Carlo Michelstaedter e Martin Heidegger |
Di Francesco Boezi
Per analizzare il pensiero filosofico del pensatore Goriziano rispetto alle tesi esistenzialiste del novecento dobbiamo per necessità indagare prima la sua tesi sulla degenerazione della filosofia greca: Carlo vide nella retorica d’Aristotele la degenerazione della dialettica socratica, e come ben sappiamo la sua opera principale “ La persuasione e la rettorica” tratta appunto del valore persuasivo del linguaggio nato proprio, secondo Carlo, con lo Stagirita. Aristotele crea un sapere solamente strumentale, negando, di fatto, il disvelamento dell’??e?e?a socratica. Qui troviamo il primo nesso con l’esistenzialismo di Heidegger, il quale vedrà sempre la veritas come ??e?e?a, ovvero come verità da disvelare. Ma Heidegger, più che Aristotele, e Platone incolperà della perdita del significato iniziale della filosofia le successive considerazioni sui due: “E’ proprio perchè le epoche posteriori considerano il pensiero dei greci...alla luce del platonismo e dell’aristotelismo, e perchè nel far questo interpretano sia Platone sia Aristotele in termini o medievali, o moderni...o neokantiani, che per noi uomini d’oggi un ricordo dell’essenza iniziale ...dell’essenza della f?s??, è quasi impossibile” ( M.Heidegger, Parmenide).
Dunque i due pensatori sono accomunati dalla visione sfavorevole della filosofia post-presocratica: Heidegger si interessa della resa teoretica della filosofia delle origini da parte di Platone e Aristotele, mentre il pensatore Mitteleuropeo studia principalmente la retorica, e nota come quella aristotelica derivi esclusivamente dalla platonica nella quale l’essere declina nei generi sommi e viene confuso con l’ente. Proprio Hiedegger chiamerà questo fraintendimento fra essere ed ente “ follia d’occidente”. Carlo Michelstaedter contrappone alla filosofia aristotelica la filosofia presocratica, attraverso soprattutto l’unità di conoscenza e azione tipica di Parmenide che formano la cosmizzazione dell’individuo che dà luogo ad una comunicazione col divino. Alcuni inoltre hanno visto una lettura eraclitea di Michelstaedter: “ La molteplicità è del tutto risolta in un’unità originaria che costituisce un vero e proprio valore ontologico...ciò che al saggio appare è...in definitiva...la giustezza delle cose stesse...l’essere delle cose è assolutamente immanente”. Cioè, attraverso uno streben filosofico i sapienti colgono ciò che i dormienti non possono vedere. Quindi Michelstaedter valorizza la filosofia presocratica, considerando solo come una degenerazione di essa quella platonica-aristotelica. Per alcuni Carlo avrebbe elaborato una sorta di eleatismo della pratica volto a realizzare l’essere e a superare il dualismo vita-pensiero, soggetto-oggetto, ma questo è sembrato a molti una forzatura schematica. Ma il tema che più di tutti fa assomigliare Michelstaedter ad un anticipatore della visione heideggeriana dell’esistenza e quell’essere per la morte così centrale nella filosofia esistenzialista del novecento. Ecco cose dice Carlo in una delle sue poesie più celebri:
Senia, il porto è la furia del mare
“La morte è una possibilità di essere che l'esserci stesso deve sempre assumersi da sé “, dice Martin Heidegger nel suo “ Sein un zeit” , semplicemente l’uomo deve per vivere una vita “ autentica” o “ persuasa” per dirla con Michelstaedter avere sempre presente una prospettiva di morte, altrimenti si scade nella paura della morte che porta l’uomo ad una vita “ inautentica” o “ rettorica”, che dir si voglia. Facile è a questo punto trattare anche Nietzsche e la sua “ libera morte” che va per il pensatore dell’ottocento “ esaltata” come dice chiaramente nella sua opera “ Così parlò Zarathustra”. Ma Carlo, in opposizione a Nietzsche non esalta la terra dove non può risvegliarsi, ma il mare, dilatazione dell’attimo fuggevole in eternità, il mare che è spazio perfetto, che è infinito tempo della consistenza esistenziale.
Tornando al tema della morte. Hiedegger fa notare come la paura di essa abbia creato una prospettiva comune resa dal Si ( Si muore), interpretazione pubblica e perciò meno dolorosa. Allo stesso modo Carlo Michelstaedter individualizza la morte, e il coraggio della morte, proprio esclusivamente dell’uomo persuaso, e lontanissimo dalla visione esistenziale dell’uomo dell’ “Abios bìos”, della vita senza la vita, di colui che vede il mondo come una parte del tutto, e non vede la sua individualizzazione assoluta in questo mondo. Per Hiedegger l’essere per la morte prelude ad un autentico poter essere, per Michelstaedter ad un essere persuaso, la terminologia cambia, ma il messaggio filosofico è chiaramente simile.
è la furia del nembo più forte,
quando libera ride la morte,
a chi libero la sfidò.