A cura di Alessandro Sangalli
Nei suoi studi degli anni ’50, paragonando la crisi europea del suo tempo alla caduta del mondo classico e dell’Impero Romano, Bauer colloca le origini del cristianesimo nel II secolo d.C. e sostiene che il primo vangelo fu scritto sotto l’imperatore Adriano (117-138), nonostante alcune lettere paoline tendano a retrodatarlo. Bauer traccia il cammino e l’evoluzione delle idee cristiane dall’ellenismo e dallo stoicismo, facendo derivare la dottrina del logos giovanneo da fonti e scritti neoplatonici e negando, in Herr Dr. Hengstenberg, che il cristianesimo sia emerso direttamente dall’ebraismo.
Molto più che nei suoi lavori giovanili, Bauer ora rimarca il potere rivoluzionario del primo cristianesimo, visto come fonte di liberazione dalle ormai vecchie ed impoverite istituzioni dell’Impero Romano. Nel suo ultimo scritto arriva a descrivere il cristianesimo come l’apice socialista della storia greca e romana: nel necrologio scritto per la morte di Bauer, Friedrich Engels riconoscerà il valore e l’importanza di quest’ultimo scritto nell’ambito della critica socialista alla religione. Nel 1908 anche Karl Kautsky, nell’opera Le origini del Cristianesimo, farà proprie alcune tesi di Bauer, che ritorneranno anche in Ateismo nel cristianesimo di Ernst Bloch.
Gli ultimi scritti di Bauer indicano nei sentimenti e nelle idee del pietismo, piuttosto che nell’autonomia della ragione, le principali forze di modellamento della soggettività moderna: i suoi studi sui quaccheri e sul pietismo mostrano proprio come l’intimità passiva e il sentimentalismo fossero state le caratteristiche dominanti dell’illuminismo tedesco. La “ragion pratica” di Kant e Fichte ha semplicemente tradotto in un idioma razionale la voce interna della coscienza pietista. Bauer vede inoltre nel pietismo la fine del cristianesimo positivo, dal momento che questa corrente religiosa ha finalmente eliminato del dogma in favore dell’illuminazione interna e della rettitudine morale individuale. In accordo col suo Cristianesimo rivelato (1843), Bauer continua a definire positive e statutarie quelle religioni che si fondano esclusivamente su simboli, riti e cerimonie esteriori, elementi che egli considera mere illusioni. Nel nuovo impero mondiale si porterà a compimento lo sgretolamento interno dei dogmi e delle credenze religiose, non tramite la ragione speculativa, ma per mezzo del sentimento.
Un accentuato antinazionalismo ed non meno marcato antisemitismo caratterizzano l’ultima fase del pensiero di Bauer. Egli difende la cultura germanica dall’appropriazione politica tentata dal regime prussiano e da quello austriaco, ma ne critica anche i difetti, come, ad esempio, l’eccessiva fedeltà di Goethe alla tradizione metafisica europea. Degno di nota è come Bauer consideri la Germania non un’unità razziale, ma manufatto culturale e storico caratterizzato da una consolidata miscellanea etnica.
Tuttavia, è chiaro che alcuni elementi rimangono esclusi da questo melting pot: Bauer è convinto che sia una naturale differenza razziale a creare uno divisione insanabile tra ebrei ed europei, come emrge dal suo scritto del 1852 La posizione odierna degli ebrei. È forse superfluo segnalare che queste sue tesi saranno utilizzate da molti autori nazionalsocialisti.
Gli ultimi lavori di Bauer contengono osservazioni e analisi quasi profetiche riguardo a fenomeni come la globalizzazione o la guerra mondiale, oltre ad avere molte affinità con una grande varietà di forme ideologiche caratteristiche del XX secolo, quali il socialismo, l’imperialismo e l’antisemitismo. Le opere giovanili, al contrario, sono portavoce di un originale repubblicanesimo hegeliano e offrono interessanti riflessioni sulla pensiero politico della Restaurazione e sull’emergere della società di massa. L’eredità del suo pensiero è, anche per questi motivi, complessa e ricca di conflitti interpretativi.