Scarse sono le informazioni che
disponiamo sulla vita di Bertoldo di Moosburg, la cui vita può però essere approssimativamente
collocata tra il 1316 e il 1361. Egli occupò un posto di primo piano fra i
lettori domenicani che insegnarono in Germania nel XIV secolo. La sua carriera
fu quella tipica di un intellettuale dell’ordine: studi all’estero (Oxford
1316), lettorato presso cattedre prestigiose (Ratisbona 1327), attività
(certamente dopo il 1335) presso lo Studio generale di Colonia come lector
principalis, ricoprendo la prestigiosa cattedra che era stata occupata in
precedenza da personaggi come Alberto
Magno e Eckhart. Più o meno contemporaneo di Taulero e di Suso, Bertoldo faceva
parte di quel gruppo di giovani intellettuali che vissero direttamente le
discussioni e la delusione provocati dall’affare Eckhart, che culminò nel 1329
con la promulgazione della bolla In agro dominico. Mediante il suo progetto
filosofico di commentare non Aristotele ma un testo neoplatonico, gli Elementi
di teologia di Proclo, che la tradizione universitaria, soprattutto la
scolastica parigina, aveva ignorato, Bertoldo contribuì a risolvere la crisi
post-eckhartiana riannodando il filo interrotto della tradizione filosofica dei
domenicani tedeschi, facente capo, attraverso Ulrico di Strasburgo e Teodorico
di Freiberg, ad Alberto Magno. Fu probabilmente nel periodo coloniense
(1327-1361) che compose il suo monumentale commento, la Exposito super Elementationem theologicam Procli, una vera e propria summa del
neoplatonismo medievale, l’unica opera di Bertoldo giunta fino a noi, ad
eccezione di alcune glosse ad un testo di Teodorico di Friburgo riguardanti la
questione della determinazione dei poli dell’arcobaleno. Il commento di
Bertoldo era letto ancora nel Quattrocento e fra i suoi estimatori ci fu anche Nicola
Cusano che nell’Apologia della dotta ignoranza (1449) lo citava, insieme ai
rappresentanti del neoplatonismo cristiano in polemica contro la scuola
aristotelica. L’Expositio, solo in parte edita, è un intarsio potente e
esteso di testi filosofici neoplatonici mediante i quali Bertoldo affronta
tutti i problemi della metafisica neoplatonica e riassume, attorno alle tesi
degli Elementi di teologia, l’intero pensiero platonico greco, arabo e latino,
trasformando in un sistema unitario i vari momenti della continuità della sua
tradizione, dallo Pseudo-Dionigi fino ai contemporanei domenicani tedeschi.
Bertoldo riteneva Proclo non soltanto il filosofo sottile che espose la
metafisica più penetrante dell’antichità – perché aperta, al di là dell’essere,
alla contemplazione dell’Uno, e quindi superiore alla metafisica aristotelica
che era, secondo Bertoldo, scienza di un settore soltanto della realtà –, ma
soprattutto egli lo considerava il pagano che aveva raggiunto la sommità della
contemplazione di Dio mediante l’esercizio assiduo della filosofia, e che
testimoniava personalmente, nei suoi scritti, delle sorprendenti potenzialità
nascoste nell’uomo o, più precisamente, nell’uno dell’anima (il fiore
dell’intelletto della tradizione mistica), in quel principio, cioè, capace di
divinizzare ogni uomo dedito alla pratica della filosofia. Proprio l’uno
dell’anima che per molti aspetti sembra riecheggiare il fondo dell’anima
(grunt der sele) eckhartiano è uno dei motivi che dimostrano la volontà
di Bertoldo di prolungare, seppur evitando accuratamente ogni riferimento
esplicito, le istanze speculative di Eckhart.