NIKOLAJ BERDJAEV
A cura di Alessandro Sangalli
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Introduzione
Confrontati con quelli di molti altri filosofi, i pensieri e gli scritti di Berdjaev sono vibranti, freschi, vivi: dal modo in cui scrive si ha la sensazione che egli stesse quasi combattendo con le proprie idee. Sebbene la sua patria fosse piuttosto il mondo dello Spirito che quello delle Idee, egli conosceva bene anche quest’ultimo territorio ed entrò in esso con passione. Vedeva il mondo delle Idee come un’arena dove si stava disputando una vera e propria lotta tra libertà e determinismo, creatività e passività, noumeni e fenomeni. La filosofia era per lui una materia di vitale importanza. Come vivere la propria vita, su quali basi fondarla, in che modo conciliare Dio col mondo o l’individuo con la società, cosa significhi essere un uomo, come scendere a patti con l’angoscia e l’alienazione che accompagnano la libertà umana, il senso della Storia e il destino dell’umanità, l’importanza della creatività: Berdjaev ha riflettuto e scritto su tutti questi argomenti ed ha dato un contributo significativo al loro approfondimento filosofico. Per tutte queste ragioni egli può aiutarci anche a far luce sulla situazione contemporanea, non soltanto illuminandone gli errori e i mali, ma anche insegnandoci ad uscire da essi e ad imboccare la difficile strada della libertà e della creatività.
Nikolaj Berdjaev nasce a Kijev nel 1874 da una famiglia di antica nobiltà e di tradizioni militari. Fin da giovane si appassiona allo studio di Marx, nel pensiero del quale crede di individuare l’esito compiuto del messianismo giudaico-cristiano. Nel 1900 invia il suo scritto Soggettivismo e individualismo nei filosofi della società a P. Struve, per ricevere commenti e consigli. Questo lavoro – inizialmente concepito come un attacco al populista N. K. Michajlovskij – introduce fattori inediti nel dibattito sul marxismo: riferendosi al positivismo come ad un “suicidio intellettuale”, Berdjaev sostiene che il devastante dominio del pensiero materialista in filosofia mostri la «necessità di un pensiero metafisico ed etico». Egli deriva le sue idee principali da Vladimir Solov´ëv, ma le completa con elementi di teorie socialiste e psicologiste.
Secondo Berdjaev la Storia progredisce su due livelli: per mezzo del capitalismo essa si sviluppa verso la Giustizia Assoluta, mentre attraverso la ricerca di mondi diversi e di valori eterni, l’umanità si sta avvicinando alla Verità Assoluta. Egli suggerisce perciò che nell’interpretare l’evoluzione storica non ci si dovrebbe concentrare soltanto su leggi materialistiche e scientifiche, ma considerare in primo luogo quelle etiche e religiose. L’avvento di una nuova società di giustizia e verità sarà il risultato di cambiamenti da portare non già al rapporto distributivo dei mezzi di produzione, bensì alla mente e alla coscienza dell’uomo, nello sforzo di perfezionarsi e di avvicinarsi ad un modello ideale di verità e moralità assoluta. L’atmosfera religiosa di Soggettivismo e individualismo colpisce profondamente Struve, il quale, nonostante qualche osservazione critica ai salti filosofici di Berdjaev tra libertà e necessità, considera il lavoro come il primo segno di uno sguardo completamente nuovo sull’uomo e sul suo mondo. Nella sua lunga prefazione a quest’opera, Struve si unisce all’autore nella lotta contro il positivismo: «Il materialismo storico è soltanto una scadente sovrastruttura metafisica della struttura positivistico-scientifica del nostro tempo, una sovrastruttura completamente priva di elementi idealistici». Sostiene inoltre che, se esiste una componente idealistica negli ambienti marxisti, essa è costituita proprio dall’idealizzazione del concetto di “classe”: gli intellettuali rivoluzionari marxisti proiettano perciò fatti ed eventi sociali su un terreno etico-morale, mostrando così come l’uomo non possa evitare pensieri metafisici. «La teoria positivista della conoscenza rivela tutti i limiti del pensiero di cui fa parte e al tempo stesso la necessità della metafisica». “Necessità della metafisica” è un’espressione usata anche da Solov´ëv nel suo libro Una giustificazione del Bene (1897), un lavoro che, tempo addietro, fu oggetto di critica da parte dello stesso Struve. Nella raccolta di scritti intitolata Vari temi (1901), Struve confessa la sua evoluzione da un pensiero positivista e marxista ad una visione filosofica del mondo “considerevolmente più vicina a Solov´ëv” e ammette come molte delle sue accuse polemiche contro Solov´ëv abbiano ormai perso validità. Nell’articolo Cos’è il vero nazionalismo? (1901) vediamo confermata questa svolta dalla ferma adesione di Struve all’idea cristiana della personalità come valore eterno e come prerequisito necessario per ogni attività politica e sociale.
Per aver aderito a circoli socialdemocratici e al programma di Struve, Berdjaev viene deportato nel nord della Russia, prima a Vologda (1901) e successivamente a Žitomir (1903). Dopo la Rivoluzione del 1917 e l’instaurazione del nuovo assetto politico, Berdjaev è chiamato a ricoprire la cattedra di Filosofia all’Università di Mosca. Nell’inverno 1920-1921 decide di tenere una serie di seminari su Dostoevskij presso la “Libera accademia di cultura spirituale”: in queste lezioni egli dimostra – nell’universo del romanzo dostoevskiano – il tragico e necessario fallimento dell’utopia marxista, contrapponendole una concezione del mondo fondata sulla libertà invece che sulla necessità storica. Questi interventi non sono apprezzati dalle autorità bolsceviche, e così nel 1923 (in contemporanea con la pubblicazione di La concezione di Dostoevskij) Berdjaev è costretto all’esilio. Si reca prima a Berlino e poi a Parigi, città dove usciranno i suoi scritti più importanti: da Il destino dell’uomo nel mondo contemporaneo (1934) fino a Saggio di una metafisica escatologica (1946) e Schiavitù e libertà dell’uomo (1947). Muore nel 1948. Sono disponibili in edizione italiana, fra l’altro, Il senso della storia (Milano 1977) e Il senso della creazione (Milano 1994).
1. La libertà
La filosofia di Berdjaev ha inizio con la libertà, che egli considera essere la base di tutto le altre cose: libertà è quell’ambito della nostra esistenza che non può essere influenzato né determinato da altro.
La libertà è la cosa ultima: non si può derivare da nulla né può essere equiparata ad altro. La libertà è il fondamento incausato dell’essere: è più profonda dell’essere stesso.
Ciononostante la libertà deve comunque essere conquistata.
Sarebbe un errore pensare che l’uomo comune ami la libertà. Sarebbe un errore ancora più grande supporre che la libertà sia una facile conquista. La libertà è difficile da ottenere, è più facile rimanere schiavi.
2. L’ “oggettivazione”
La libertà non può essere compresa né tollerata dalla mente oggettiva, ossia da quella parte di noi che cerca di controllare la realtà e che ci fornisce certezze riguardo al mondo. La mente oggettiva scinde infatti il mondo in Soggetto e Oggetto, io e altri, Spirito e Natura, e così via. Questa attività, che Berdjaev chiama “oggettivazione”, comporta sia vantaggi che inconvenienti.
La libertà è prima rispetto all’essere: non può essere determinata dal nostro essere. È senza fondamento, senza causa. Quando cerchiamo di determinarla, di razionalizzarla, di oggettivarla, la libertà scompare.
3. La verità
La nostra nozione di verità subisce l’influenza dell’oggettivazione: solo ciò che può essere oggettivamente verificato viene considerato vero, genuino, degno della nostra fiducia. Il dominio del pensiero oggettivo, che si manifesta materialmente nella scienza e nella tecnologia, soffoca – alienandola – la vita dello spirito e quella dell’individuo.
Verità ha due significati: verità come conoscenza della realtà, e verità come realtà stessa.
Dove dobbiamo cercare i criteri di verità? Troppo spesso gli uomini cercano questi criteri in ciò che sta più in basso della verità stessa, nel mondo oggettivo che porta con sé le sue costrizioni: si cercano criteri per il mondo dello spirito in un mondo che è materiale, infilandosi perciò in un vicolo cieco. La verità contingente e provvisoria non può fornire nessun criterio per la verità ultima: essa sta infatti a metà strada e non conosce né l’inizio né la fine. Ogni dimostrazione poggia sopra un che di indimostrato, di postulato, di assunto a priori. C’è un’alta dose di rischio e nessuna garanzia: la libertà dello spirito non conosce garanzie.
L’unico criterio della verità è la verità stessa e la luce che da essa si espande.
La verità non ha niente a che vedere con il mondo oggettivo, è piuttosto in relazione con quello spirituale. La verità è qualcosa di presente ed immediato.
La verità è il ridestarsi dello spirito nell’uomo, la sua comunione con lo spirito.
La verità non è del mondo, ma dello spirito: essa si conosce soltanto trascendendo il mondo oggettivo. La verità è la terminazione del mondo oggettivo.
4. Lo spirito
Come accadeva per la verità, nemmeno alla dimensione spirituale si arriva partendo dal mondo naturale. Questa dimensione, infatti, esiste per un suo proprio diritto, senza necessità di essere dimostrata e provata. Cercare di farlo è come mettere il carro davanti ai buoi.
L’esperienza spirituale è la realtà più alta nella vita dell’uomo: in essa il divino non è dimostrato, ma si mostra di per sé.
La realtà dello spirito è testimoniata dall’intera esperienza dell’umanità: rifiutarla significa essere ciechi e sordi di fronte alla realtà, significa essere incapaci di distinguere le qualità dell’essere o di descrivere ciò che si distingue. Il mondo spirituale è tanto reale quanto quello delle cose naturali. Questa realtà non si può dimostrare, ma è percepita da coloro che riescono a distinguerne le qualità. Lo spirito, perciò, mira quasi a sopraffare il mondo oggettivo: la sua battaglia contro il potere dell’oggettivazione è una sorta di “rivoluzione spirituale”.
5. La personalità umana
Mentre l’oggettivazione annulla il singolo in favore dell’universale e del generale, lo spirito ristabilisce ed afferma il valore dell’individuo nei confronti di ciò che è immobile, inerte, materiale, determinato, oggettivo.
L’anima dell’uomo ha più valore di tutti i regni del mondo: il destino dell’individuo viene prima di qualunque altra cosa.
Secondo Berdjaev la personalità umana rappresenta qualcosa di più che il nostro modo di essere nel mondo: essa è l’inestimabile ed irripetibile valore dell’individuo.
Il segreto dell’esistenza della personalità sta nella sua assoluta non-rimpiazzabilità, nella sua unicità, nella sua incomparabilità.
La personalità è qualcosa di unico al mondo, non c’è niente cui si possa paragonare, niente che possa essere messo al suo stesso livello.
Sebbene la personalità individuale sembri essere inferiore alla società, al mondo e all’universo, essa in realtà li contiene, li ha al suo interno, ed è un valore molto più grande.
La personalità non è parte dell’universo, ma è l’universo che è una parte della personalità: esso è una sua qualità. Tale è il paradosso del personalismo.
La personalità contiene in sé l’universo, ma questa inclusione ha luogo non nella sfera del mondo oggettivo, bensì in quella del mondo soggettivo, cioè nella dimensione esistenziale.
La personalità è il centro dell’esistenza, è capacità di soffrire e gioire. Nient’altro al mondo - nazione, Stato, società, istituzione sociale, Chiesa - ha questa capacità.
L’esaltazione del valore dell’individuo nei confronti della collettività non implica però l’affermazione di un individualismo radicale né la necessità di un’opposizione alla comunità. L’affermazione del supremo valore della personalità non ha solamente a che fare con la salvezza personale, ma piuttosto con l’espressione della suprema vocazione creativa della persona nel mondo in cui vive.
La personalità è di per se stessa relazionale: essa presuppone una comunità e una comunione con gli altri uomini. La profonda contraddizione e la difficoltà della vita umana è dovuta proprio a questa dimensione relazionale della personalità.
6. La creatività
L’abbandono dell’oggettivazione porta al riconoscimento della creatività come la più alta dimensione realizzativa dell’individuo, poiché «solo colui che è libero, crea».
La creatività è qualcosa che proviene dall’interno, da incommensurabili ed inesplicabili profondità, non dal di fuori, non dalla necessità del mondo. Il tentativo di rendere comprensibile e di porre un fondamento all’atto creativo è destinato a fallire. Comprendere l’atto creativo significa ammettere la sua inesplicabilità e la sua non-fondazione. La creatività comporta una partecipazione al mistero dell’esistenza, essa vive infatti nelle profondità della libertà.
La creatività è il più alto mistero della vita, il mistero dell’apparizione di qualcosa di nuovo, finora sconosciuto, non nato o derivato da qualcos’altro.
La vera vita consiste nella creatività, non nello sviluppo: nella libertà dell’azione creativa e del fuoco creativo, piuttosto che nella necessità e nella pesantezza del cristallizzarsi in un autoperfezionamento.
Con “creatività” Berdjaev non intende soltanto la produzione di opere d’arte, ma ogni processo di trasformazione dell’io e del mondo.
In ogni attività artistica viene creato un nuovo mondo: un mondo libero ed illuminato.
L’essenza della creatività artistica è costituita dalla liberazione dal fardello della necessità. Nell’arte l’uomo vive fuori da se stesso, libero dai pesi della vita: ogni atto artistico-creativo è una sorta di trasfigurazione dell’esistenza. Nel pensiero artistico l’uomo si libera dalle costrizioni del mondo. Nell’atteggiamento artistico-creativo verso questo mondo troviamo un aggancio per un mondo diverso.
7. La Terza Epoca o “l’ottavo giorno della Creazione”
Berdjaev vede l’avvento di un tempo in cui il nostro potenziale creativo sarà molto più sviluppato rispetto ad ora. Noi saremo allora in grado di collaborare con Dio per ri-creare il mondo.
Nella religione dello spirito, la religione della libertà, tutto sarà fondato, non sul giudizio o sulla ricompensa, ma sullo sviluppo creativo e sulla trasfigurazione, a immagine di Dio.
Ci troviamo sulla soglia di un’era di creatività religiosa, su uno spartiacque cosmico. Questo rovescerà gli effetti della “caduta”, del “peccato originale”, ci porterà verso una nuova era (la Terza Epoca) e verso la religione dello spirito.
Il mondo non ha ancora visto un’epoca religiosa della creatività. Il mondo conosce soltanto l’epoca della Legge dell’Antico Testamento e l’epoca della Redenzione del Nuovo Testamento.
Le tre epoche della rivelazione divina nel mondo non sono altro che le tre epoche della rivelazione dell’uomo. Nella prima epoca è portato alla luce il peccato e viene rivelata una naturale forza divina; nella seconda l’uomo si fa figlio di Dio ed appare così la redenzione; nella terza, infine, si rivela la divinità della natura creativa dell’uomo ed il potere divino diventa potere umano. La visione berdjaeviana dell’umanità supera la distanza tra uomo e Dio attraverso l’atto creativo, visto come un processo di divinizzazione.
La terza rivelazione dello spirito non avrà nessun testo sacro, non ci sarà nessuna voce dall’alto; sarà compiuta nell’uomo e nell’umanità – sarà una rivelazione antropologica, uno svelamento della “cristità” dell’uomo.
L’alba dell’epoca religiosa della creatività sarà anticipata da una profonda crisi della creatività stessa. L’atto creativo produrrà nuovo essere e nuove realtà piuttosto che valori o culture differenti; nella creazione la vita non verrà soffocata. La creatività umana continuerà la Creazione, rivelerà l’unione della natura umana col Creatore. Si arriverà così al passaggio del Soggetto nell’Oggetto e sarà ristabilita la loro identità. Tutti i grandi artisti possono presentire questa svolta.
8. Berdjaev e Dostoevskij
«L’idea della libertà è stata sempre fondamentale per la mia intuizione e concezione religiosa del mondo, e in tale intuizione iniziale della libertà ho trovato in Dostoevskij la mia patria spirituale» (La concezione di Dostoevskij, Prefazione)
In La concezione di Dostoevskij, Berdjaev ci fornisce una delle letture più suggestive e profonde dell’opera del grande romanziere russo, una lettura filosofica tutta incentrata sull’idea di libertà. Secondo l’autore, Dostoevskij non concepisce la libertà semplicemente come la facoltà di scegliere tra il bene e il male, ma piuttosto come qualcosa di più fondamentale ed essenziale, qualcosa che va colto a livello metafisico prima ancora che etico o psicologico. «Il pensiero metafisico russo più sottile e complesso scorre tutto nell’alveo scavato da Dostoevskij e da lui deriva»: una metafisica senza il fondamento stabile e non contraddittorio dell’essere, principio che è qui sostituito dall’idea di libertà. Secondo Berdjaev, Dostoevskij rappresenta per la filosofia un punto di rottura e un nuovo inizio. Non appena il pensiero dell’intelligencija radicale entra in crisi, da più parti si levano voci (Solov´ëv, Rozanov, Merežkovskij, Ivanov) a sostenere che il materialismo e il positivismo hanno fatto il loro tempo, ma non in base alla normale dialettica delle idee, bensì per l’irruzione di Dostoevskij nella scena culturale.
È solo nell’inverno 1920-21 che il nostro decide di raccogliere le riflessioni sparse e disordinate maturate nel corso degli anni sull’opera dostoevskiana. In realtà è almeno dal 1904 che – dopo l’incontro con Sergej Bulgakov e Lev Šestov – nasce in Berdjaev l’idea di prendere le distanze dalla “fede laica” del marxismo e metterla sotto accusa in nome di Dostoevskij. Accanto a ciò, il nostro vuole sviluppare un sistema di pensiero che in qualche modo si rifaccia a quello del noto romanziere e intende portare alla luce il contenuto filosofico della sua opera: in questa analisi si dedica ai nuclei concettuali più importanti rintracciabili nel romanzo dostoevskiano, l’uomo, la libertà, il male, l’amore, la rivoluzione, il socialismo.
«Non mi accingo a una ricerca storico-letteraria su Dostoevskij, non mi propongo di scriverne la biografia né di ritrarne la personalità […] Altro è il mio compito. Il mio studio deve essere posto nel campo pneumatologico […] Vorrei svelare lo spirito di Dostoevskij, chiarirne la profondissima intuizione del mondo e, per via intuitiva, ricostruire la sua concezione» (La concezione di Dostoevskij, cap. I)
Berdjaev è impressionato particolarmente dal tema della Leggenda del Grande Inquisitore contenuta ne I fratelli Karamazov, in quanto la considera come “la vetta dell’opera di Dostoevskij”, “il coronamento della sua dialettica”, ma – soprattutto – un enigma. Non è del tutto chiaro, infatti, da che parte stia l’autore stesso; molto è lasciato alla libera interpretazione, il che non è un evento isolato. Spesso nel romanzo dostoevskiano le idee e le opinioni dell’autore o sono messe in bocca a personaggi minori, appena tratteggiati – talvolta negativamente – o scaturiscono dalle parole di qualcuno che mai potrebbe sostenere quelle idee: Berdjaev stesso nota come sia quantomeno singolare che «la Leggenda, che è una lode di Cristo di un’efficacia incomparabile, sia attribuita all’ateo Ivan Karamazov».
Naturalmente il grande romanziere russo ha avuto grande peso anche nella formazione del giovane Berdjaev, ed è lui stesso a confessarcelo:
«Dostoevskij ha avuto un’importanza decisiva nella mia vita spirituale. Ancora ragazzo ne risentii l’influsso. Egli ha scosso la mia anima più di ogni altro scrittore e pensatore» (La concezione di Dostoevskij, Prefazione).
In un’epoca in cui l’Europa segue il ritmo di un processo catastrofico, Berdjaev si rivolge al suo grande compatriota – a quel “genio russo e universale” – che per primo ha saputo comprendere la profondità spirituale dell’uomo e prevedere il fatale disastro del mondo: «Dostoevskij è il valore immenso col quale il popolo russo giustifica la sua esistenza nel mondo: ciò a cui potrà richiamarsi nel Giudizio universale dei popoli» (La concezione di Dostoevskij, cap. IX).