidenza di quanto detto si potrebbe rintracciare nell'uso del denaro. Questi è ritenuto tale quando la sua realizzazione concreta sottostà a determinate caratteristiche che non mutano mai in nessuna realizzazione: la verità o falsità di una banconota ad esempio. Ciò è comunque, del resto, attribuibile a tutto quanto viene prodotto in serie. Il sempreuguale di un qualsiasi prodotto, come potrebbe essere una bibita come la Coca-Cola, è garanzia che in tutti i luoghi della terra in cui questa si berrà, essa presenterà sempre lo stesso gusto aromatico. La sua verità in fondo, sarà come nel denaro di non mutare mai le proprie caratteristiche, quindi il proprio valore intrinseco, nel caso del prodotto, o comunque rappresentativo, nel caso della banconota. Il sempreuguale perciò trasforma l'atteggiamento che si ha nei confronti del reale, riformulando anche il nostro consueto rapportarci con spazio e tempo. Quest'ultimo, per il motivo di non possedere la differenziazione, diviene sincronico, così come lo spazio acquisisce ristrettezza. Ipotizzando di realizzare un edificio in cui tutte le stanze fossero perfettamente uguali, vivere ad esempio al piano terra, sarebbe come nel medesimo istante vivere all'ultimo piano dell'edificio. Modificazioni del modo di vivere la realtà sono del resto rintracciabili anche nel vero e proprio atto riproduttivo. Nella tradizione tra l'esperienza originaria e la sua riproduzione attraverso il ricordo vi è una scansione temporale. Nella riproduzione tecnica, non esiste più un vero e proprio inizio, proprio perché non vi è più un vero e proprio soggetto originario, ma tutt'al più un campione che non si differenzia per nulla dalle sue riproduzioni, ovvero che ha una differenziazione semplicemente convenzionale, per nulla ontologica. Per questi motivi " l'intervento dell'operaio sulla macchina è senza rapporto con il precedente [intervento] proprio perché ne costituisce l'esatta ripetizione " . La verità che caratterizza l'epoca moderna, quella della riproducibilità tecnica, non si trova più nella corrispondenza tra un qualche cosa di originario e l'unicità della sua, riproduzione, ma tra riproduzioni medesime. L'origine ha perso perciò la capacità di dar vita all'originale. Essa è stata soppiantata dal processo meccanico tautologico, che nella sua capacità di produrre il sempre uguale ha la propria verità tangibile. In questo modo il processo meccanico ha assunto centralità nella società moderna, in quanto per le sue caratteristiche di dar concretezza alla concezione di medesimo, gli si è conferita anche la capacità di perfezione. Cosa impensabile per il tradizionale, affidato come si è visto all'arbitraria umanità del ricordo. E' questo nuovo modo di porsi della verità che annulla lo storico a favore della simultaneità immediata, e che quindi decentra l'uomo e lo frastorna. La perdita dell'esperienza originaria che il processo meccanico vaporizza, fa divenire l'esperienza umana " esperienza dello choc fatta dal passante nella folla [la quale] corrisponde [a] quella dell'operaio addetto alle macchine " . Nel ricordo il rapporto con l'originale permane attraverso l'esperienza originaria. Esperienza originaria, e riproduzione rappresentativa coincidono, proprio perché convivono nel medesimo soggetto. Non esistendo una vera e propria scansione tra queste due istanze, ogni riproduzione rammemorativa è quindi sempre un originale. Nel processo meccanico invece questi non esiste più: quale è ad esempio il numero 1 originale in rapporto alle sue infinite riproduzioni: 1, 1, 1? Il primo, il secondo, il terzo? Questo processo non necessita di un originale affinché possa avvenire la riproduzione. Paradossalmente anche il niente, generatosi da uno scatto fotografico eseguito senza levare la mascherina che ripara l'obiettivo rendendolo inutilizzabile, è riproducibile infinitamente. Il processo meccanico che genera la riproduzione, non ha necessità d'altro che di se stesso. Il motivo è dovuto al fatto di essere autoreferente. Che 1 + 1 produca sempre il risultato di 2, è una certezza indiscutibile, e non necessita di nessuna validazione esteriore umana al processo stesso. Ciò che importa è semplicemente la correttezza del processo medesimo, in questo caso che il numero 1 sia sommato ad un altro numero uguale. Non ha nessuna importanza perciò conoscere cosa rappresenti quel numero, come potrebbe essere il riferirsi ad una mela o ad una pera. Quello che importa è che siano considerati uguali, ad esempio essere due frutti. L'assenza di discriminazione è perciò indispensabile alla buona riuscita del processo. La verità prodotta non può che disinteressarsi della qualità dei suoi assunti. Uno degli esiti è lo svuotamento d'importanza delle facoltà specificatamente umane. Mentre nella tradizione il darsi della verità avviene nell'esperienza dell'uomo, nella modernità non è più indispensabile neppure la sua presenza specifica; tant'è che le persone acquisiscono dignità solo in funzione del ruolo sociale che svolgono.
Il motto odierno, "tutti si è utili nessuno indispensabile", la dice lunga in merito a ciò, e fa sì che gli uomini " somiglino alle povere anime, che si agitano molto, ma non hanno una storia ". Ma questo fondamentale svuotamento della centralità umana, che caratterizza l'epoca moderna e che trasforma le persone in massa, non sembra intimidire il nostro autore. Anzi, Benjamin, secondo la testimonianza della Arendt, presentata all'inizio del presente scritto, progetta persino un libro che si rifà ad un procedimento meccanico di mera riproduzione di quanto altri hanno fatto o detto; un libro di sole citazioni. Ma perché egli opta per un procedimento in cui la verità non è affidata all'uomo? Perché è affidata a Dio, forse? Probabilmente sì! Benjamin sceglie le caratteristiche di questa verità perché gli sembra sostanzialmente più giusta; perché assomiglia a quella del " giudizio di Dio sulla tribù di Korah. Essa colpisce privilegiati, leviti, li colpisce senza preavviso, senza minaccia, fulmineamente, e non si arresta di fronte alla distruzione. Ma essa è anche, e proprio in essa, purificante, e non si può non scorgere un nesso profondo fra il carattere non sanguinoso e purificante di questa violenza ". La verità meccanica ha quindi in sé questa violenza sconvolgente, ma sostanzialmente necessaria, quindi non sanguinosa. Essa è perciò messianica, proprio perché il suo intento è la purificazione: l'abolizione del privilegio; privilegio che si mostra nella disuguaglianza, nell'arbitrarietà del ricordo. Ed è attraverso questa concezione di giustizia, in cui non solo pochi, ma tutti, possano fruire dei beni, che Benjamin affronta i discorsi inerenti alla maggior disponibilità dell'opera d'arte, che la riproduzione tecnica, nell'epoca moderna, permette. Concetto centrale di questo tema, che Benjamin affronta nel saggio "L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica", diviene la maggior possibilità espositiva che l'opera d'arte assume, essendo riprodotta in grande quantità; determinando un valore espositivo impensabile per un'opera unica e originale. Essa come evento unico era sostanzialmente inaccessibile ai più, e in questa inaccessibilità fondava la sua aura. Con la riproduzione tecnica quest'aura invece svanisce, proprio in funzione a quanto inversamente l'opera diviene accessibile.
" Il dipinto ha sempre affacciato la pretesa peculiare di venir osservato da uno o da pochi " in modo da costituire una situazione di privilegio, ma " l'osservazione simultanea da parte di un vasto pubblico, quale si delinea nel XX secolo, è un primo sintomo della crisi della pittura, crisi che non è stata affatto suscitata dalla fotografia soltanto, bensì, in modo relativamente autonomo attraverso la pretesa dell'opera d'arte di trovare un accesso alle masse ". Pretesa che è necessità di equità, di giustizia. Per questo " ogni uomo contemporaneo può avanzare la pretesa di essere filmato ", affinché la produzione artistica non sia una esclusiva per pochi, e quindi ognuno abbia l'opportunità di prendervi parte, di beneficiare di essa. Ma se il tipo di verità che si genera nella modernità appare a Benjamin più equa di quella proveniente dalla tradizione, non per questo il presente si trova compensato dall'assenza di senso derivante dalla perdita dell'esperienza originaria. Per questi motivi Benjamin affronta la questione della riproducibilità tecnica, con un soggetto estraneo ad essere un mero prodotto. Questi è altresì l'opera d'arte. Un soggetto che modifica sostanzialmente i termini della questione. Collocando il tema della modernità all'interno di un discorso artistico, Benjamin colloca questa all'interno della sfera del linguaggio. I risultati di ciò sono presto detti, perché avviene che la modernità può porsi a cospetto di quell'origine che, come si è visto, il linguaggio porta con sé. La modernità attraverso il linguaggio può quindi acquisire un'anima, ovvero congiungersi con i valori di senso della tradizione. La riproducibilità tecnica, essendo assegnata alla sfera artistica, entra nel mondo del linguaggio; si consegna a quella teologia originaria che solo può dar senso alle cose. La verità divina originaria e quella messianica, ponendosi a cospetto, come tradizione e modernità, possono dar luogo ad una verità più giusta, che non per questo sia inumana. Forse per questi motivi Benjamin progettava di adottare un metodo nuovo per la stesura del suo ultimo libro. Un metodo moderno, che si ponesse il più possibile ai ripari della arbitrarietà di una libera composizione, ma allo stesso tempo, per non soccombere all'insensatezza, attuato all'interno della lingua dell'uomo. Lingua comunque, come si è visto, non solo umana.