AMADEO BORDIGA

 

 

 

"Noi crediamo alla rivoluzione, non come il cattolico crede in Cristo, ma come il matematico crede ai risultati delle sue ricerche".


 

 

LA VITA

 

A. BORDIGAAmadeo Bordiga nasce a Resina (Napoli) il 13 giugno del 1889. Già nel 1907 inizia a frequentare l'ambiente socialista napoletano. Nel 1910 si iscrive al Partito Socialista Italiano. Due anni dopo fonda a Napoli il Circolo Carlo Marx, nell'intento di combattere le tendenze riformistiche del partito. In questi anni conduce una battaglia intensa contro il militarismo e la guerra di Libia per il giornale L'Avanguardia, di cui nel frattempo è diventato direttore. Al Congresso di Reggio Emilia del Partito Socialista, è alla guida della corrente dei giovani rivoluzionari, che si configura come Frazione Intransigente Rivoluzionaria. Nel 1914 conduce una dura opposizione alla guerra dalle colonne de Il Socialista, rifiutando la parola d'ordine "né aderire né sabotare" adottata dal PSI e scontrandosi subito con l'apparato di partito. Gli interventisti escono dall'organizzazione. Nel 1916 è chiamato alle armi ma riesce a evitare il fronte. La sua attività è fortemente limitata dal controllo della polizia. Nel giugno del 1918 sposa Ortensia De Meo, militante socialista già presente alla fondazione del Circolo Carlo Marx e dalla quale avrà due figli. Nel dicembre fonda Il Soviet, periodico che diventerà presto il centro vitale della polemica con i riformisti e poi l'organo della battaglia per il nuovo partito già esistente di fatto in una corrente che, intorno al giornale, è qualcosa di più di una frazione tra le altre. Nello stesso anno, al XV Congresso del PSI, sostiene la necessità di appoggiare le tesi di Lenin sulla rivoluzione internazionale e si fa promotore della Frazione Comunista Astensionista. Nel 1920 partecipa al II Congresso dell'Internazionale Comunista. Contribuisce alla definizione dei "21 punti di adesione" presentati poi da Lenin e interviene sulla necessità di non impegnare le forze del partito nelle contese elettorali e parlamentari, ormai non solo inutili ma anche dannose, in Occidente, ai fini rivoluzionari. Verso la metà di ottobre presenta il Manifesto della Frazione Comunista, al Convegno di Milano della Frazione, detta in seguito anche dei "comunisti puri". Alla discussione sulla eventuale separazione dal PSI partecipano anche Gramsci e Terracini in rappresentanza dei socialisti torinesi. Inizia la sua collaborazione redazionale a Il Comunista che esce dal novembre. Molti articoli sono chiaramente preparatori di una scissione dal PSI. Il 29 novembre presenta la mozione della Frazione Comunista al Convegno Nazionale di Imola invocando "un taglio netto" con la socialdemocrazia. Nel 1921, al Congresso Nazionale del PSI a Livorno, nel gennaio, denuncia con un intervento definitivo l'impossibilità di convivenza tra le forze rivoluzionarie, il riformismo e il massimalismo. La delegazione comunista si separa e, in un altro locale, fonda il Partito Comunista d'Italia, sezione dell'Internazionale. Si trasferisce a Milano nel febbraio come "membro direttivo" del nuovo partito che decide di costituire in quella città la sua direzione. Intensifica la sua attività nei diversi settori di intervento del nuovo partito. In questo periodo compie frequenti viaggi presso le nuove sezioni del partito, scrive regolarmente su quattro periodici: Il Soviet, Il Comunista di cui è diventato direttore, L'Ordine Nuovo che diventa organo del partito e Rassegna Comunista che ne è la rivista teorica. Sotto la sua direzione, il nuovo partito organizza subito sia la rete sindacale che quella illegale militare, mentre per disciplina all'Internazionale deve mettere da parte l'astensionismo e partecipare alle elezioni. Sul piano dei princìpi e della tattica incomincia a scrivere articoli di orientamento teorico e pratico da cui risulta evidente che già all'inizio del 1921 individuava l'esistenza di problemi non indifferenti con l'Internazionale. Negli articoli che scrive nel corso del 1921 si chiariscono tutte le divergenze, non ancora esplicite (cioè non ancora oggetto di polemica diretta), tra la direzione del PCd'I e l'Internazionale: il problema della rivoluzione in Occidente; la tattica dell'azione con le altre forze politiche (Fronte unico); la valutazione sul fascismo; la natura dell'Internazionale (cioè Partito Comunista mondiale o federazione dei partiti comunisti nazionali). Nel dicembre partecipa come inviato dell'Internazionale al Congresso di Marsiglia del Partito Comunista Francese. Nel 1922, dopo neppure due settimane dalla fascista Marcia su Roma, si apre il IV Congresso dell'IC (dal 5 novembre al 5 dicembre) in cui Bordiga tiene la relazione sulla situazione italiana. In primavera viene arrestato dalla polizia e incriminato per "complotto contro lo Stato". Nel giugno i dirigenti arrestati vengono sostituiti alla direzione del partito. La responsabilità organizzativa e politica passa a Togliatti e Terracini. Dopo il processo e la scarcerazione, viene invitato dall'Internazionale a riprendere il suo posto nel Comitato Esecutivo del partito, ma rifiuta (22 dicembre) spiegando che vi è incompatibilità fra le sue posizioni e quelle dell'IC: un impegno direttivo lo costringerebbe per disciplina a sostenere posizioni che non ha e ciò comporterebbe un falso di fronte all'organizzazione. Nel gennaio del 1924 fa uscire a Napoli la rivista mensile Prometeo. L'intento è di dare una voce alla Sinistra del partito. Nel mese di maggio si svolge la Conferenza di Como in cui il partito si dichiara a stragrande maggioranza per le tesi della Sinistra. Bordiga rifiuta di presentarsi candidato alle elezioni. Partecipa al V Congresso dell'IC e ripresenta le tesi sulla tattica mettendo in guardia contro il revisionismo di destra che minaccia il partito russo. Le tesi vengono di nuovo respinte. Nel successivo Congresso clandestino di Napoli si scontra con i nuovi dirigenti allineati alle posizioni dell'IC. Nel 1926, dal 21 al 26 gennaio partecipa al III Congresso del PCd'I a Lione (clandestino). Il mese successivo si aprono i lavori del VI Esecutivo allargato dell'Internazionale a Mosca. In entrambe le occasioni Bordiga tenta l'ultima appassionata difesa delle tesi marxiste. Il 22 novembre viene condannato senza processo a tre anni di confino e immediatamente arrestato mentre i fascisti gli devastano la casa. Viene condotto prima a Ustica poi a Ponza, isolotti di 7-8 kmq, dove rimarrà fino al 1929. Durante la prigionia organizza una scuola per detenuti e con Gramsci tiene regolarmente lezioni su materie scientifiche. Nel 1930 viene espulso dal partito con l'accusa di attività frazionistica "trotzkista". Al rientro dal confino si dedica alla professione di ingegnere senza più occuparsi di questioni politiche. Del resto ne sarebbe completamente impossibilitato perché la polizia lo controlla 24 ore su 24 con ben sei funzionari che si danno il cambio. Negli archivi di polizia rimane traccia di questo controllo che dura fino al 1943, quando a Napoli la guerra ha fine in seguito agli sbarchi anglo-americani. Nel dopoguerra fonda il partito comunista internazionalista e continua l'attività politica soprattutto attraverso articoli che vengono pubblicati sulla nuova rivista Prometeo sotto gli pseudonimi di Alfa e A. Orso. Nel 1968 si ritira, malato, nella casa di Formia. L'anno dopo viene colpito da un ictus cerebrale da cui si ristabilisce a fatica e solo parzialmente. Muore il 23 luglio del 1970. Una curiosità: Bordiga non firmava i propri scritti, alsciandoli anonimi. E questo per due motivi: a) la firma era – a  suo giudizio – un vezzo borghese, quasi un’estensione del concetto di proprietà privata nell’ambito del pensiero; b) non ha alcuna importanza – dice Bordiga – che chi teorizza il comunismo ponga la propria firma, dato che il comunismo è una necessità storica inaggirabile e non l’invenzione mentale di un qualche genio. Detto altrimenti, chiunque pensi alla necessità del comunismo non sta facendo altro che dare voce alla realtà fattuale o, come amava dire Marx, al “movimento reale” della storia. 

 

 

IL PENSIERO E LE OPERE

 

La formazione di Bordiga fu di carattere scientifico. A differenza della quasi totalità dei politici moderni, egli sottopose fin da ragazzo la teoria politica a una visione scientifica piuttosto che il contrario (nelle sue opere della maturità sostenne che la scienza moderna è marcatamente influenzata dall'ideologia). Il padre Oreste, piemontese, fu uno stimato studioso di scienze agrarie, la cui autorevolezza era riconosciuta specialmente a proposito dei secolari problemi agrari del Mezzogiorno italiano. Lo zio paterno, Giovanni, fu matematico, esperto di geometria proiettiva, insegnante all'università di Padova, militante del radicalismo tardo risorgimentale (appassionato d'arte, fondò tra l'altro la Biennale di Venezia). La madre, Zaira degli Amadei, discendeva da una antica famiglia fiorentina e il nonno materno fu cospiratore nelle lotte risorgimentali. L'ambiente familiare fu dunque fondamentale nella formazione del giovane rivoluzionario, che seppe fondere la scienza con l'arte, come ebbe a dire nel 1960 a proposito dell'intero movimento rivoluzionario. Con queste premesse, Bordiga si laureò in ingegneria al Politecnico di Napoli nel 1912. Aveva già conosciuto il movimento socialista al liceo, tramite il suo professore di fisica (Calvi) e nel 1910 aveva aderito al Partito Socialista Italiano. L'opposizione dei socialisti radicali alla Guerra di Libia lo vide in prima linea nelle assemblee e in piazza, come registrano i rapporti di polizia. Nell'aprile del 1912 fondò con alcuni giovani compagni il Circolo Carlo Marx, gruppo che uscì dalla sezione napoletana del PSI ma non dal partito, rientrandovi quando terminò il tentativo delle manovre bloccarde con i massoni. Sotto la sua influenza, la sezione napoletana del partito divenne il nucleo di una combattiva corrente che poco a poco si fece strada nei convegni locali della gioventù socialista e nei congressi nazionali del partito. Nello stesso tempo cresceva l'esperienza di lotta, vissuta in una delle aree industriali, quella ad est di Napoli, che allora era tra le più sviluppate d'Italia. Il suo rifiuto dell'approccio pedagogico alla politica divenne in quegli anni uno dei suoi cavalli di battaglia. Fu fin dall'inizio profondamente ostile alla democrazia rappresentativa, che considerava strettamente legata all'elettoralismo borghese: "Se esiste una totale negazione dell'azione democratica, essa va ricercata nel socialismo" (In Il Socialista, 1914). Fu contrario alla libertà di azione concessa ai parlamentari socialisti, che invece egli voleva porre sotto il diretto controllo della direzione del partito. Similmente alla maggior parte dei socialisti nei paesi mediterranei, fu avversario severo della massoneria. Allo scoppio della guerra, nel 1914, si distinse per la sua campagna rigorosamente antimilitarista. Nel 1915 fu chiamato alle armi e dovette sospendere l'attività aperta contro la guerra. Esonerato dal servizio attivo per grave miopia, riprese l'attività politica presentando nel partito, nel 1917, una mozione contro la formula ambigua e fuorviante di "né aderire né sabotare". Destò grande sorpresa fra i dirigenti del partito il risultato della votazione: 14.000 voti per la mozione della Sinistra e 17.000 per quella degli altri raggruppamenti. Nell'agosto del 1917 Bordiga fu l'animatore della "Frazione Intrasigente Rivoluzionaria", della quale scrisse le tesi politiche, fatte accettare quasi all'unanimità al seguente congresso della Federazione Giovanile. Allo scoppio della Rivoluzione russa nell'ottobre del 1917, aderì al movimento comunista internazionale e formò la "Frazione Comunista Astensionista" all'interno del PSI. La frazione si diceva astensionista in quanto si opponeva alla partecipazione alle elezioni borghesi e fu questa corrente, alla quale si affiancò quella torinese dell'Ordine Nuovo di Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, a uscire dal PSI a Livorno nel gennaio 1921 per formare il Partito Comunista d'Italia (Pcd'I). Era l'epilogo di una lunga divisione interna ai socialisti, che fin dal 1919 si erano trovati nel dilemma se accettare o meno interamente le condizioni poste da Lenin per entrare nella Terza Internazionale. Nel corso delle dispute su queste condizioni, Bordiga, partecipando al Secondo Congresso dell'Internazionale Comunista nel 1920, fece aggiungere 2 condizioni alle 19 già fissate da Lenin. Nonostante l'appoggio di Lenin ai comunisti italiani contro i riformisti del PSI, le posizioni astensioniste di Bordiga furono criticate dallo stesso Lenin in "L'estremismo: una malattia infantile del comunismo" (cui Bordiga rispose negli anni '60 con un saggio contro i falsificatori di Lenin). Sotto la guida carismatica di Bordiga il Partito Comunista d'Italia si avviò ad essere un organismo assai dissimile dagli altri partiti che avevano aderito all'Internazionale. La composizione prettamente operaia non aveva prodotto la solita gerarchia interna piramidale con al vertice gli intellettuali. D'altra parte, la pur rigorosa disciplina interna non si fondava tanto su disposizioni statutarie quanto sul programma e su quello che proprio in quel periodo si stava configurando come "centralismo organico". Questo particolare assetto "naturale" fu spiegato e rivendicato già dal 1921 come elemento distintivo della Sinistra Comunista "italiana". In un articolo dello stesso anno, Bordiga chiarisce che il partito rivoluzionario si caratterizza per il fatto di essere già il progetto, la base fondante della società futura e da questa deriva la sua specifica natura e struttura, mentre rigetta ogni meccanismo interno mutuato dalla società presente. Bordiga fu eletto nel Comitato Centrale del Pcd'I e vi rimase fino al suo arresto nel 1923. Nel giugno egli e gli altri dirigenti arrestati vennero sostituiti alla direzione del partito per ordini di Mosca. Assolto al processo, rifiutò di entrare nel comitato esecutivo. Nel 1926 partecipò al Congresso clandestino di Lione, dove la Sinistra fu messa in minoranza dai centristi allineati a Mosca (Gramsci, Togliatti, Terracini, tra gli altri, si erano schierati con il campo che si stava delineando come stalinista) con vari espedienti, nonostante disponesse ancora della stragrande maggioranza dei voti congressuali. Subito dopo il Congresso di Lione, in cui furono presentate le ultime tesi che la Sinistra Comunista poté scrivere in difesa dell'Internazionale, Bordiga partecipò al VI Esecutivo allargato dell'IC, dove tentò per l'ultima volta di intervenire in difesa dei principii fondanti di quello che doveva essere il partito mondiale. Nello stesso anno fu arrestato e inviato al confino sull'isola di Ustica, dove con Gramsci contribuì a organizzare la vita dei prigionieri. Al rilascio fu sempre più emarginato dall'attività politica finché nel 1930 venne espulso per aver difeso Leone Trockij nonostante le divergenze con lui. Per diversi anni non poté più svolgere politica attiva, controllato notte e giorno dalla polizia fascista. Bordiga aveva un rapporto quasi paterno e protettivo nei confronti del giovane Gramsci, fisicamente poco adatto alla dura lotta politica del tempo, in ambiente di guerra civile. Cercava di assecondare come poteva "il suo lento evolvere dall'idealismo filosofico al marxismo". Non gli importava nulla che fosse stato interventista di guerra e gli fu amico anche nei momenti di dura polemica. Lo sarebbe stato anche se avesse conosciuto la sua corrispondenza segreta con Togliatti e gli altri centristi di minoranza alleati a Mosca che lavoravano alla liquidazione della Sinistra: essendo completamente estraneo alle manovre politiche sia concretamente che come mentalità, badava alla salvaguardia del partito rivoluzionario indipendentemente dalle sue componenti interne e dai numeri di iscritti che esse coinvolgevano. Quando il gruppo gramsciano si avvicinò alla Sinistra, reputò "leale" il titolo della sua rivista, che non parlava di Classe, Stato e Società come facevano i comunisti, ma genericamente di "Ordine Nuovo". Bordiga scherzava sulla concezione antideterministica di Gramsci, che ancora nel 1919 interpretava la Rivoluzione d'Ottobre come una specie di "miracolo della volontà umana", contro ogni determinismo delle reali condizioni economiche e politiche della Russia: "Solo a rilento Gramsci accettò le direttive marxiste sulla dittatura del partito e sulla stessa incidenza del sistema marxista, fuori dell'economia di fabbrica, in una visione radicale di tutti i rapporti di fatti nel mondo umano e naturale". Quando poi conobbe Lenin, racconta ancora Bordiga, "la cosa non restò senza effetto; maestro ed allievo non erano da dozzina". Gramsci ammetteva di non accettare tutto del marxismo e di maturare lentamente, tanto che rispose a tono: "Preferiremo sempre quelli che imparano lentamente capitoli del marxismo a quelli che li dimenticano". Ma ancora nel 1926, in margine al Congresso di Lione, quando ormai la Sinistra era liquidata, a una precisa affermazione di Bordiga, che ormai considerava un avversario da rimuovere, rispose: "Do atto alla sinistra di avere finalmente acquisita e condivisa la sua tesi, che l'aderire al comunismo non comporta solo aderire ad una dottrina economica e storica e ad una azione politica, ma una visione ben definita, e distinta da tutte le altre, dell'intero sistema dell'universo anche materiale". Al confino insieme per qualche tempo a Ustica alla fine del 1926, Bordiga e Gramsci organizzarono una "scuola di partito" per prigionieri dove nessuna "materia" era esclusa. Di comune accordo, tenevano a turno "lezioni" in cui l'uno esponeva la materia secondo le tesi dell'altro, scherzando alla fine sul confronto delle eventuali manchevolezze di ognuno. (Le citazioni in corsivo sono memorie di Bordiga). In seguito allo sbarco alleato e allo spostamento al Nord del fronte di guerra nel 1944, intorno a Bordiga si raccolsero i vecchi compagni del '21. Con la guerra ancora in corso, furono presi contatti clandestini con i compagni del Nord. Nell'immediato dopoguerra vi furono le prime riunioni congiunte, ma Bordiga rifiutò di far parte del partito se fosse rinato nuovamente sulle basi della vecchia Internazionale degenerata. Iniziò quindi a collaborare al periodico "Battaglia Comunista" (1945), organo del neo-costituito Partito Comunista Internazionalista. All'uscita della rivista "Prometeo" (1946), organo teorico dello stesso partito, scrisse sul primo numero un Tracciato d'impostazione che doveva servire da riferimento programmatico. Nel 1949 iniziò a scrivere la serie di 136 articoli "Sul filo del tempo", tesa a dimostrare la necessaria continuità fra le origini del movimento comunista e i compiti attuali. Sulla base di tale impostazione teorica scrisse una gran mole di articoli e saggi tendenti a dimostrare che l'URSS era da considerarsi un paese capitalista impegnato in un "industrialismo di stato". Questa posizione lo poneva in irriducibile contrasto con lo stalinismo ed il togliattismo, che sostenevano invece l'idea che in Russia si stesse "costruendo il socialismo in un paese solo". Dal 1945 partecipò alquanto dall'esterno alla organizzazione del Partito Comunista Internazionalista. Affermò di non voler essere presente ad alcun convegno o congresso per non influenzare con il suo carisma ancora integro lo schieramento dei militanti (disse di non aver problemi a "militare", come stava facendo, ma non voleva assolutamente "generalare"). Alcuni articoli come Bussole impazzite furono scritti contro la confusione che regnava nel giovane partito, come anche l'abbozzo di tesi Natura funzione e tattica del partito rivoluzionario. Nel 1951 preparò con un certo numero di compagni di partito le Tesi caratteristiche sulle quali si consumò la scissione che diede vita ad un nuovo "Partito Comunista Internazionalista" ("Internazionale" dal 1964). Il nuovo organismo si basava sul "centralismo organico" già rivendicato negli anni '20, e ora più significativo che mai nel senso di un rifiuto del modello organizzativo della III Internazionale ("centralismo democratico") a favore di una compagine di lavoro che avesse finalmente la possibilità di realizzarsi. Continuava comunque a denunciare "da sinistra" l'URSS, rimanendo fedele al marxismo e a Lenin, criticando e denunciando lo stalinismo come corollario orientale degli Stati Uniti nella controrivoluzione mondiale. Nel 1964-66 fissò in ulteriori tesi quelle che avrebbero dovuto essere le basi storiche e organizzative del partito rivoluzionario, coadiuvate dall'intenso lavoro di "difesa del programma" e di "restaurazione teorica" iniziato nell'immediato dopoguerra. Nel 1969 fu colpito da una paresi che lo rese semiparalizzato. Ciò non gli impedì di rilasciare una lunga intervista, nel giugno 1970, un mese prima di morire, quasi un testamento politico. Morì il 23 luglio del 1970. Una delle posizioni più acute di Bordiga è sicuramente la sua diagnosi dell’Unione Sovietica come realtà capitalistica: in opposizione ai seguaci di Trotzkij e della teoria del “collettivismo burocratico”, secondo cui l’URSS non poteva essere intesa come una realtà capitalistica perché in essa mancavano del tutto una borghesia imprenditrice, il mercato e la proprietà privata dei mezzi di produzione, Bordiga – scorgendo nel capitalismo, sulle orme dello stesso Marx, non una società governata da un soggetto ma un grande meccanismo anonimo e impersonale. Per sostenere questa tesi, apparentemente poco convincente, scrive centinaia di pagine per spiegare che l’URSS non è mai uscita dal capitalismo, configurandosi essa stessa come una forma di capitalismo mercantile a industria statizzata. L’idea cardinale di Bordiga – semplice ma troppo spesso dimenticata – è che non si può sopprimere il plusvalore senza sopprimere la forma di valore e non si può superare la produzione capitalistica conservandone le categorie economiche. Se dunque dall’URSS non ci si poteva aspettare alcunché, in chi o in che cosa occorreva riporre le speranze? La risposta di Bordiga è semplice: dalla crisi catastrofica del capitalismo – determinata dalle stesse contraddizioni strutturali di cui è intessuto – e dall’insorgenza rivoluzionaria del proletariato, unico Soggetto della storia in senso pieno. Questo modo di pensare – in perfetta sintonia con le tesi della Seconda Internazionale – è stato anche etichettato come un “bolscevismo atemporale” (Costanzo Preve, Ideologia italiana. Saggio sulla storia delle idee marxiste in Italia). Per questa via, l’avvento del Regno di Dio tratteggiato a suo tempo da San Paolo si capovolge in una sobria previsione economica dell’avvento del grande crollo catastrofico del sistema e del grande “risveglio” della classe operaia internazionale. In questo modo, il pensiero di Bordiga assume la forma di un vero e proprio “messianesimo economicistico”. Senza abbracciare l’antifascismo radicale, Bordiga mostra piuttosto come tanto il fascismo quanto l’antifascismo siano posizioni interne alla classe borghese e, pertanto, degne di essere avversate,  anche perché distolgono la classe operaia dai suoi veri obiettivi di classe: “l’antifascismo è il peggior prodotto del fascismo”, scrive Bordiga.

 

IL PRINCIPIO DI INDUZIONE COMPLETA: N+1

"Henry Poincaré, ha potuto mostrare che anche in questa verità si nasconde una convenzione, ossia un arbitrio, alla fine. Già Leibnitz aveva cercato di dimostrare il teorema 2 + 2 = 4. Ma non era che una 'verificazione'. Tutte le nozioni di aritmetica elementare non sono dimostrabili che ammettendo per buono il 'principio di ricorrenza', cioè che se si possono fare date operazioni su n, si potranno fare su n + 1. Occorre inoltre avere definito questo famoso uno in modo che sia proprio quello al principio degli aggettivi numerali, e quando lo affibbio al numero n con quel segno più. Quando poi affibbio tutti quegli uni ad enti concreti, per dati sviluppi e calcoli, devo ritenere che siano tutti identici nelle condizioni reali di ambiente... forse è più facile definire la Divinità che l'unità, di cui ci serviamo mille e mille volte al giorno; ed è in fondo Pacelli che cammina sul sicuro; sul comodo".

Poincaré doveva piacere non poco a Bordiga perché aveva espresso i suoi stessi concetti a proposito della logica. Aveva ad esempio criticato in modo molto acceso Russel il quale intendeva dimostrare che si può ridurre la matematica a logica. La logica, dice Poincaré, è scienza astratta e formale; può essere utile per sistematizzare la conoscenza a proposito della matematica, ma è assolutamente ininfluente sullo sviluppo della matematica come scienza. L'aritmetica e l'analisi sono scienze induttive e quindi rientrano nel "principio di ricorrenza", chiamato anche da Poincaré "principio di induzione completa". Essendo il progresso della matematica induttivo, cioè basandosi sulle conoscenze del tutto nuove che esso stesso provoca nel suo corso, non può essere continuo, per ciò stesso non c'entra con la logica che presuppone sempre il sillogismo se - allora. Solo il modo di ragionare matematico ci permette di compiere il salto qualitativo dal finito all'infinito: una volta che il nostro cervello ha imparato a compiere una certa operazione e la può ripetere più volte con lo stesso risultato, esso è in grado di reiterarla all'infinito, sia materialmente che idealmente. Ma allora questo modo di ragionare si può chiamare assioma, mentre quello di Russel non è che un postulato. Gli assiomi sono dimostrativi, mentre i postulati sono semplici ipotesi. Per dimostrare la propria tesi, Russel interpreta i suoi postulati come assiomi e ciò è sbagliato. Poincaré ritiene che la possibilità di concepire un concetto come quello di "classe di trasformazioni" sia una facoltà a priori del cervello, la manifestazione esteriore di un certo suo modo di funzionare. Per quanto ci sia un po' di linguaggio kantiano, in questo apriorismo si riconosce la presenza degli invarianti. Sappiamo che Poincaré era "filosoficamente" vicino a Felix Klein e sappiamo che Klein è il padre della teoria degli invarianti. Peano era con entrambi al Congresso di Genova dove si sviluppò la polemica contro Russel nel 1904, Bordiga aveva 15 anni e non si interessava ancora di politica. Ma quando incominciò a studiare il problema dello sviluppo delle forme di produzione attraverso le "catastrofi" rivoluzionarie, doveva avere presente quel tipo di riflessioni. La sua battaglia "giovanile", che inizia e si conclude nel 1911-12, è già condotta sulla base di una solida teoria. Il quadro teorico della battaglia di sessant'anni non cambierà più: "Per la descrizione del comunismo e del suo avvento non occorre a noi altro materiale di quello predisposto da Marx nel 1858, un secolo addietro, ossia la serie dei modi produttivi che parte dal primitivo comunismo tribale ed è già pervenuta a darci saggi storici maturamente sviluppati del modo moderno: mercato - capitale - salario. Non abbiamo razzi e missili truffaldini da aggiungere a quelle 'armi convenzionali' della lotta di classe, in dottrina già ben affilate in quel 1858. Da allora non diciamo che la storia si è fermata, ma che ha continuato a discendere nel pattume della fogna borghese, e da allora come partito, e si adonti chi vuole, sappiamo tutto". Così inizia un passo del 1958 in cui ci si riferisce alla serie di Marx in cui compaiono gli invarianti storici entro i modi successivi di produzione, possesso, proprietà, proprietà capitalistica ecc. Il concetto di Poincaré sulla convenzionalità delle notazioni simboliche viene utilizzato per una serie finita e non per una ricorrenza infinita; con questo si dimostra che effettivamente l'opportunista trova più fecondo definire la Divinità che non l'unità, dato che introduce per comodo suo delle mezze unità di transizione che non c'entrano con la serie. "Questo nostro centrale teorema contiene lo sbugiardamento di tutte le menzogne revisioniste che circolano. È facile enunciarlo, sempre a fine non di esaurire lo sterminato tema, ma di chiarificarne e rinvigorirne la duramente raggiunta presentazione. Lo diremo, a rabbia dei chiacchieroni 'a soggetto', in modo schematico. Se le forme o modi sociali col capitalismo sono state n, in tutto esse sono n + 1. La nostra rivoluzione non è una delle tante, ma è quella di domani; la nostra forma è la prossima forma". La serie dei modi di produzione non è progressiva all'infinito, 1-2-3-4 ecc. che sarebbe come dire n+1, n+2, n+3, n+4 ecc. Tale serie è tripartita in grandissime epoche dell'umanità che sono: comunismo primitivo; epoca delle società proprietarie; comunismo sviluppato. Applicando gli invarianti alle forme di produzione troviamo che le tre epoche rappresentano degli "insiemi" che sono sovrapponibili solo a coppie: il comunismo primitivo ha in comune con il comunismo sviluppato solo il fatto di non conoscere la proprietà, ma il comunismo sviluppato conosce la produzione di surplus che invece è conosciuta solo dall'epoca intermedia. D'altra parte sembrerebbe che le due prime epoche non abbiano nulla in comune, mentre sono abbinate dialetticamente da Marx per il fatto di rappresentare, insieme, l'intera preistoria umana ("l'avvento del comunismo rappresenta la fine della preistoria umana"). La formulazione che interessa Bordiga è quindi quella che stacca la rivoluzione comunista dalle forme precedenti. Per questo l'insieme delle forme proprietarie e sfruttatrici con il comunismo primitivo, la preistoria umana, è rappresentato unitariamente dal simbolo "n". Per questo il segno "+" non può che rappresentare la fine della serie (il secondo assioma di Peano afferma che il segno "+" messo dopo un numero produce un numero). Ma nel corso di questo libro abbiamo visto che Marx comprende nel capitalismo sviluppato tutti gli invarianti dei modi di produzione precedenti, quindi n è il modo di produzione che determina tutti gli altri, li contiene. "Il comunismo diverrebbe in teoria la forma n + 2, se comparisse una forma di più che sia già post-capitalismo e non sia ancora comunismo; comunismo con tutti quei precisi caratteri che abbiamo sviscerati partendo dai caratteri differenziali tra il capitalismo che intorno ci appesta e le forme a cui esso è seguito. Se così fosse, non sarebbe giunto un secolo e più fa il momento storico per fondare il sistema invariante della rivoluzione, come dottrina, come partito, come combattimento". Dire n + 2 significa già, nella nostra notazione simbolica e in realtà, essere anticomunisti. Chiunque infatti sostenga che esiste la possibilità di un trapasso graduale da una forma di produzione all'altra attraverso aggiustamenti delle forme precedenti non è comunista ed è automaticamente schierato contro i grandi avvenimenti storici che preparano il salto qualitativo da un tipo di società all'altro. Se quindi neghiamo la possibilità di una forma n + 1 non comunista è perché neghiamo nel tempo stesso l'aberrazione staliniana che sia socialismo la sopravvivenza di capitale, del salario e lo scambio secondo valore. La Russia staliniana era a tutti gli effetti dentro n e non se ne toglieva solo per il nome che Baffone e tutti i suoi seguaci le davano. E di fronte al nostro schema non se la cavano meglio i trotzkisti che di fronte al fenomeno russo abbandonano n ma chiamano n + 1 l'ibrido del tutto fantastico dello "Stato operaio degenerato", quella dominazione della burocrazia che non sarebbe più capitalismo e non è ancora socialismo. Peano aveva ragione e Bordiga lo dimostra: con lo schema si sbugiardano i pasticcioni contaballe, perché al di là delle belle parole i grandi nemici staliniani e trotzkisti devono per forza giungere alla formula comune n + 2 per il comunismo. Essendo fallita la rivoluzione in Occidente, la rivoluzione russa ha dovuto abortire i compiti di doppia rivoluzione e limitarsi ad essere una rivoluzione antifeudale n -1. Facciamo un passo necessario. Se chiamiamo N (maiuscolo) l'insieme delle forme successive di produzione fino al capitalismo sviluppato, possiamo dire che la rivoluzione russa è stata una delle n-sime (minuscolo) formazioni sociali determinate da N. Oggi è facile constatarlo guardando al capitalismo esplosivo, crudele e arraffone della Russia contemporanea, vero sottoprodotto di N, ma i meno giovani ricordano perfettamente cosa significava per uno staliniano anni '50 il paradiso sovietico. Mancando la scienza che sostiene la fede rivoluzionaria, la fede soltanto diventa allucinazione e la professione di "comunismo" assume la stessa natura delle psicosi collettive attorno alle apparizioni della Madonna. Eppure il nostro schema non teme smentite. Applichiamo il principio di ricorrenza: N sia il modo di produzione che determina n formazioni sociali. N è vero per n = 1 (poniamo l'Inghilterra). Se è vero per l'Inghilterra (cioè per 1), è vero per 2 (poniamo la Francia). Quindi è vero per 2. Se è vero per 2, è vero anche per 3. Quindi è vero per 3, e così di seguito finché N coinvolge tutte le forme comunitarie in tutte le aree del mondo e dà luogo a tutte le n forme sociali specifiche. La similitudine esiste solo tra N e N + 1; entrambe sono per la prima volta nella storia degli invarianti alla scala universale. Il passaggio da N a N + 1 è irreversibile: non vi potrà essere ritorno né a N né a N - 1. Con il comunismo, la preistoria dell'umanità è davvvero lasciata alle spalle per sempre. La tragedia dello stalinismo coinvolse anche le file di quei rivoluzionari che stalinisti non erano ma non riuscivano a capire l'importanza dei trapassi storici da un modo di produzione all'altro e guardavano alle rivoluzioni nazionali sottovalutandone l'importanza dato che, dicevano, nella nostra epoca solo la rivoluzione proletaria deve far convergere tutta la nostra attenzione. Lo stalinismo commise la follia di legare le rivoluzioni nazionali dei popoli non bianchi agli interessi imperialistici dello Stato russo e, nella competizione con l'imperialismo americano, la lotta per la libertà, per la democrazia e contro le basi americane divennero lo scopo principale di tutti i partiti "comunisti" del mondo. Bordiga chiamò indifferentismo l'atteggiamento di chi sottovalutava per reazione la lotta "democratica" dei popoli coloniali o ex coloniali. "La stessa follia si ravvisa nel negare carattere di trapasso rivoluzionario alla rivoluzione nazional-liberale dei popoli di colore, per condannarli da un tribunale di fantasia alla immobilità e passività fino a che non possano spiccare lo stalinistico salto da n - 1 ad n + 1 improvvisando dal nulla la lotta di classe tra imprenditori capitalisti e proletari, ovvero facendosi iniettare dall'esterno una volontarista attuazione di socialismo, a cui non si può credere senza passare nel gregge di Stalin. È indiscutibile che fin dall'apparire del modo storico di produzione borghese in vaste parti del mondo, essendo una delle caratteristiche della forma capitalista il passaggio dall'obbiettivo interno, mercato nazionale (che vuol dire indipendenza nazionale, Stato nazionale borghese), all'obbiettivo esterno del mercato mondiale, termine essenziale in Marx, il moto generale si accelera grandemente e gli scarti di tempo nei passaggi tra forme sociali in diverse zone geografiche divengono minori. La rivoluzione borghese del 1848 in Europa, che ebbe alleata la classe operaia rimbalzò in pochi mesi dall'una all'altra delle grandi capitali, e questo è esempio classico del tracciato marxista. Da allora la borghesizzazione e industrializzazione del mondo procede a ritmo invincibile. Quindi quella che abbiamo sempre chiamata doppia rivoluzione, e che ora diremo rapido passaggio da n - 1 ad n, e poi da n ad n + 1, si presenta come un'eventualità storica fortemente probabile, come si era presentata per la Russia. Ma la sua condizione era internazionale, ossia la rivoluzione politica e la trasformazione sociale nei paesi di capitalismo già maturo, come passaggio da capitalismo a socialismo. La dottrina della sinistra ha provato che la rivoluzione russa, mancate e tradite le rivoluzioni occidentali (da n a n + 1) si è dovuta ridurre ad una pura rivoluzione capitalista (da n - 1 ad n). Ma indubbiamente gli effetti del fallimento - più che tradimento di persone - stalinistico sono lì. Non essendo storicamente da attendersi rivoluzioni comuniste vere in Occidente e per ora nemmeno in Russia, in quanto non si vedono partiti organizzati per la presa del potere e sul giusto programma rivoluzionario, gli altri paesi ancora pre-capitalistici non ci possono dare rivoluzioni doppie, come si poteva sperare per la Russia, nel periodo fecondo per l'Europa del primo dopoguerra".

 

INDIETRO