GIUSEPPE CAPOGRASSI



“Il mondo chiama spesso uomo fortunato colui che ha molte fortune. Come sempre il mondo è in errore. Fortunato è colui che riesce a trovare rispecchiato il proprio essere nell'essere di un altro spirito” (“Pensieri a Giulia”).


 

Giuseppe Capograssi nacque a Sulmona, in provincia di L’Aquila, il 15 marzo 1889 da antiche famiglie di nobili origini. I Capograssi infatti si trasferirono a Sulmona nel 1319 al seguito del vescovo Andrea, da un comune della provincia di Salerno. La casa in cui nacque era appartenuta ai Meliorati, famiglia dalla quale nacque il futuro papa Innocenzo VII. La sua importanza è data dal fatto di aver compiuto studi di filosofia del diritto e dall’aver insegnato a Macerata, dove venne nominato rettore, a Padova e infine a Roma. Venne poco prima della sua morte, datata 23 aprile 1956, eletto come membro della Corte Costituzionale. La sua filosofia è chiamatadottrina dell’esperienza giuridica” e afferma la centralità dell'azione della volontà dell'agente, che è il vero oggetto di interesse. Capograssi fu un insigne studioso che non amava la mondanità ma di cui ci sono rimaste delle testimonianze, scritte da lui stesso, quasi involontariamente, con le quali è possibile conoscere a fondo la sua personalità. Si tratta di circa duemila foglietti, piegati in quattro, scritti ogni giorno alla sua fidanzata Giulia Ravaglia, dal dicembre del 1918 al 18 febbraio 1924, data del loro matrimonio. Si tratta di un unicum tra le corrispondenze d'amore che è stato divulgato dalla vedova dopo molte esitazioni. I foglietti non hanno "a capo" ed erano scritti di getto, come ci riferisce lui stesso, per annullare le distanze e mantenere un contatto più profondo di quello della parola. Tra le opere principali di Capograssi meritano di essere segnalate le seguenti: Saggio sullo Stato (1918), Riflessioni sull’autorità e la sua crisi (1921), Analisi dell’esperienza comune (1930), Studi sull’esperienza giuridica (1932), Il problema della scienza del diritto (1937), Introduzione alla vita etica (1935). Abbiamo già detto che il suo pensiero fu definito “dottrina dell’esperienza giuridica”, in virtù del fatto che, per Capograssi, il principio dell’agire umano risiede nella volontà del soggetto agente, nella sua azione: e nella sua azione si esprime la sua vita. In base a questo presupposto, per Capograssi la filosofia deve occuparsi della vita e dell’azione: così intesa, la filosofia diventa un incessante sforzo di realizzazione e di autenticazione dell’individuo concepito come persona. La concezione che Capograssi fa valere della filosofia viene dunque a incastonarsi nella cornice di quel “personalismo cristiano” che tanta fortuna incontrò nel Novecento: il filosofo abruzzese si pone direttamente sulle orme di Agostino, di Pascal, di Vico, di Rosmini e di Blondel. Ad avviso di Capograssi, filosofo in senso autentico è soltanto chi ha il solitario compito di raccogliere le lezioni segrete della vita e di esprimerle. La fantasia del filosofo non deve servire che a spiegare la vita, ma non un’assoluta (o astratta) vita dello Spirito, bensì la quotidiana vita dei singoli uomini su questa terra.  

 


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