JOSEPH BUTLER
A cura di Gigliana Maestri e Diego Fusaro
Joseph Butler nasce
nella contea inglese del Berkshire, a Wantage,
nel 1692. Vescovo di Durham e cappellano
nella casa reale, nel 1726 pubblica i Quindici
sermoni sulla natura umana, in cui
espone le sue idee riguardo all'etica. Nel
1736 dà alle stampe l'Analogia della
religione, naturale e rivelata, con la
costituzione e il corso della natura,
dedicata alle sue concezioni teologiche. I Sei
sermoni predicati in pubbliche occasioni
risalgono al 1748, e contengono le
riflessioni del filosofo inglese in materia
politica. Butler muore a Bath nel 1752.
In termini molto generali, egli sostiene
l'idea di una complementarità
tra "natura" e "rivelazione",
opponendosi fermamente ai deisti più radicali,
che invece negano il valore della fede
rivelata. Dal momento che intende cercare
una via attraverso la quale cogliere
qualche conoscenza della realtà trascendente,
Butler afferma l'esistenza di un'analogia
tra le leggi della natura e quelle
dettate dalla rivelazione cristiana, e afferma
che i comandi di Dio
sono naturali e divini ad un tempo.
A questo proposito scrive:
"Paragoniamo la nota costituzione e il noto corso delle cose con quello che è stato detto essere il sistema morale della natura, le dispensazioni riconosciute della provvidenza, o questo governo sotto cui ci troviamo, con la religione che c'insegna a credere e ad aspettare: e vediamo se non siano analoghi e di una stessa sorte. E, in base a questa comparazione, io penso, si troverà che essi sono tali in gran misura: che entrambi possono esser ricalcati secondo le stesse leggi generali, e risolti negli stessi principi di condotta divina".
È il principio
d'analogia, quindi, a fornire un collegamento fra
l'intelligenza limitata dell'uomo e quella
infinita di Dio.
Tuttavia, ciò non implica la possibilità, da
parte degli esseri umani, di conoscere
interamente l'ordine rivelato. Al contrario, Butler
pone l'accento sui limiti
della nostra razionalità, e sul fatto che,
come egli stesso afferma, "la religione
consiste nella sottomissione e nella rassegnazione
alla volontà divina". Sicché, nell'ammettere un'ampia sfera di
coincidenza, o almeno di rapporto analogico, tra ordine naturale e la religione
– in quanto provenienti entrambi da Dio –, Butler vede l'elemento comune non
tanto nella loro intrinseca razionalità (come invece facevano i deisti), quanto
piuttosto nell'inadeguatezza della ragione a spiegare tanto l'uno quanto l'altra.
All'impossibilità di afferrare razionalmente i misteri religiosi corrispondono
infatti limiti analoghi della ricerca scientifica nel giustificare i propri
princìpi. Per questo motivo, affiora in Butler l'esigenza di integrare il dato
razionale con quello rivelato: quest'ultimo, benché sia indimostrabile, dà all'uomo
la più convincente delle fonti di conoscenza. In particolare, dice Butler,
le nostre facoltà non sono in grado
di comprendere il mistero
della creazione. Questo avviene perché
formiamo le nostre conoscenze soltanto
valutando gli "effetti", ossia le cose
che cadono sotto la nostra osservazione; ma
le loro cause reali, così come le
loro intime essenze, ci restano sconosciute.
Analogamente, il mondo in cui viviamo è
un "effetto" della creazione divina,
che però, in quanto "causa", risulta
inafferrabile dall'intelligenza degli uomini. La religione naturale, poi, ha
una sua validità, nel senso che "è
il fondamento e la parte principale
del cristianesimo"; tuttavia, anch'essa ha i
suoi limiti, proporzionali ai limiti della
razionalità umana.
Butler non nega completamente all'uomo la
possibilità di una conoscenza, sia pure
molto circoscritta: sostiene che siamo in grado di
cogliere qualcosa a proposito dei disegni
della provvidenza partendo dalla considerazione
delle cause finali, e del merito e
del demerito personali che ciascuno di
noi può vedere. Questo genere di
consapevolezza è sufficiente per sostenere
la tradizione religiosa e farci praticare
la virtù; eppure, nonostante ciò, il sistema
generale dell'universo, nella sua immensità,
oltrepassa i limiti della nostra ragione.
Secondo Butler, il mistero che nasconde Dio
alla comprensione degli uomini può
dipendere da motivi ben precisi, che la
divinità stessa non intende svelarci. Scrive
infatti il filosofo inglese:
"L'Onnipotente può circondarsi di nubi e di oscurità per ragioni e propositi di cui non abbiamo la minima immagine o idea".
Butler ritiene che
la nostra ignoranza sia "la risposta
appropriata a molte questioni che sono
denominate obiezioni contro la religione, in
particolare a quelle che sorgono alle
apparenze di male e di irregolarità
nella costituzione della natura e nel governo
del mondo". Consapevoli dei limiti
della nostra razionalità, dobbiamo allora
applicarci soltanto a quello che non
eccede i suoi ristretti confini.
Butler si pone poi il problema dei
fondamenti dell'etica, affermando, in tal senso,
il valore normativo della coscienza. Questa
è una facoltà del tutto naturale nell'uomo,
una facoltà grazie alla quale è possibile
l'agire morale. La coscienza
viene definita come un "principio
superiore di riflessione" presente in
ognuno di noi, un principio in grado
di stabilire che alcune azioni sono
giuste ed altre sbagliate. Questo accade
perché la coscienza "opera una
distinzione tra i principi interiori del
suo cuore, così come tra le sue
azioni esteriori", introducendo un giudizio
tra sé ed esse. D'altra parte, la coscienza
può anche essere intesa come la voce
naturale di Dio presente in noi, una
voce che, mentre rivela gli innegabili
limiti dell'uomo, nello stesso tempo ne
scopre l'inesorabile vocazione soprannaturale.