CARLO CAFIERO

 

 

 

Carlo Cafiero (Barletta, 1 settembre 1846 - Nocera Inferiore, 17 luglio 1892) è stato il più importante discepolo italiano dell’anarchismo di Bakunin nella seconda metà dell’Ottocento. Fu il primo divulgatore del Capitale di Marx in Italia nel 1879, oltre che amico sincero di Bakunin per alcuni anni. Nacque da una ricca famiglia di borghesia terriera, fu avviato alla carriera diplomatica che però abbandonò presto. Nel 1870 conobbe personalmente, a Londra, Karl Marx e Friedrich Engels; e nel 1871 cooperò alla diffusione della Prima Internazionale in Italia. Successivamente si allontanò dal marximo, di cui comunque non disconobbe mai la grandezza e l’importanza, divenne uno dei maggiori esponenti del comunismo anarchico ispirato da Bakunin (di cui fu in seguito il principale finanziatore), collaborò ai fogli socialisti del tempo (“La Campana” di Napoli, ecc.) e partecipò ai tentativi insurrezionali di Bologna (1874) e del Matese (1877). Arrestato più volte in Italia e in Svizzera per via della sua fervida attività insurrezionale, fu colpito da una grave malattia nervosa che portò al suo internamento in un manicomio (1883). Nel 1879 aveva pubblicato un compendio del primo volume del Capitale di Marx, che ha goduto di larga diffusione: in questo compendio, egli prende in esame i principali snodi dell’opera marxiana, analizzandoli con rigore e – senza per questo rinnegare il suo anarchismo – dimostrandone la veridicità. Va ricordato che, tra il 1871 e il 1872, Engels confidò molto in Cafiero per contrapporre un vero socialista ai seguaci di Bakunin, che stavano spadroneggiando nel napoletano, tanto che,  descrivendo la situazione a Napoli, all’inizio del 1872, ad un suo corrispondente, sosteneva – riferendosi a Cafiero – che, “vi erano tutti bakuninisti, e vi è soltanto uno, fra loro, che è per lo meno di buona volontà, ed è con me in corrispondenza”. Cafiero non ha elaborato un pensiero organico e sistematico che, prendendo le mosse da una visione complessiva della realtà, giunga a proporre una riforma della società che sia in grado di porre termine alle ingiustizie e ai soprusi di cui ci dà notizia la storia. Per questo motivo, illustrando a Engels il suo atteggiamento politico-filosofico, non fu in grado di andare al di là di una generica professione di razionalismo:

 

“per me, non so se vi siate accorto, io non sono che un razionalista materialista; ma il mio materialismo, socialismo, rivoluzionarismo, anarchismo, e tutto ciò che lo sviluppo continuo del pensiero ci potrà dare in avvenire e che sarà da me razionalmente accettato, non possono essere per me che delle modalità eminentemente soggettive allo sviluppo razionale: sono e sarò razionalista, ecco tutto”.

 

 

Il suo scritto più originale, Anarchia e comunismo del 1880, muove dalla convinzione che la rivoluzione sia una legge che regola la storia dell’umanità e che rende possibile il progresso dei popoli nel corso del tempo: “la rivoluzione è causa ed effetto di ogni progresso umano, è la condizione di vita, la legge naturale dell’umanità: arrestarla è un crimine; ristabilire il suo corso è un dovere umano”. Non è difficile scorgere in questa affermazione, un’eco marxiana. Cafiero era convinto che la società borghese dell’Ottocento fosse profondamente ammalata e che per essa non vi fosse speranza di guarigione se non attraverso una rivoluzione, della cui necessità il proletariato cominciava a rendersi conto, come gli scioperi, le manifestazioni di protesta e le rivolte sempre più frequenti in tutti gli stati europei dimostravano eloquentemente. La mèta a cui bisogna tendere è la libertà, che non può consistere nel semplice riconoscimento dei diritti borghesi, incapaci di incidere sulle condizioni di vita dei lavoratori e di soddisfare le loro esigenze più importanti; la via a cui ricorrere per liberare l’umanità da ogni catena è la rivoluzione violenta. Fin qui, egli concorda con Marx ed Engels. Per questo motivo, Cafiero è contrario al socialismo ufficiale che persegue il proprio disegno nel rispetto pieno della legalità, attraverso una via evoluzionistica (l’attuazione graduale di una politica di riforme a vantaggio del proletariato), e giudica il passaggio di Andrea Costa nel 1881 dall’anarchismo al socialismo e all’azione parlamentare un vero tradimento della causa del proletariato. Per Cafiero non c’è vera libertà senza l’anarchismo, come non può esserci effettiva uguaglianza tra gli uomini senza il comunismo. Infatti l’anarchia viene concepita come la condizione del libero sviluppo sia dell’individuo che della società e il comunismo viene considerato come riappropriazione, da parte dell’umanità nel suo complesso, di tutte le ricchezze della terra, delle quali era stata espropriata ad opera di una minoranza: anche qui l’influsso marxiano è fin troppo evidente. Il suo pensiero, per il quale accetta le definizioni di collettivismo e di comunismo, che considera sinonimi, ha sulla scia di Bakunin, un orientamento nettamente anti-individualistico:

 

“non solo si può essere comunisti; bisogna esserlo, a rischio di fallire lo scopo della rivoluzione una volta ci dicevamo "collettivisti" per distinguerci dagli individualisti e dai comunisti autoritari, ma in fondo eravamo semplicemente comunisti antiautoritari, e, dicendoci "collettivisti" pensavamo di esprimere in questo modo la nostra idea che tutto dev’essere messo in comune, senza fare differenze tra gli strumenti e i materiali di lavoro e i prodotti del lavoro collettivo.... Non si può essere anarchici senza essere comunisti. Dobbiamo essere comunisti, perché nel comunismo realizzeremo la vera uguaglianza. Dobbiamo essere comunisti perché il popolo, che non afferra i sofismi collettivisti, capisce perfettamente il comunismo. Dobbiamo essere comunisti, perché siamo anarchici, perché l'anarchia e il comunismo sono i due termini necessari della rivoluzione”.

 

Scrive ancora Cafiero a proposito dell’anarchia:

 

“Non solo l'ideale, ma la nostra pratica e la nostra morale rivoluzionaria sono eziandio contenute nell'anarchia; la quale viene così a formare il nostro tutto rivoluzionario. È per ciò che noi l'invochiamo come l’avvenimento completo e definitivo della rivoluzione; la rivoluzione per la rivoluzione”.

 

Cafiero è ottimista (di un ottimismo che sconfina nell’utopia) nel valutare la società che sorgerà nel futuro, dopo il successo della rivoluzione anarchica: le ricchezze e i beni a disposizione degli uomini per soddisfare i loro bisogni aumenteranno in quantità per noi inimmaginabile, perché saranno il prodotto spontaneo di lavoratori liberi, senza intermediari e privi di interessi egoistici o speculativi. Per questo sarà possibile, secondo la famosa formula usata da Marx nella Critica del programma di Gotha della socialdemocrazia tedesca, dare alla società secondo le proprie forze e ricevere a seconda dei propri bisogni, e non con un criterio meramente.



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