A cura di Diego Fusaro
Il più noto rappresentante dell’
aristotelismo "averroistico" nel mondo cristiano fu, accanto a Sigieri di Brabante, il danese Boezio di Dacia, di cui si ignorano sia l’anno di nascita sia quello di morte. In sintonia con Sigieri, Boezio – che fu maestro nella facoltà delle Arti di Parigi - riconosce che la verità è unica e, nel caso in cui la ragione contrasti con la rivelazione, è quest’ultima che il fedele deve seguire: il vero compito che questi pensatori si propongono è tuttavia non tanto quello di rendere in qualche modo compatibili i risultati della riflessione filosofica con la rivelazione, quanto piuttosto quello di analizzare che cosa abbiano pensato e argomentato i filosofi su ogni determinato problema, primo fra tutti Aristotele, concordemente additato – sulle orme di Averroè - come il vertice a cui l’intelletto umano si sia spinto. Sia Boezio di Dacia sia Sigieri di Brabante – come è noto – furono accusati di esser sostenitori della cosiddetta "dottrina della doppia verità", tale per cui la fede e la ragione portano a due diverse verità: in realtà essi erano convinti – come abbiamo testè detto – che la verità fosse unica, raggiungibile sia dalla fede sia dalla ragione e che, in caso di disaccordo fra le due, la preminenza spettasse in ogni caso alla fede. Prendendo a modello il decimo libro dell’Etica Nicomachea dello Stagirita, sia Sigieri sia Boezio sostengono che la massima felicità per l’uomo risieda nella vita contemplativa e teoretica: per essere davvero felice sulla terra in cui si trova viator, l’uomo deve esercitare il più possibile le proprie doti intellettuali, prima fra tutte la scienza dimostrativa. Dall’esercizio del pensiero scaturisce una felicità irresistibile, superiore ad ogni altra. Ciò non toglie, tuttavia, che talvolta la filosofia, intesa come dimostrazione a partire da premesse, possa pervenire a conclusioni contrastanti con le verità di fede: in questo caso – pur ribadendo l’assoluta egemonia della fede e su quanto da essa attestato – Boezio ritiene che le verità di ragioni debbano comunque essere enunciate, anche se contrastanti con la rivelazione. In questo modo, viene rivendicata l’assoluta libertà di filosofare. Con grande interesse Boezio si sofferma diffusamente sulla tematica dell’etica filosofica, alla luce degli insegnamenti aristotelici dell’Etica Nicomachea: in particolare, nel suo scritto De summo bono sive de vita philosophi (Del sommo bene, ovvero della vita del filosofo): il pensatore danese non nega certamente che il fine ultimo dell’uomo consista nella beatitudine soprannaturale – come asseriscono le Scritture -, ma si chiede quale effettivamente sia il bene massimo accessibile in terra, da un punto di vista meramente razionale. Tale bene è ravvisato da Boezio nella saggezza (la swfrosunh di cui parlava Aristotele) propria della vita filosofica, dedita alla conoscenza della verità e alla pratica del bene. Il culmine di essa è poi rappresentato dalla conoscenza e dall'amore di Dio, il quale è principio e fonte di ogni bene. Su questi presupposti, Boezio di Dacia può rivendicare al filosofo – nello scritto De aeternitate mundi (L’eternità del mondo) – il diritto di indagare la realtà naturale secondo i princìpi propri di essa, anticipando in ciò, entro qualche misura, la spiegazione della natura iuxta propria principia di Telesio. D’accordo con Tommaso, Boezio ritiene che non sia possibile costruire argomenti validi contro la tesi dell’eternità del mondo: ciò – come già notava Tommaso - significa escludere non la creazione del mondo, nel senso della sua necessaria dipendenza da Dio, ma solo il suo inizio nel tempo. Il fisico, ossia il filosofo della natura, in base ai princìpi propri della sua disciplina, non può ammettere l’esistenza di un movimento iniziale del tutto nuovo. In generale, ad avviso di Boezio di Dacia, le dottrine alle quali la fisica perviene in base ai propri princìpi sono vere e pertanto risulta del tutto illegittima ogni interferenza della teologia nel campo della fisica. Per tale via, Boezio riconosce l’autonomia dei vari campi del sapere, ma al contempo ammette che i princìpi delle varie scienze sono solo possibili. Il fisico è cosciente di svolgere le proprie indagini su un insieme finito di cause meramente naturali; egli non può pertanto escludere la possibilità che altre cause (ad esempio i miracoli) intervengano a modificare l’ordine delle cause naturali, benché ciò esuli dall’ambito della fisica. Boezio, dunque, non esclude tout court il dominio del soprannaturale; ciò che egli esclude è piuttosto che esso sia di pertinenza della fisica. Inoltre, al di là della fisica, sono possibili verità alle quali si accede non per via di argomentazioni razionali, bensì grazie a una rivelazione da parte di Dio. Ne segue che sia che il mondo sia eterno sia che esso abbia origine nel tempo dipende solamente dalla volontà di Dio, la quale può essere conosciuta dall’uomo soltanto se è Dio stesso a rivelarla. Le verità della fisica sono vere soltanto relativamente ai princìpi di essa, non in assoluto e, quindi, non contrastano propriamente con le verità della fede, in quanto appartengono ad un piano diverso, anche se il piano della fede conserva intatta la sua indiscutibile superiorità. In tal maniera, risultava comunque frantumata l’unità organica della sapienza cristiana, quale era stata costruita fin dai tempi dei Padri della Chiesa, né veniva più postulata pregiudizialmente la piena compatibilità tra i risultati conseguibili dalla ragione umana e i contenuti della rivelazione.