A cura di Diego Fusaro
Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccogliere certezze (Politica e cultura, 1955)
INDICE
VITA E OPERE
IL PENSIERO
"AUTOBIOGRAFIA"
CHE COSA E' LA DEMOCRAZIA?
I NOVANT'ANNI DEL FILOSOFO
VITA E OPERE
Norberto Bobbio è nato a Torino il 18 ottobre 1909 da Luigi, medico-chirurgo, originario di Rivalta Bormida (in provincia di Alessandria), primario all'ospedale San Giovanni, uno dei più noti chirurghi della città. Gli anni della sua formazione vedono Torino come centro di grande elaborazione culturale e politica. Al Liceo Massimo D'Azeglio conosce Vittorio Foa, Leone Ginzburg e Cesare Pavese
.
All'università diventa amico di Alessandro Galante Garrone. Si laurea in legge e in filosofia.
Dopo aver studiato Filosofia del diritto con Solari, insegna questa disciplina a Camerino (1935-38),a Siena (1938-40) e Padova (1940-48). Il suo peregrinare per l'Italia lo porta a frequentare vari gruppi di antifascisti. A Camerino conosce Aldo Capitini e Guido Calogero e comincia a frequentare le riunioni del movimento liberalsocialista. Da Camerino si trasferisce a Siena dove collabora con Mario delle Piane, e infine nel 1940 a Padova, dove diventa amico di Antonio Giuriolo.
Collabora inoltre con il gruppo torinese di Giustizia e Libertà, con Foa, Leone e Natalia Ginzburg, Franco Antonicelli, Massimo Mila.
Successivamente nel 1942 aderisce al Partito d'Azione. A Padova collabora con la Resistenza frequentando Giancarlo Tonolo e Silvio Trentin. Viene arrestato nel 1943.
Nel dopoguerra insegna Filosofia del diritto all'Università di Torino (1948-72) e Filosofia della politica, sempre a Torino, dal 1972 al 1979.
Dal 1979 è professore emerito dell'Università di Torino e socio nazionale dell'Accademia dei Lincei; dal 1966 è socio corrispondente della British Academy.
La scelta di non essere protagonista della vita politica attiva non ha però mai impedito a Bobbio di essere presente e partecipe: al contrario è stato punto di riferimento nel dibattito intellettuale e politico dell'ultimo trentennio. Nel 1966 sostiene il processo di unificazione tra socialisti e socialdemocratici. Nel 1984 il filosofo apre una forte polemica con la "democrazia dell'applauso" varata da Bettino Craxi nel Congresso di Verona e Sandro Pertini, allora Presidente della Repubblica Italiana.
Nel luglio del 1984 è stato nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini.
Norberto Bobbio ha ottenuto la laurea ad honorem nelle Università di Parigi, di Buenos Aires, di Madrid (Complutense), di Bologna, di Chambéry.
È stato a lungo direttore della "Rivista di filosofia" insieme con Nicola Abbagnano.
Il grande filosofo italiano è scomparso il 9 gennaio 2004 all'età di 94 anni.
Personalità umile, sebbene in vita abbia chiesto che i suoi funerali venissero celebrati in forma strettamente privata, molti sono stati gli italiani e le personalità ufficiali, tra cui il Presidente Carlo Azeglio Ciampi , che hanno reso omaggio al senatore a vita visitando la camera ardente allestita (con il consenso dei figli) presso l'Università di Torino.
"Con Norberto Bobbio scompare la coscienza critica della sinistra italiana. È stato l'«oracolo» al quale, periodicamente, e soprattutto nei momenti più critici della recente storia italiana, politici e intellettuali della sinistra hanno fatto ricorso. Sempre sorprendendoli, gettando nel pensiero politico l'inquietudine di chi - come lui - sentiva di appartenere alla categoria di uomini che non sono mai contenti di se stessi. L'eredità della riflessione politica lasciata da Bobbio alla sinistra italiana è riassumibile in una via che lui stesso ha chiamato «la politica dei diritti»."
[Corriere della sera - 10/01/2004]
Forse il più bel ritratto di Bobbio lo dobbiamo a lui stesso, che così si descrisse:
"'Dalla osservazione della irriducibilità delle credenze ultime ho tratto la più grande lezione della mia vita. Ho imparato a rispettare le idee altrui, ad arrestarmi davanti al segreto di ogni coscienza, a capire prima di discutere, a discutere prima di condannare. E poiché sono in vena di confessioni, ne faccio ancora una, forse supeflua: detesto i fanatici con tutta l'anima."
Opere: L'indirizzo fenomenologico nella filosofia sociale e giuridica, Torino, 1934; Scienza e tecnica del diritto, Torino, 1934; L'analogia nella logica del diritto, Torino, 1938; La consuetudine come fatto normativo, Padova, 1942; La filosofia del decadentismo, Torino, 1945; Teoria della scienza giuridica, Torino, 1950; Politica e cultura, Torino, 1955; Studi sulla teoria generale del diritto, Torino, 1955; Teoria della norma giuridica, Torino, 1958; Teoria dell'ordinamento giuridico, Torino, 1960; Il positivismo giuridico, Torino, 1961; Locke e il diritto naturale, Torino, 1963; Italia civile, Torino, 1964; Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Milano, 1965; Da Hobbes a Marx, Napoli, 1965; Profilo ideologico del Novecento italiano, Torino, 1960, 1990 (nuova ed.); Saggi sulla scienza politica in Italia, Torino, 1969; Diritto e Stato nel pensiero di E. Kant, Torino, 1969; Una filosofia militante: studi su Carlo Cattaneo, Torino, 1971; Quale socialismo, Torino, 1977; I problemi della guerra e le vie della pace, Bologna, 1979; Studi hegeliani, Torino, 1981; Il futuro della democrazia, Torino, 1984; Maestri e compagni, Firenze, 1984; Il terzo assente, Torino, 1988; Thomas Hobbes, Torino, 1989; L'età dei diritti, Torino, 1989; Destra e sinistra, Roma, 1994.
IL PENSIERO
Filosofo, giurista e politologo, professore per lunghi anni all'università di Torino, Norberto Bobbio è una delle più illustri figure della cultura del Novecento italiano. Il suo pensiero etico-politico è caratterizzato fin dai suoi esordi da una profonda fede, insieme teorica e pratica, nel principio della responsabilità civile della riflessione intellettuale. Su questo fondamento Bobbio ha elaborato durante gli anni della guerra le sue proposte teoriche in polemica contro i vari orientamenti della filosofia novecentesca, dall'idealismo all'esistenzialismo. Per Bobbio, infatti, la crisi contemporanea non può essere compresa nè attraverso una "
decadente " meditazione sull'esistenza individuale, come egli sostiene nell'opera
La filosofia del decadentismo (1944), nè attraverso una nuova escatologia storica, ma solo ritornando alla lezione del
razionalismo metodologico illuministico . Ecco allora che la riflessione di Bobbio, prendendo le distanze dal pensiero idealistico, quale sapere "accademico", "retorico" e non concretamente riformatore, criticando gli aspetti irrazionalistici dell'esistenzialismo e quelli utopistici del marxismo, si è andata sempre più orientando verso la filosofia analitica anglosassone, che egli applica allo studio del linguaggio giuridico (proposizioni prescrittive). La raccolta di scritti su
Politica e cultura , pubblicata negli anni '50, preciserà la sua posizione su questo importante tema. I filosofi e gli intellettuali in genere, scrive Bobbio, debbono "
seminare dubbi, non già raccogliere certezze " : in
Politica e cultura Bobbio scrive che "
il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccogliere certezze. Di certezze- rivestite della fastosità del mito o edificate con la pietra dura del dogma- sono piene, rigurgitanti, le cronache della pseudo-cultura degli improvvisatori, dei dilettanti, dei propagandisti interessati. Cultura significa misura, ponderatezza, circospezione: valutare tutti gli argomenti prima di pronunciarsi, controllare tutte le testimonianze prima di decidere, e non pronunciarsi e non decidere mai a guisa di oracolo dal quale dipenda, in modo irrevocabile, una scelta perentoria e definitiva. Vi è qui uno degli aspetti del 'tradimento dei chierici'; e il più importante, a mio avviso, perchè non è limitato dal mondo contemporaneo ma si riconnette alla figura romantica del filosofo-profeta: trasformare il sapere umano, che è necessariamente limitato e finito, e quindi richiede molta cautela insieme con molta modestia, in sapienza profetica. Donde deriva la posizione, così frequente tra i filosofi, di ogni problema in termini di alternativa, di aut-aut, di opzione radicale. O di qua o di là. Ascoltate il piccolo sapiente che respira la nostra aria satura di esistenzialismo: vi dirà che i problemi non si risolvono, ma si decidono. E' come dire che il nodo- questo nodo aggrovigliatissimo dei problemi dell'uomo nella società di oggi- non essendo possibile scioglierlo, bisogna tagliarlo. Ma, appunto, per tagliarlo, non è necessaria la ragione (che è l'arma dell'uomo di cultura). Basta la spada ".Non si tratta dunque di essere profeti, ma osservatori della realtà capaci di descriverne le strutture. L'impegno dell'intellettuale consiste appunto in questo lavoro di analisi e descrizione, nel porre in questione le pretese assolutizzanti delle diverse "
versioni del mondo " in contrasto fra loro e, soprattutto, nel demistificare ogni sintesi ultima e definitiva. Ecco allora che Bobbio propone un modello di "
filosofia militante " come "filosofia del dubbio", e una teoria dell'impegno dell'intellettuale come militante della ragione: "
non vi è nulla di più seducente, oggi, che il programma di una filosofia militante contro la filosofia degli 'addottrinati'. Ma non si confonda la filosofia militante con una filosofia al servizio di un partito che ha le sue direttive, o di una chiesa che ha i suoi dogmi, o di uno stato che ha la sua politica. La filosofia militante che ho in mente è una filosofia in lotta contro gli attacchi, da qualsiasi parte provengano- tanto da quella dei tradizionalisti come da quella degli innovatori- alla libertà della ragione rischiaratrice. [...] al di là del dovere di entrare nella lotta, c'è, per l'uomo di cultura, il diritto di non accettare i termini della lotta così come sono posti, di discuterli, di sottoporli alla critica della ragione ". Criticando sia ogni
engagement strumentale ad effimeri o unilaterali fini pratico-politici, sia un esercizio libero ma disimpegnato e irresponsabile della cultura, Bobbio identificava il lavoro intellettuale nella difesa delle condizioni di esistenza e di sviluppo della cultura stessa. Fra la fine degli anni '50 e gli inizi degli anni '60, Bobbio scrive opere significative di teoria generale del diritto e della giustizia, divenendo un convinto sostenitore di un "
positivismo giuridico " inteso come analisi rigorosa dei sistemi normativi esistenti: egli tratta di ciò in svariate opere, quali
Teoria della norma giuridica (1958),
Teoria dell'ordinamento giuridico (1960),
Il positivismo giuridico (1961),
Giusnaturalismo e positivismo giuridico (1965). Agli stessi anni risalgono importanti saggi su Hobbes, Marx, Mosca, Pareto, la classe politica e la democrazia: ricordiamo la curiosa e geniale teoria bobbiana. fa notare che in ogni epoca ci sono categorie di pensiero fondamentali che , talvolta , sono così forti da costringere a servirsi di esse anche chi non la pensa così perchè altrimenti non verrebbe compreso , visto che tutti si avvalgono di quelle categorie . Bobbio, nel caso di Hobbes, nota come il pensatore seicentesco si serva di categorie giusnaturalistiche particolarmente in voga all' epoca per poi fornire un contenuto sostanzialmente giuspositivista ( giuspositivismo: non c' é alcun diritto naturale, ma solo diritti imposti dagli Stati ); in realtà Hobbes propugna tesi giuspositiviste camuffandole da giusnaturaliste : in ultima istanza ciò che é giusto o sbagliato lo é perchè lo decide il sovrano e non perchè di per sè sia giusto o sbagliato. La convinzione di fondo che aleggia nella filosofia bobbiana è che, dopo Hegel, per evitare ogni cedimento ad atteggiamenti dogmatici o metafisici, la sola via che la filosofia può percorrere è la continuazione del razionalismo metodologico dell'Illuminismo, garanzia di rigore e di impegno. Questo "neoilluminismo" investe altri campi, come la storia della filosofia e delle dottrine politiche, la storia della cultura e degli intellettuali nell'Italia contemporanea, nonchè il dibattito politico sui temi di attualità (la pace, la democrazia, la guerra ecc.), nella convinzione che la partecipazione al dibattito pubblico sia necessaria per ampliare il dialogo e il pluralismo, che sono alla base della convivenza democratica. Ed è riflettendo sulla democrazia realizzatasi in Italia nel dopoguerra che nel 1970, presentando una raccolta di suoi scritti su Carlo Cattaneo, egli traccia un lucido e amaro bilancio di un'intera generazione di intellettuali: "
inseguimmo le 'alcinesche seduzioni' della Giustizia e della Libertà; abbiamo realizzato ben poca giustizia e forse stiamo perdendo la libertà ". Si tratta di un giudizio per un verso direttamente ispirato agli eventi politici di quegli anni, per un altro verso connesso a una nuova problematizzazione del ruolo della cultura e dell'intellettuale nel progresso della società civile. Certo, anche nei suoi interventi successivi Bobbio ribadirà che il primo ufficio degli intellettuali è l'indagine razionale (neutra) dei mezzi, non già l'indicazione dei fini. Ma discutendo nuovamente il rapporto democrazia-socialismo (uno dei nodi cruciali del suo pensiero più recente) egli fornirà una nuova interpretazione del compito etico-politico della riflessione: un compito indicato nell'elaborazione di concezioni insieme giuste e realizzabili intorno agli obiettivi e alle regole della convivenza civile. Tale indicazione è accompagnata da una valutazione assai cauta ed equilibrata del
marxismo , ovvero della dottrina che maggiormente era parsa approfondire lo studio della realtà sociale. Da un lato Bobbio apprezza certi princìpi filosofici generali dell'opera marxiana (soprattutto in
Da Hobbes a Marx , 1965) e l'istanza emancipativa presente (anche se troppo spesso in modi pesantemente condizionati da istanze di tutt'altro genere) nei movimenti politici ispiratisi a quell'opera: e Bobbio ha in mente, oltre alla dittatura staliniana, gli eventi della Cina comunista. Egli disse in merito in un'intervista: "
Quando accadde in Cina quel fatto che suscitò orrore quasi dovunque, e cioè l'uso delle armi per fermare gli studenti che a piazza Tienanmen manifestavano il loro dissenso dal governo comunista cinese, io scrissi su La Stampa un articolo in cui dicevo che il comunismo era una 'utopia capovolta', perché era un'utopia di liberazione degli esseri umani che si era capovolta nel suo contrario, e cioè nella costrizione e nell'oppressione degli esseri umani. Però, in quello stesso articolo, scrivevo anche che i motivi per i quali il comunismo era nato sono ancora vivi. Sono in grado le democrazie che governano i Paesi più ricchi del mondo di risolvere i problemi che il comunismo non è riuscito a risolvere? Questo è il problema. Il comunismo storico è fallito, non discuto. Ma i problemi restano, proprio quegli stessi problemi che l'utopia comunista aveva additato e ritenuto fossero risolvibili. Questa è la ragione per cui è da stolti rallegrarsi della sconfitta e fregandosi le mani dalla contentezza dire: 'L'avevamo sempre detto!'. O illusi, credete proprio che la fine del comunismo storico (insisto sullo "storico") abbia posto fine al bisogno e alla sete di giustizia? La democrazia ha vinto la sfida del comunismo storico, ammettiamolo. Ma con quali mezzi e con quali ideali si dispone ad affrontare gli stessi problemi da cui era nata la sfida comunista? ". Tra l'altro, Bobbio è stato anche accusato per aver equiparato nazismo e comunismo, ma egli ha notato che se il risultato dei due totalitarismi fu pressochè il medesimo, diversi furono gli obiettivi che si erano prefissi: "
Certamente c'è una differenza importante tra i due movimenti: magari usavano gli stessi mezzi atroci e disumani, ma mentre nel nazismo erano ugualmente condannabili sia i mezzi sia i fini, invece nel comunismo lo erano i mezzi non i fini, spesso nobili (liberazione dall'oppressione dei rapporti di lavoro, pari dignità sociale dei cittadini) ". Bobbio non esita a denunciare nel marxismo sia la carenza di un'adeguata teoria delle istituzioni mediante le quali esercitare il potere in uno stato evoluto, sia il mancato sviluppo teorico-pratico del duplice nesso democrazia-socialismo e libertà-giustizia. Ciò su cui un pensiero autenticamente riformatore deve impegnarsi è invece proprio l'elaborazione dei quadri concettuali in rapporto ai quali una società può evolversi in direzione liberal-socialista, nonchè, sul piano pratico, l'estensione degli istituti e dei costumi democratici nella società contemporanea: Bobbio esprime queste convinzioni in
Quale socialismo? (1976) e
Il futuro della democrazia (1984).
"AUTOBIOGRAFIA"
"Cultura è equilibrio intellettuale, riflessione critica, senso di discernimento, aborrimento di ogni semplificazione, di ogni manicheismo, di ogni parzialità." Questa frase di Bobbio, estrapolata da una lettera da lui mandata a Giulio Einaudi nel settembre 1868, rappresenta con chiarezza la linea lungo la quale si è sempre mosso sia nella sua attività intellettuale che nel suo impegno politico. Questa "libertà intellettuale" è parte della concezione altissima di libertà che ha sempre guidato le sue scelte e che in questa Autobiografia appare il filo conduttore di tutta una vita.
Gli anni della sua formazione vedono Torino come centro di grande elaborazione culturale e politica. I nomi di amici o compagni di scuola, di interlocutori con cui Bobbio inizia a riflettere e a discutere sul significato e sul valore della libertà (che proprio in quegli stessi anni inizia ad essere conculcata) sono quelli su cui si fonda la civiltà intellettuale dell'Italia contemporanea. L'impegno antifascista si fa sempre più attivo, irrinunciabile l'azione in un momento in cui non era eticamente lecita qualsiasi forma di neutralità, naturale lo sbocco in "Giustizia e Libertà", binomio mai scindibile, né nella concezione dello Stato, né nell'elaborazione del pensiero politico se ancora nel 1995 per l'Einaudi esce un saggio dal titolo "Eguaglianza e libertà".
"Ogni uomo ha la possibilità di differenziarsi dagli altri secondo la propria legge intrinseca, che è la propria libertà e quindi di essere valutato in modo corrispondente alla sua differenziazione", e ancora, "In democrazia tutti sono ugualmente liberi. Ugualmente: l'avverbio è fondamentale. Questa uguaglianza richiede, a mio parere, il riconoscimento anche dei diritti sociali, a partire da quelli essenziali (istruzione, lavoro, salute), che rendono fra l'altro possibile un migliore esercizio dei diritti di libertà". La citazione di queste due frasi, scritte da Bobbio a distanza di anni, la prima nel 1942 e la seconda nel 1984, mostrano la coerenza di una vita totalmente spesa nell'affermazione della necessità imprescindibile di coniugare questi due valori come invece la storia del Novecento non ha mai saputo fare.
La definizione di intellettuale data nel 1966 come di "colui che incarna o dovrebbe incarnare lo spirito critico... il seminatore di dubbi, l'eretico per vocazione" va però collegata all'altro giudizio: "bisogna saper distinguere la vocazione minoritaria da un rigido, ostinato e in fine dei conti sterile atteggiamento scismatico" e da qui la decisione di sostenere la unificazione del Partito Socialista.
La scelta di non essere protagonista della vita politica attiva non ha però mai impedito a Bobbio di essere presente e partecipe, anzi punto di riferimento nel dibattito intellettuale e politico dell'ultimo trentennio. Nel 1984, il filosofo apre una forte polemica con la "democrazia dell'applauso" varata da Craxi nel Congresso di Verona e Sandro Pertini, allora Presidente della Repubblica, scrivendo a Valeria Cova, moglie del filosofo dice: "Glielo dica, glielo dica, i suoi giudizi sono anche i miei" e nel luglio dello stesso anno lo nomina senatore a vita.
Nel 1996, il 2 giugno, esce su La Stampa l'ultimo articolo di Bobbio in qualità, come scrive lui stesso in questa Autobiografia, di "filosofo militante".
Oggi, in questo libro, si dichiara molto scettico "del nuovo per il nuovo", dichiara la difficoltà di lettura dell'attualità politica, ammettendo anche la poca "voglia di capire" che lo accompagna. Eppure dà indicazioni su quelli che, secondo lui, sono i problemi più gravi che oggi l'Italia deve affrontare: la questione dell'amministrazione della giustizia, il sistema scolastico, i servizi.
La conclusione del libro è poi un messaggio importante sempre, alla luce di quella che Bobbio definisce essere la sua "certezza del dubbio": "La storia umana, tra salvezza e perdizione, è ambigua. Non sappiamo neppure se siamo noi i padroni del nostro destino". Sempre in quest'opera Bobbio scrive: "In un dato momento della nostra vita - i venti mesi che separano l'8 settembre 1943 dal 25 aprile 1945 - siamo stati coinvolti in eventi più grandi di noi. Dalla totale mancanza di partecipazione alla vita politica italiana, cui ci aveva costretto il fascismo, ci siamo trovati, per così dire, moralmente obbligati a occuparci di politica in circostanze eccezionali, che sono quelle dell'occupazione tedesca e della guerra di Liberazione. La nostra vita è stata sconvolta. Tutti noi abbiamo conosciuto vicende dolorose: paura, fughe, arresti, prigionia; e la perdita di persone care. Perciò dopo non siamo più stati come eravamo prima. La nostra vita è stata divisa in due parti, un "prima" e un "dopo", che nel mio caso sono quasi simmetriche, perché il 25 luglio 1943, quando cadde il fascismo, avevo trentaquattro anni: ero giunto nel "mezzo del cammin" della mia vita. Nei venti mesi fra il settembre 1943 e l'aprile 1945 sono nato a una nuova esistenza, completamente diversa da quella precedente, che io considero come una pura e semplice anticipazione della vita autentica, iniziata con la Resistenza, alla quale partecipai come membro del Partito d'azione.
Quando dico "noi" intendo una generazione di intellettuali che, come me, ha vissuto il passaggio fra due contrapposte realtà italiane".
CHE COSA E' LA DEMOCRAZIA?
DOMANDA: Professor Bobbio, se la democrazia fosse tanto inflazionata nella realtà così come lo è come concetto, probabilmente vivremmo in un mondo di uguaglianza universale; ma invece non è così. Si parla indistintamente di democrazia a proposito dell'Atene di Pericle e dei Soviet di Lenin; c'è la democrazia liberale, quella socialista, c'è la democrazia cristiana. Possiamo tentare di dare una definizione minima, ma precisa, di questo termine?
BOBBIO: Io ritengo che non sia soltanto possibile dare una definizione minima della democrazia, ma che sia necessario. Se vogliamo metterci d'accordo, quando parliamo di democrazia, dobbiamo intenderla in un certo modo limitato, cioè attribuendo al concetto di democrazia alcuni caratteri specifici sui quali possiamo esser tutti d'accordo.
Io ritengo che per dare una definizione minima di democrazia bisogna dare una definizione puramente e semplicemente procedurale: vale a dire definire la democrazia come un metodo per prendere decisioni collettive. Si chiama gruppo democratico quel gruppo in cui valgono almeno queste due regole per prendere decisioni collettive: 1) tutti partecipano alla decisione direttamente o indirettamente; 2) la decisione viene presa dopo una libera discussione a maggioranza.
Queste sono le due regole in base alle quali a me pare che si possa parlare di democrazia nel senso minimo e ci si possa mettere facilmente d'accordo per dire dove c'è democrazia e dove democrazia non c'è.
DOMANDA: Quindi si può parlare di democrazia, sia che si tratti di decidere in un condominio sia che si tratti di decidere una legge dello Stato?
BOBBIO: Ha detto benissimo: un'associazione, una qualsiasi associazione. Qualsiasi associazione generalmente stabilisce quali sono le regole in base alle quali si prendono le decisioni che poi valgono. Anche se le decisioni vengono prese da pochi, da alcuni, anche da uno solo, l'importante è che quella decisione venga presa in base a quelle regole.
DOMANDA: Quando Lei dice queste cose mi viene in mente che effettivamente nel mondo esistono alcuni - forse neanche troppi - Stati democratici: ma all'interno di questi Stati democratici - penso a tutti gli apparati della produzione, gli apparati dei servizi, a molte delle istituzioni, dalle scuole alle caserme, ecc. - io non ci ritrovo molte delle due regole.
BOBBIO: Lei effettivamente ha ragione: qui stiamo parlando di democrazia politica. Difatti io ho considerato come una delle promesse non mantenute della democrazia proprio il fatto che la democrazia politica non si è estesa alla società e non si è trasformata in democrazia sociale. A rigore una società democratica dovrebbe essere democratica - cioè dovrebbe avere queste regole - nella maggior parte dei centri di potere. Questo in realtà nella maggior parte delle democrazie non è avvenuto. Qual è poi il centro di potere in cui dovrebbe avvenire quest'estensione delle regole democratiche? E' la fabbrica. All'interno della fabbrica non esiste un regime democratico: le decisioni vengono prese da una parte sola, dall'altra parte c'è la possibilità di un certo controllo delle decisioni, ma le decisioni non vengono prese, da tutte, da tutte le parti che sono in gioco in quel in quel centro di potere.
DOMANDA: Quindi Lei pensa che sia auspicabile questa autodeterminazione della propria vita produttiva?
BOBBIO: Io credo che questo sia l'ideale limite della democrazia.
(Tratto dall'intervista "Che cos'è la democrazia?" - Torino, Fondazione Einaudi, giovedì 28 febbraio 1985)
I NOVANT'ANNI DEL FILOSOFO
Auguri al filosofo che compie novant'anni. Questo giornale, il sottoscritto compreso, lo vuole fare anche aggiungendovi una nota di simpatia, di affetto e soprattutto di gratitudine per il dialogo che Bobbio ha avuto con i nostri lettori specialmente negli ultimi dieci anni, durante i quali ha accompagnato con i suoi ragionamenti, nei momenti alti e in quelli bassi, il cammino sofferto e niente affatto concluso della sinistra italiana verso mete peraltro ancora incerte.
Ma il coro degli elogi nasconde una insidia, quella della giubilazione e della archiviazione. Lo sa bene "Bindi" in persona (ormai il nomignolo privato è stato ufficializzato da un titolo della "Stampa") che in queste circostanze mette sempre in guardia con il dialetto della sua Torino: "Esageruma nen". Non esageriamo. E si capisce perché lo fa. Se ti capita di diventare un "grande vecchio", specialmente se sei una "figura carismatica della cultura" e magari anche della "sinistra" e, in fin dei conti, "dell'intero paese" il tuo sistema nervoso viene esposto a un rischio molto serio. Se sei abituato agli attacchi duri, anche ai colpi bassi e a quelli bassissimi, e se hai imparato a pararli da vero spadaccino (come Bobbio indubbiamente è, dietro quell'aria da vecchio, ultra-vecchio lamentoso), quando viene la stagione delle lodi generalizzate è istintiva una certa diffidente preoccupazione. Un rovente articolo polemico sai come affrontarlo, ma da una esaltazione scriteriata delle tue doti, chi mai ti salverà? Se appartieni alla categoria dei "grandi vecchi" gli imbarazzi più seri te li provoca la dabbenaggine dei tuoi fan (qualcuno li chiama "bobbiani", qualcun altro spregiativamente "bobbisti"), specialmente se hai un carattere difficile e una mentalità molto esigente, come appunto il nostro festeggiato.
Vogliamo vedere, per esempio, quanti scriveranno, come è stato già fatto, che Bobbio è il "Papa laico" degli italiani? In questi casi il danno è insidioso, l'iperbole provoca arrabbiature tra i cattolici, fastidio tra gli avversari, imbarazzo tra i propri cari. Insomma un disastro. Ma non c'è solo questa perturbazione psicologica, c'è anche il fatto che la celebrazione dei novant'anni rende quasi irresistibile l'idea di un bilancio dell'opera del filosofo, e magari, ahinoi!, di un bilancio politico e morale di una vita. Roba da far tremare. L'uscita di un meritorio volume riassuntivo del suo pensiero politico, a cura di Michelangelo Bovero per Einaudi, apparentemente facilita l'impresa, prima o poi inevitabile, ma in realtà la rende ancora più ardua, Come scavare una sintesi sistematica da una produzione così gigantesca? Proprio necessario?
Ecco perché, nella circostanza, mi è balenata davanti l'idea di trascurare il tema dei "media" di Bobbio e di cogliere l'occasione dei novant'anni per parlare dei suoi difetti. Lasciamo dunque stare per il momento il suo contributo alla teoria democratica, le sue celebri critiche al Pci di Togliatti, le analisi dei vizi strutturali del marxismo. Trascuriamo assiduità scientifica ed accademica, rigore e continuità dell'impegno civile, chiarezza del linguaggio, limpidezza concettuale e tutta la valanga di libri e articoli che hanno fatto di Bobbio li "grande vecchio" che è e occupiamoci solo dei difetti. Tento di farne un elenco e mi accorgo che non è poi così difficile, anzi ce n'è uno che si impone e li riassume tutti: Bobbio è una persona contraddittoria. Che cosa vuol dire? Che dice e fa cose contrastanti tra loro nella vita di tutti i giorni come nella teoria e nella politica.
Per esempio: Bobbio è una star dei media, anche se dice peste e corna (come Giovanni Sartori) delle aberrazioni mediatiche e scandalistiche della politica e dei giornali. Lo riconoscono per strada anche se esce ormai raramente, il tassista gli chiede l'autografo, se dice una cosa viene riferita, rimbalza in tv, sui giornali. Lo cercano tutti i giorni per un appello, per una dichiarazione, per salvare i tali o talaltri archivi, per la guerra e la pace, per il Museo egizio a Venaria, contro il Museo egizio a Venaria. Lui si lamenta in continuazione ma intanto colava il rapporto con i media in modo più professionale di una diva. Proprio così. Sincero nel lamentarsi, sincero nel concedersi, anche se con un dosaggio meditato. Sa come si confeziona una sound-byte, una battuta che diventa slogan sui giornali, quasi come sapeva fare Pertini, molto meglio di Casini, Veltroni, D'Alema, che sui media ci sono tutti i giorni, e persino di Cossiga, altro professionista della scena, E sa fare anche i titoli: vedi la celebre "utopia capovolta" dell'89. Quando Bobbio disse poi, Berlusconi in trionfo nel 1994, che la televisione è "naturaliter di destra", sapeva benissimo di esagerare, eppure ha funzionato. E' la sound-byte.
Esce il "Libro nero sul comunismo". Tutti si aspettano che lui dica "no, è una operazione propagandistica, la cavalca Berlusconi, vade retro.". E invece il contrario. Il volumone di Courtois ha fatto centro, ecco la dimostrazione: dovunque il comunismo ha avuto il potere, sono state violenze, tragedie, massacri. Riecco Bobbio che occupa la scena per qualche settimana. Il "Corriere della sera" di Mieli lo accusa di tersitismo ovvero di fare il menagramo antitaliano? E lui replica: siete plebei. Di nuovo titoli. La differenza con Cossiga è che quello occupa la scena con gioia, Bobbio invece lo fa lamentandosi. Ed è sincero in tutti e due i casi, dunque contraddittorio.
Ma vogliamo sondare il suo "dualismo" (scusate se vi sembra un eufemismo) anche ai piani alti della teoria e della politica? Ecco qua: Bobbio è socialista non c'è dubbio, anche se col punto di domanda "Quale socialismo?". Eppure andatevi a vedere la sua voce "élite, teoria delle" nel Dizionario di politica e troverete squadernata la sua simpatia per gli elitisti italiani Mosca e Pareto. Sono vere tutte e due le facce del suo pensiero. Come la mettiamo? Dice bene Gustavo Zagrebelsky: Bobbio pensa e insegna a pensare per dicotomie: pubblico-privato Stato-società, libertà-giustizia, individuale-collettivo. Ma, aggiungo io, fa molto di più, entra in tutte e due i ruoli della dicotomia, la mantiene aperta, la lascia lavorare, ne prolunga l'esistenza all'infinito. Fa due parti in commedia. E insegna, non a scegliere l'uno o l'altro degli estremi, ma piuttosto a guardar gli errori di un lato stando da quell'altro e viceversa. Guarda la catastrofe del comunismo e del socialismo di stato dal punto di vista del liberalismo e dell'individualismo di Hayek e Von Mises. Implacabile. Ma poi guarda anche le miserie inegualitarie delle società liberali dal punto di vista di Marx. E non rinuncia mai al punto di vista opposto. E' un appassionato socialista ma anche un rigoroso liberale e non rinuncia a nessun delle due visioni. Se le porta dietro. E' come un genitore severo nell'educazione dei figli, che imponga regole di ferro e punisce la disobbedienza, ma poi si lamenti se i ragazzi non sono de ribelli, degli audaci capaci di sfidare l'ira del padre (è un esempio puramente teorico, non so proprio se, come padre, si comportato in questo modo. Questo lo dicano Luigi, Andrea e Marco. E la loro madre Valeria). Me lo immagino agli esami (non l'ho mai visto in azione come insegnante) chiedere allo studente di illustrargli i benefici della democrazia rispetto agi altri regimi e poi, ascoltate le risposte alla domanda tranello scaraventargli addosso la lista lunghissima dei vizi della democrazia: poteri occulti, corruzione, le promesse non mantenute di libertà, eguaglianza e via recriminando. Mi immagino anche il tranello opposto: mi parli delle promesse non mantenute della democrazia L'ho visto invece mettere in difficoltà gli organizzatori di un convegno dedicato al liberal-socialismo - che è dopotutto, e giustamente, uno dei modi per definire il suo pensiero politico e quindi ispirato fondamentalmente alle sue idee. Prese la parola, nell'intervento ovviamente più atteso di tutto l'incontro, per sostenere serenamente che, dopo decenni di sofferta riflessione, era giunto alla conclusione che il liberal-socialismo "non esiste". Vani i tentativi di farlo recedere.
Vogliamo andare ancora più su ai piani alti dei suoi massimi referenti filosofici? Benissimo, ci troviamo il moralismo trascendentale di Kant, ma se scaviamo, neanche poi tanto, vediamo che il padre del "dover essere" convive nella testa di Bobbio con il padre di tutti i "realisti" che è Thomas Hobbes, autore che gli è non meno caro. E, di conseguenza sulla scena delle vicende politiche, lo vedrete alternativamente tenere le parti dei rapporti di forza reali contro le ingenue pretese del "dover essere", ma subito dopo dare addosso a chi non ha alcuna passione morale e si adagia nella contemplazione dei rapporti di forza. Hobbes contro Kant anche a proposito della guerra del Kosovo: non possiamo non essere d'accordo con gli americani per i bombardamenti Nato sulla Serbia (Hobbes). Ma provate a dirgli, come ho fatto, che questo significa allora accettare la fine di una prospettiva istituzionale universalistica (Kant) per cui il compito di intervenire tocca in linea di principio all'Onu. E lo sentirete arrabbiarsi perché se non si difende l'Onu (Kant) siamo nelle mani della pura forza, dell'Impero, del Leviatano (Hobbes).Ma provate a dirgli che allora non doveva approvare la guerra della Nato... Ecco perché quando Perry Anderson ha definito il suo pensiero "un composto chimico instabile", tutto sommato l'idea gli è piaciuta.
Finisco qui con le contraddizioni, anche se la lista dei difetti non vi sembra abbastanza esaudente e cattiva. Mi fermo anche per un'altra ragione. Non voglio che al nostro prossimo colloquio Bobbio diventi troppo diplomatico e mi guardi in cagnesco: "Non mi devo dimenticare che sei anche un giornalista" (dove "anche" sta, credo, per un apprezzamento). E poi, dopo tutto, oggi è la sua festa di compleanno. Se poi, invece, parlare dei difetti di Bobbio vi è sembrato un modo subdolo per illustrare meglio i suoi meriti, questo è un tema che affronteremo un'altra volta. Auguri.
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