JACOB BÖHME

 

 

 

A cura di Lorenzo Sieve

 

 

 

Vita ed Opere

JACOB BÖHMEJacob Böhme nacque nel 1575 ad Alt Seidenberg, presso Görlitz nell’Ober-Lausitz (Lusazia), regione della Sassonia orientale al confine con la Slesia. Abraham von Franckenberg nella sua biografia agiografica del poeta (1651) scrive che Böhme apparteneva ad una famiglia di contadini che, se non propriamente agiata, era capace di mantenersi adeguatamente, anche grazie al redditizio possesso di circa trentacinque ettari di terreno. Di tale famiglia Böhme era il quarto figlio, oltretutto dalla salute abbastanza cagionevole. Ricevette una rigida educazione protestante, che completò poi da autodidatta, leggendo in modo particolare i testi della tradizione mistica tedesca, sia dei mistici speculativi del XIV secolo (Eckhart, Taulero e Susone), sia quelli della filosofia naturale del XVI secolo (Franck e Van Helmont). Non seguì il mestiere del padre e quattordicenne fu avviato al mestiere di calzolaio che esercitò a Görlitz; mestiere che esercitò fino a quando glielo permisero le persecuzioni nei suoi confronti. Nel 1594 sposò Catharina Kunschmanns, figlia di un macellaio, con la quale visse in serena e costante unione fino alla morte; da lei ebbe alcuni figli che avviò a professioni umili come la sua. Il quadro di umiltà e serena accettazione delle umane sventure da cui la sua vita è contraddistinta va tenuto sempre presente, al fine di meglio comprendere la sua figura, tra le più importanti della mistica tedesca, seconda forse solo a Meister Eckhart. Nel considerare la vita di Böhme, forte è la tentazione di scorgervi aspetti provvidenziali, poiché – se da un lato egli fu in qualche modo “costretto” dalle sue stesse illuminazioni a manifestarle – ciò d’altro canto avveniva in un luogo e in un momento di luteranesimo trionfante, con la conseguente condanna di ogni possibilità di trascendenza diretta, e quindi di ogni atteggiamento mistico-ascetico. Böhme ebbe la prima esperienza di questo genere ancor fanciullo. Fu poi rapito nella luce divina nel 1600: questa illuminazione intellettiva si sarebbe prodotta a causa di un riflesso solare di un semplice piatto di peltro. Un’altra volta, nel 1610, ed un’ultima sette anni più tardi. Queste esperienze illuminative (che coinvolgevano tutto il suo essere anche per diversi giorni) non erano da lui vissute come un’unione al Divino pura e semplice, quanto piuttosto come una rivelazione della Sua intima essenza. Da qui lo stimolo costante allo studio delle Sacre Scritture e all’approfondimento con la lettura delle proprie conoscenze in campi che gli permettessero di esprimere in termini terreni le proprie illuminazioni. Procedette in tal senso con una cautela che sempre lo contraddistinse: la sua prima e importante opera, Morgenröte im Aufgang (nota anche come Aurora consurgens, l’Aurora nascente) è del 1612 e sarebbe probabilmente rimasta per sempre in un cassetto se l’autore non fosse stato con insistenza sollecitato da un gentiluomo suo estimatore. Il lavoro si muoveva lungo la linea tracciata da quei pensatori non conformisti che si segnalarono per la lotta in favore di una maggiore libertà di pensiero all’interno della chiesa luterana, allorquando il protestantesimo da movimento di ribellione si trovò a dover passare alla fase istituzionale di elaborazione successiva. L’opera cominciò ben presto a circolare in copie manoscritte, suscitando le ire di Gregorius Richter, pastore protestante di Görlitz, che avendovi riscontrato pericolose deviazioni rispetto alla tradizione teologica ufficiale, accusò Böhme di eresia, causandone in tal modo l’arresto. Dopo essere stato subito rilasciato, Böhme si trovò costretto a giurare di non scrivere più nulla in materia di religione, giuramento che sarebbe stato da lui rispettato per soli quattro anni (ma altre fonti dicono sette). Nel periodo successivo intraprese in contemporanea attività di predicazione e iniziative di carattere commerciale. Solamente nel 1620 abbandonò una volta per sempre quest’ultima al fine di dedicarsi alla ricerca mistico-religiosa, ormai appoggiato economicamente dai soli adepti influenti. Nei restanti anni, la vita di Böhme fu travolta dalle lotte tra i suoi oppositori (che per due volte lo costrinsero ad abbandonare Görlitz e la sua casa, obbligandolo anche per diverso tempo al silenzio) e i suoi sostenitori, che lo spingevano a continuare a scrivere; solo negli ultimi anni, però, egli riprese la penna in mano e produsse una rilevante quantità di opere, quasi come se avvertisse la necessità di sfruttare il poco tempo restante della sua vita terrena per consegnarci i frutti della sua illuminazione. Spirò il 17 novembre del 1624. La sua tomba divenne di volta in volta meta di pellegrinaggio, oppure oggetto di intolleranza e profanazione; i suoi manoscritti e le relative copie a stampa vennero acquistate a caro prezzo dai discepoli, soprattutto olandesi e inglesi, ed esse sono — proprio in ragione della loro costitutiva rarità — maggiormente oggetti di culto che non di autentica ricerca bibliografica.

 

Opere

Oltre alla ricordata ed imprescindibile Morgenröte im Aufgang, Boehme aveva composto una ventina di altri trattati, tra i quali: una Beschreibung der drei Prinzipien goettlichen Wesens (Descrizione dei tre principi dell’essere divino, 1619), una trattazione Von dreifachen Leben des Menschen (Della triplice vita dell’uomo, 1620), una Von der Menschenwerdung Jesu Christi (Dell’incarnazione di Gesù Cristo, 1620), una Physiologia vera (1620), una Von sechs theosophischen Punkten (Dei sei punti teosofici, 1620), i Sex puncta mystica (1620), l’importantissimo De signatura rerum, Von der Geburt und Bezeichnung aller Wesen (Dell’impronta delle cose, della nascita e definizione di ogni essere naturale, 1621). Forse il suo vero capolavoro e testamento spirituale insieme all’Aurora, il Mysterium Magnum, Erklrung uber das erste Buch Mosis (Sommo Mistero, Commento al primo libro della Genesi mosaica, 1623), il trattato teologico Von der Gnadenwahl (Della predestinazione o dell’elezione della grazia, 1623), la Schutzrede gegen Gregorius Richter (Apologia contro Gregorius Richter, 1624), la Clavis (1624) e la Betrachtung göttlicher Offenbarung (Contemplazione della rivelazione divina, 1624).

 

 

Il pensiero

Le tesi più caratteristiche riguardano le concezioni della vita divina, al cui interno Böhme postula un processo di automanifestazione: la volontà originale (Dio Padre) intuisce se stessa e dà luogo al sentimento di piacere che prova nel contemplarsi (il Figlio); da questa intuizione deriva un potere nuovo, il movimento vitale (lo Spirito Santo). L’idea originaria della ricerca teosofico-pansofica di Böhme è la ferma convinzione secondo cui l’uomo è in grado di penetrare e descrivere il mistero dell’oscurità di Dio, l’atto della creazione divina coincidente con la genesi dell’universo. Dio è ritenuto da Böhme il momento centrale della creazione, assurgendo in tal modo ad un livello di autonomia ed indipendenza gnoseologica la quale, non riconoscendo intermediazioni di natura ecclesiale nel suo intimo rapporto con Dio, giunge di fatto a profilarsi come il centro emanatore della massima libertà possibile. Nasce qui la polemica aspra e inesorabile che contrappose il  Philosophus Teutonicus con la Parola divina alterata e trasmutata dall’attività dei commentatori. Queste concezioni gli procurarono inimicizie, già ricordate, con l’ortodossia e con i rappresentanti della istituzione ecclesiastica luterana, che Böhme medesimo trovò modo di definire un “ammasso di pietre”, con il quale nessun vero cristiano dovrebbe mai venire in contatto se realmente motivato a salvaguardare il suo spirito. Solamente la figura e la realtà divina di Cristo, nella sua duplice natura di reincarnazione e rivelazione di Dio nell’essere umano, deve configurarsi come il punto di riferimento costante del fedele cristiano. 

Da Dio deriva anche l’ intera natura, intesa come mysterium magnum, in quanto è lo stesso essere divino che si manifesta in modo visibile. Nel suo dispiegarsi, la natura si esprime in qualità contrarie: il bene e il male, l’amore e l’odio, la luce e le tenebre; solo alla fine del mondo questa contrapposizione sarà superata, con la vittoria del bene-Cristo sul male-Satana. Böhme si adopera quindi nel tentativo di cogliere il mistero autentico e profondo inerente alla nascita della natura a partire dall’azione della volontà divina. Böhme si sforza di comprendere perché Dio, in quanto voluntas creatrice, abbia voluto esprimersi nell’unità, a sua volta triadica di spirito, anima e corpo. La riflessione verte in altre parole sul perché Egli abbia scelto proprio la realtà terrestre del corpo, che è diversamente muto e morto, quale strumento concreto di automanifestazione, per incarnarsi nelle trame delle medusee e contingenti forme del divenire.

Alla domanda circa il perché Dio tolleri la presenza del male nel mondo microcosmico, Böhme risponde che l’esistenza di esso è momento necessario dal momento che nulla può esistere allo stato impuro della volontà già divenuta creazione, senza il suo contraddittorio che lo nega. Alla inesausta ricerca della conoscenza della volontà originaria e primigenia, ossia di quella che ha ammesso Bene e Male come elementi opposti nella fase di creazione (nella vita naturale come nell’uomo), il vero cristiano può arrivare pertanto ad indagare l’oscurità stessa di Dio, il quale non risiede fra le stelle, e nemmeno in nessun altro luogo fisso, bensì in ogni momento e in ogni aspetto della creazione.

Dio è Ur-Grund, il Non-Fondamento Originario, la Non-Natura, l’eterno Nulla, è divino deserto dell’anima (e solo perciò è anche l’Infinito) che non può dipendere da altro. Come tale, Egli non conosce il tormento e l’inquietudine della creazione, questo essendo tipico del creato, per esempio dell’uomo in quanto costituito di anima e corpo. Dio-Urgrund è invece Volontà eterna che anela di completarsi facendosi creazione (Wille des Ungrundes zum Grunde), Egli è il Nulla che brama di divenire Qualcosa (das Nichts hungert nacht dem Etwas). Nel mondo Dio stesso si è “voluto”, nella creazione ha segnato la Sua volontà. Il Dio-Urgrund, il Dio che è triadicamente Volontà-Non-Fondamento si dimostra nella Creazione fondamento (Grund quale opposto alla profondità insondabile dell’Ur-Grund) origine del mondo nell’atto di creazione pura, prima fase del processo creativo stesso. Dio concede all’amore di manifestarsi in forma edenica, pura. É solo nel momento in cui Lucifero, il Male, cercò di approfittare della libertà riconosciuta da Dio alle sue creature che si scatenarono l’ira e la punizione divina; ira e punizione trattenute da Dio nell’amore ed indirizzate nella creazione della materia caduca e dissociata, impura e disponibile al peccato quale è quella che governa e presiede il mondo terrestre. Dal principio univoco del Bene e del Male si generò pertanto il principio materialistico, il cosmo, la natura, l’uomo. Nello spirito di quest’ultimo si è tuttavia conservato l’innato anelito verso la celata eternità della forma superiore esistente nella condizione di creazione pura, la cui stessa conoscenza passa attraverso fasi di ansia e tormento, nei quali è però scritta la promessa salvifica di Cristo, unica fonte e sicura premessa della finale vittoria della gioia operata da Cristo su Satana.

L’uomo stesso è costituito ad immagine della divinità suprema ed è microcosmo. La sua anima si rivela composta da tre principi, il fuoco, la luce e la bestia. Allo stesso modo, nel corpo si incontrano tre elementi, quello celeste, quello siderale e quello elementare. Böhme ha una concezione luterana della fede come giustificazione totale; egli esclude tuttavia la predestinazione, non perché confidi nel valore dei meriti dell’uomo, ma perché tutto, caduta e salvezza, rientra nell’ordine provvidenziale divino, che ha lasciato all’ uomo la libertà di scelta fra il bene e il male.

 

 

Interpretazioni e lasciti del pensiero Böhmiano

Diversamente valutato a seconda degli aspetti del suo pensiero di volta in volta presi in considerazione, Böhme sfugge ad una rigida classificazione. È parso ora un cattolico, per il rispetto che nutre verso la Vergine, ora un luterano, per l’esaltazione del primato della fede, ora un panteista, per l’affermata onnicomprensività dell’essere divino, ora un manicheo per il suo continuo confrontarsi con il male. La sua influenza è rilevante in seno al pietismo, ma si estende anche al romanticismo e all’idealismo tedesco, in particolare a Schelling e a Hegel.         

 

 

 

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