HANNAH ARENDT

A cura di Diego Fusaro


VERITA' E POLITICA

"Verità e politica" fu scritto in una nota di introduzione al testo, in occasione dell'aspra e lunga polemica sorta in seguito alla pubblicazione del reportage di Arendt per la rivista "The New Yorker" sul processo del 1961 contro Adolf Eichmann, uno dei maggiori responsabili della soluzione finale, o meglio della pianificazione ed esecuzione dello sterminio degli ebrei. La polemica era sorta in merito a fatti che riguardavano il totalitarismo e per Arendt una delle caratteristiche essenziali di questa nuova forma di governo è proprio l'inclinazione a trascurarare il "dato di fatto" e a fabbricare la verità sostituendo, attraverso la menzogna sistematica, un vero e proprio mondo fittizio a quello reale. Il problema fondamentale del rapporto tra verità e politica è sentito oltre che nel regime totalitario anche nella nostra epoca, su cui purtroppo grava lo spettro del totalitarismo. " La menzogna " scrive Arendt " ci è familiare fin dagli albori della storia scritta. L'abitudine a dire la verità non è mai stata annoverata fra le virtù politiche e le bugie sono sempre state considerate giustificabili negli affari politici ". Il ricorso alla menzogna sembrerebbe quindi perfettamente compatibile con la politica, ma non è così. Sappiamo del legame che Arendt instaura tra politica, libertà di agire e azione di concerto tra gli individui. Agire significa dare inizio a qualcosa di nuovo, dare vita all'improbabile e all'imprevisto al di là di ogni schema di comportamento, è l'atto performativo che si allontana dalla routine, è la spontaneità dell'essere umano che vive nel mondo e per il mondo. La fiducia di Arendt nella capacità di agire si basa su una visione realistica degli uomini e dei fatti. La sfera politica presuppone il riconoscimento della verità, di ciò che è dato e non può essere cambiato a proprio piacimento. La verità costituisce il principale fattore di stabilità nelle vicende umane e l'ambito politico ha bisogno e dello spirito di iniziativa e della salvaguardia della stabilità. La menzogna allora va combattuta, oltre che per la sua immoralità, per il suo potenziale impatto distruttivo sullo spazio della politica. La menzogna politica moderna ha effetti di destabilizzazione e disorientamento collettivo. Per esempio la menzogna moderna si occupa di cose note a tutti (campi di sterminio) e invece di nascondere distrugge (ad esempio Arendt cita la politica d'immagine degli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam). Attraverso un'immagine non si mira semplicemente a migliorare la realtà, ma ad offrire un completo sostituto di essa. Il fatto che gli ingannatori grazie al potere di amplificazione delle menzogne dato dalle moderne tecniche di comunicazione, possano oggi cadere più facilmente vittime delle proprie falsità, rende estremamente pericoloso il ricorso alla menzogna politica, poichè l'ingannatore che inganna se stesso perde ogni contatto non solo con il proprio pubblico, ma anche con il mondo reale. Per Arendt, quella della tecnica è una delle questioni centrali del nostro tempo. L'autrice di "Sulla rivoluzione" riconosce il potenziale di emancipazione implicito nella tecnica nella quale vede un'essenziale condizione dell'estensione della libertà politica. Soltanto nell'epoca moderna diventa possibile per il popolo accedere alla sfera pubblica, e questo anche grazie allo sviluppo tecnologico che ha enormemente esteso la possibilità di emanciparsi dalle necessità della vita. Lo sviluppo tecnologico può dare vita a risultati magnifici, ma avere anche conseguenze terribili e difficilmente controllabili; il potenziale distruttivo degli arsenali nucleari è l'esempio più emblematico, ma non l'unico. I paesi totalitari hanno dimostrato dove può portare il tentativo di superare ogni limite, di confermare che tutto è possibile. La conquista dello spazio e la statura dell'uomo prende spunto dalle imprese spaziali dell'epoca, l'autrice propone riflessioni in merito al significato e alle implicazioni della ricerca scientifica e della tecnica. L'intera evoluzione della scienza è accompagnata da una alienazione della terra che equivale ad una liberazione dai limiti dell'esperienza legata a quest'ultima e a un'astrazione dalla realtà data, dalla condizione umana di essere un abitante della terra. Con l'evoluzione della scienza e della tecnica si pongono le condizioni di una distruzione del nostro ambiente naturale e di un annichilimento della statura dell'uomo. Gli individui non si limitano più ad osservare la natura terrestre, a imitarla o trarne materiali, ma agiscono praticamente in essa, dando inizio a processi che non sarebbero intervenuti senza l'ntromissione dell'uomo. Si profila lo spettro di una natura incontrollabile, una situazione in cui gli uomini possono fare ciò che non riescono a comprendere. La tecnica si rende sempre più autonoma; da risultato di uno sforzo libero e cosciente degli individui tende a diventare un processo biologico, ossia qualcosa che si erge di fronte ad essi come una necessità, come una potenza indipendente dalla loro volontà. L'estendersi della sfera di ciò che possiamo fare sembra diventare sempre più indipendente dall'uomo. Si pone con urgenza il problema della capacità di fissare dei limiti al nostri poter fare e di giudicarlo. La crescita dell'apparato scientifico - tecnologico rende sempre più difficile la sopravvivenza del senso del limite. Gli uomini si trovano sempre più soltanto di fronte a prodotti dell'ingegno umano; il pericolo è che essi finiscano per considerare reale esclusivamente ciò che è fatto dall'uomo e per credere che si possa fare tutto e che, di conseguenza, aumenti l'insofferenza verso ciò che è meramente dato. Dietro le imprese spaziali e le ricerche scientifiche volte a creare la vita in provetta Arendt vede profilarsi il desiderio di sfuggire alla mortalità e ai limiti inerenti la condizione umana.
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