Il primo mistero della vita di Ernesto Guevara riguarda la data
di nascita. Tutti i suoi biografi la fissavano al 14 giugno 1928 (qualcuno
addirittura al 14 luglio), come del resto risulta dall'anagrafe di Rosario,
Argentina. In realtà le cose non stanno così, Jon Lee Anderson nella sua
monumentale biografia del 1997 dal titolo "Che. Una vita rivoluzionaria"
racconta un episodio che mette in discussione anche quella piccola certezza.
Celia de la Serna, la madre di Ernesto, avrebbe rivelato a una sua amica
astrologa che suo figlio era nato il 14 maggio e che lei e suo marito, Ernesto
Guevara Lynch, lo avevano registrato in ritardo per nascondere alle rispettive
famiglie il fatto che il loro matrimonio si era svolto quando lei era già
incinta di tre mesi. Per questo, inoltre, subito dopo le nozze si erano
trasferiti da Buenos Aires nella sperduta località di Misiones: per sfuggire
alla curiosità dei parenti. Quella confidenza sarebbe nata di fronte al quadro
astrale sfavorevole per un Gemelli. Il "Che" - come sarebbe stato soprannominato
soprattutto negli anni della guerriglia cubana - era invece un Toro testardo,
passionale e deciso. Grazie all'astrologia sua madre avrebbe quindi finito per
rivelare la vera data di nascita di quello che sarebbe diventato il
"guerrigliero eroico" per alcune generazioni di latinoamericani. Le biografie
ufficiali che si pubblicano a Cuba continuano tuttavia a far riferimento al 14
giugno. A chi dar credito? Celia de la Serna e Ernesto Guevara Lynch si
conoscono nel 1927. Lei è di nobili origini spagnole, ha vent'anni e una
raffinata cultura. Lui ne ha ventisette, è pronipote di uno degli uomini più
ricchi del Sudamerica e può contare su avi spagnoli (del Paese Basco) e
irlandesi. Quando i due si incontrano, Guevara Lynch ha investito il suo denaro
in una società che fabbrica yacht. Il fidanzamento dura pochi mesi. Il
matrimonio viene celebrato il 10 novembre 1927. La decisione di trasferirsi
nella località di Misiones, oltre alla gravidanza di Celia, viene presa perché
in quella zona ci sono grandi coltivazioni di "yerba mate", la pianta della
tipica bevanda argentina. Guevara Lynch è certo di fare un buon investimento
comprando con i soldi della moglie un grande appezzamento di terra. Quando il
parto è ormai imminente, i due decidono di trasferirsi a Rosario, una città
portuale di trecentomila abitanti. E' lì che forse il 14 maggio, e non il 14
giugno come recita il certificato di nascita, vede la luce Ernesto Guevara. La
famiglia fa presto ritorno a Misiones per seguire gli affari della piantagione
di "yerba mate", quindi si trasferisce a Buenos Aires. Nella capitale argentina
nel dicembre del 1929 nasce Celia, la secondogenita. Nel maggio del 1930 il
"Che" viene colpito dall'asma, una malattia che diventerà cronica e che non lo
lascerà più fino alla morte. Sua madre, imprudentemente, lo ha portato al mare
in uno dei primi giorni dell'inverno argentino. La notte stessa il bambino viene
colto da una crisi di tosse che si trasforma in bronchite asmatica. La famiglia
decide che non può tornare a vivere a Misiones, dove il clima umido sarebbe
stato deleterio per il piccolo Ernesto, e di trasferirsi perciò nella capitale.
Nel maggio del 1932, a Buenos Aires, nasce Roberto, terzogenito dei Guevara. Ma
sono le condizioni di salute di Ernesto a preoccupare i due coniugi che in quel
periodo vivono tra Córdoba e la capitale argentina nel tentativo di aiutare la
cura dell'asma del figlio. E' per questo che alcuni amici suggeriscono alla
famigliola di trasferirsi a Alta Gracia, una cittadina termale nei pressi della
Sierra Chicas e di Córdoba. Il consiglio viene ascoltato. La residenza in quella
località, durata undici anni, favorisce il recupero della salute di Ernesto. Nel
gennaio del 1934 nasce Ana Maria, seconda figlia dei Guevara. Guevara Lynch,
nelle sue memorie, parla di quella fase come di un periodo di ristrettezze
economiche, nonostante potesse contare sugli incostanti introiti della
piantagione di Misiones. Ma i due coniugi ostentano sicurezza e frequentano la
buona società che si riunisce periodicamente presso l'Hotel Sierras. Solo nel
1941 Guevara Lynch ottiene un appalto per ingrandire il Sierra Golf: è l'unico
lavoro retribuito di cui si abbia notizia negli anni passati a Alta Gracia. Il
piccolo Ernesto va a scuola dopo aver compiuto nove anni. Della sua istruzione
fino a quel momento si è preoccupata la madre, che instaura con il figlio un
rapporto particolare, fatto di tenerezze e scambi culturali che dureranno per
sempre. Le condizioni di salute del "Che" lo costringono a letto per lunghi
periodi. Quello stato di isolamento favorisce la passione per la lettura, che
viene interrotta solo dalle partite a scacchi con il padre. Le letture
preferite, anche negli anni successivi, sono i libri di avventure di Emilio
Salgari, Giulio Verne e Alexandre Dumas. Il clima familiare non è idilliaco come
potrebbe sembrare a prima vista; nonostante le incomprensioni, Celia e suo
marito però decidono di non separarsi. Le testimonianze su Guevara bambino
parlano di uno scolaro impertinente che vuole sempre mettersi al centro
dell'attenzione e che ha una straordinaria capacità di apprendimento: è un modo
per reagire alla malattia. La famiglia Guevara ha idee liberali e un po'
anticlericali (a scuola i figli sono esonerati dalle ore di religione). Il loro
primo impegno politico si concretizza nel 1938, quando arrivano a Alta Gracia i
profughi della Guerra civile spagnola (1936-1939). Tra questi ci sono i quattro
figli di Juan González Aguilar, ministro della sanità della Repubblica spagnola.
Quel nucleo familiare simpatizza con i Guevara, che non nascondono la propria
solidarietà con la lotta antifascista che si sta svolgendo in Spagna: Guevara
Lynch contribuisce a fondare un comitato di aiuto alla Repubblica spagnola. Papà
Guevara aveva seguito con trepidazione anche la guerra tra Paraguay e Bolivia
che si era svolta tra il 1932 e il 1935, motivata dalla richiesta del governo di
La Paz di ottenere uno sbocco al mare per il proprio territorio. Il piccolo
Ernesto prova qualche curiosità per quello che accade dall'altra parte
dell'Oceano e che si insinua nelle sue mura domestiche? La politica non
risparmia Alta Gracia, quando nel 1939 Adolf Hitler invade in rapida successione
Austria, Cecoslovacchia e Polonia. Anche in quel caso Guevara Lynch sceglie
l'antifascismo e organizza un gruppo di solidarietà con quanti combattono il
nazismo. Il piccolo Ernesto, a undici anni, fa parte del gruppo di ragazzi di
quel comitato: vi è iscritto d'ufficio. Suo padre si dà un gran daffare per
propagandare le idee contro la penetrazione nazista in Argentina, che può già
contare su una consistente comunità tedesca stanziata a Cordoba. Nel marzo 1942
Ernesto inizia a frequentare il liceo di Cordoba, presso il Colegio Nacional
Dean Funes. Ogni mattina percorre trentasei chilometri in autobus. Un po' per
quella ragione, un po' perché Guevara Lynch ha trovato un partner per formare
un'impresa di costruzioni, l'intera famiglia si trasferisce a Córdoba, in Calle
Chile 288, nei primi mesi del 1943. Nel maggio di quell'anno nasce l'ultimo
figlio dei Guevara, Juan Martín: è l'estremo tentativo di salvare un matrimonio
scricchiolante da tempo. I testimoni dell'epoca parlano di un Guevara Lynch con
la vocazione del playboy. Ernesto inizia a praticare ogni tipo di sport:
football, rugby, nuoto. Dedica tempo pure agli scacchi. I genitori non lo
ostacolano, perché pensano che l'attività sportiva possa migliorare la sua
salute cagionevole. Lui li ripaga cercando di eccellere in tutte le pratiche
sportive. A Córdoba il "Che" diventa amico di Tomás Granado, il figlio più
piccolo di una famiglia spagnola. Poi del fratello maggiore, Alberto, studente
di biochimica e farmacologia all'università e allenatore della squadra locale di
rugby, della quale entra a far parte anche Ernesto. Alberto, molti anni dopo,
dirà che di quel ragazzo lo avevano colpito le precoci letture: Freud,
Baudelaire, Verlaine, Zola, Faulkner, Steinbeck, London e Neruda. La loro
amicizia non si incrina neppure quando Alberto viene arrestato per aver
partecipato alle manifestazioni contro il golpe del generale Pedro Ramírez e
Ernesto si rifiuta di partecipare alla protesta studentesca, sostenendo che
sarebbe stata ininfluente ai fini di ciò che accadeva a Buenos Aires. Alberto
Granado viene scarcerato nel gennaio del 1944, dopo due mesi di detenzione. La
politica non sembra interessare granché il giovane Guevara. E' in quel periodo
che inizia l'ascesa del colonnello Juan Domingo Perón. Con lui prende forma in
Argentina un peculiare "populismo" che raccoglie le istanze delle classi
lavoratrici fino a quel momento prive di diritti. Guevara Lynch milita
nell'Ación Argentina e aderisce al Comité pro De Gaulle di Córdoba, un gruppo
che si batte contro l'invasione nazista della Francia. Alla fine della Seconda
guerra mondiale riceve un attestato di benemerenza firmato dallo stesso generale
Charles De Gaulle. Ernesto segue l'impegno politico del padre come può fare un
figlio. Solo una certa agiografia acritica può sostenere che in quegli anni
avesse uno spiccato interesse per la politica e che la sua formazione si
orientasse verso idee socialiste. Del resto, manifestando la sua opposizione nei
confronti di biografie prefabbricate e piene di lodi, nel giugno 1963, ormai
noto in tutto il mondo scrive una lettera lapidaria al giornalista cubano
Lisandro Otero: "Non mi occupavo di problemi sociali durante l'adolescenza e non
partecipavo alle lotte politiche o studentesche dell'Argentina". Al liceo
Ernesto è uno studente anticonformista e indisciplinato. Nel 1945, quando
frequenta il quarto anno, riceve dal preside ben dieci ammonimenti. Ma le
pagelle sono buone e questo tranquillizza i suoi genitori. In quello stesso anno
il "Che" inizia ad appassionarsi alla filosofia e a prendere appunti in un
taccuino sulle sue letture filosofiche. In sette quaderni scrive una sorta di
storia del pensiero filosofico dalle origini al marxismo. Quelle annotazioni
continuano anche nei dieci anni successivi e poi ancora quando diventerà un uomo
di Stato a Cuba. Ad attrarlo è anche la "Storia contemporanea del mondo moderno"
che in venticinque volumi fa bella mostra di sé nella biblioteca paterna. Nel
1946 Perón è ormai saldamente al potere a Buenos Aires. Qualche mese prima ha
sposato Evita Duarte, una giovane attrice radiofonica che si conquista la
simpatia popolare. E' l'ultimo anno di liceo e quello del diciottesimo
compleanno per Ernesto. La sua iniziale vocazione sembra doverlo condurre a
iscriversi alla facoltà di ingegneria. Ma poi opta per medicina, mentre l'intera
famiglia decide di tornare a Buenos Aires quindici anni dopo il primo
trasferimento. Guevara Lynch è travolto dalle sue disavventure economiche: via
via ha dovuto vendere tutte le sue proprietà. Gli affari non gli sorrideranno
mai. Finito il liceo, Ernesto va a lavorare in una società che costruisce strade
(la Dirección de Vialidad di Córdoba). E' lontano da casa, nel marzo 1947,
quando gli giunge la notizia dell'agonia dell'amatissima nonna Ana Isabel, madre
di suo padre. Lui - quando le condizioni della donna sono ormai disperate - va a
trovarla e le resta accanto nei diciassette giorni in cui si spegne a poco a
poco. La sua morte lo getta nello sconforto. E' forse quell'agonia che induce il
"Che" a rompere gli indugi e a iniziare gli studi di medicina. Cerca un lavoro
presso la Clinica Pisani, diretta dal dottor Salvador Pisani che conduce
ricerche contro le allergie. Diventa assistente-ricercatore volontario e decide
di specializzarsi anch'egli nel trattamento delle allergie. I suoi genitori
intanto comprano una casa in Calle Araoz a Buenos Aires, nei pressi del
quartiere Palermo dove vive la buona borghesia. I rapporti tra i due coniugi
continuano ad essere molto tesi, pur non portandoli alla definitiva decisione di
separarsi. Nel corso del primo anno di università (1947) Ernesto fa la visita
militare. Viene esonerato grazie alla sua asma cronica. In quel periodo nasce la
sua amicizia per la collega universitaria Berta Gilda Infante, detta "Titta",
che è iscritta alla gioventù comunista argentina e insieme alla quale segue
alcune lezioni presso il Museo delle scienze. Il loro rapporto di scambio
intellettuale - forse un amore non sbocciato - dura per molti anni ed è segnato
da una corrispondenza fiume. Neanche nell'iniziale periodo universitario il
"Che" brilla per le sue passioni politiche: legge, si informa, annota qualche
osservazione dopo la lettura del "Manifesto del partito comunista" di Marx e
Engels, ma niente di più. Eppure nel 1950 Perón scioglie per decreto le
opposizioni e trasforma il suo governo in un regime autoritario poggiato però su
un'attenzione verso i ceti proletari dell'Argentina. Non ci sono tracce di
simpatia o di antipatia per Perón da parte di Ernesto. Lui predilige la
medicina, la letteratura e passa giornate intere a studiare in biblioteca. Nel
1948 si innamora di Carmen Córdoba a cui dedica, nei fuggevoli incontri, la
lettura delle poesie d'amore del poeta cileno Pablo Neruda. Il primo gennaio del
1950 il "Che" parte per il suo primo viaggio all'interno dell'Argentina. Lo fa a
bordo di una bicicletta dotata di un piccolo motore. La rotta è verso Córdoba,
ma il suo obiettivo è dirigersi a San Francisco del Chañar, dove l'amico Alberto
Granado lavora presso un lebbrosario e gestisce una farmacia. I due decidono di
proseguire insieme quel viaggio. Alberto ha una moto che si sarebbe incaricata
di trascinare la bicicletta di Ernesto. Quest'ultimo inizia a scrivere un diario
sulle sue avventure. Ben presto Granado torna al suo lavoro nel lebbrosario.
Guevara, invece, visita dodici province per un totale di quattromila chilometri
percorsi. Il viaggio desta la voglia di conoscenza di Ernesto, che inizia a
programmare nuove escursioni. Ma la tensione dei preparativi viene interrotta
dal primo serio innamoramento. La passione scatta per María del Carmen Ferreyra,
soprannominata Chichina, figlia di una delle famiglie più nobili di Córdoba. La
incontra nella città, dove si reca con tutta la famiglia per partecipare al
matrimonio di Carmen, una delle figlie di González Aguilar. Chichina ha solo
sedici anni. L'età non è un ostacolo per Ernesto, che se ne innamora
perdutamente e vuole sposarla. L'opposizione della famiglia di lei è subito
netta, nonostante il "Che" inizi a recarsi a Córdoba con puntualità
cronometrica. La frequentazione tra i due dura per l'intero 1950. Alla fine
dell'anno Guevara non approfitta però delle vacanze per andare a Córdoba.
Preferisce imbarcarsi come infermiere sulle navi di una compagnia petrolifera.
Parte per il Brasile il 9 febbraio 1951 e trascorre in mare sei settimane. Di
Chichina chiede notizie ogni volta che telefona a casa, ansioso di sapere se ci
sono delle lettere per lui giunte da Córdoba. A giugno torna agli studi
universitari. Ha ventitré anni e gliene mancano due per raggiungere la laurea.
Afflitto dall'impossibilità di sposare Chichina, il "Che" accetta la proposta di
Alberto Granado di progettare insieme un viaggio per il Sudamerica a bordo di
una moto chiamata "La Poderosa II" (una vecchia motocicletta Northon di 500
cavalli di cilindrata). Il 29 dicembre lasciano Córdoba e si dirigono a sud. Il
30 dicembre sono a Rosario, il 31 a Buenos Aires dove Guevara si congeda dalla
famiglia. Partono il 4 gennaio 1952. Ernesto chiede all'amico di fare tappa
sulla costa atlantica, a Miramar, dove Chichina sta trascorrendo le sue vacanze.
Vuole salutarla e forse dirle addio. Le regala un cagnolino di nome Come Back.
Quella sosta dura otto giorni. La separazione - racconterà Granado - è
struggente. Lo testimonia anche il diario di Ernesto: "Con il sapore agrodolce
dell'addio mi sentii portare definitivamente da venti di avventure verso mondi
che supponevo più strani di quanto si sarebbero rivelati. Più il tempo passava
più mi piaceva, o amavo, la mia innamorata". Lei gli affida quindici dollari e
l'impegno a tornare indietro con una sciarpa. Granado e Guevara trascorrono in
viaggio quattro settimane prima di abbandonare l'Argentina. Poi raggiungono il
Distretto dei laghi, nei pressi della Cordigliera che fa da confine con il Cile.
I soldi sono pochissimi e i due devono vivere di espedienti. Dal Cile procedono
verso l'Isola di Pasqua: vogliono recarsi nel locale lebbrosario. Ma la moto fa
le bizze, non resiste al peso dei due e dev'essere abbandonata lungo il
percorso. Giungono a Valparaiso, dove apprendono che per molti giorni non ci
sono traghetti che fanno rotta per l'Isola di Pasqua. Decidono di imbarcarsi
clandestinamente sulla San Antonio, una nave merci diretta ad Antofagosta.
Quando si presentano al capitano, hanno la fortuna di essere accolti a bordo: a
Guevara viene affidata la pulizia dei bagni, a Granado vengono assegnati i
lavori di cucina. Giunti ad Antofagosta, impossibilitati a proseguire via mare,
dirottano verso la miniera di rame di Chuquicamata gestita da una multinazionale
statunitense. Lì scoprono la dura condizione di lavoro dei minatori. Il "Che"
annota nel suo diario che il Cile è un paese potenzialmente ricco di risorse, ma
che il suo futuro dipende dalla capacità di scrollarsi di dosso la dipendenza
dall'economia degli Stati Uniti. Un giornale cileno, dopo la loro partenza da
Temuco, scrive nella cronaca locale: "Due argentini specialisti in lebbra
percorrono il Sudamerica in motocicletta". La tappa successiva è il Perù. Nel
lebbrosario di Huambo hanno notizie del medico Hugo Pesce, che ne è il
fondatore: vive a Lima e milita nel Partito comunista. Giungono nella capitale
peruviana il primo maggio. Il loro viaggio è già durato quattro mesi. Decidono
di andare a trovare il dottor Pesce che li accoglie con simpatia e offre loro un
alloggio presso un ospedale per lebbrosi. Quel medico si è laureato in Italia,
dove ha incontrato il filosofo marxista José Carlos Mariategui. Guevara viene
colpito dal modo con cui Pesce esercita la sua professione: si rende conto che
un medico può avere un'utilità sociale. In quei giorni il "Che" viene assalito
dai suoi tradizionali attacchi d'asma. La corsa del viaggio riprende con
l'attraversamento delle Ande. Da Iquitos decidono di recarsi nel lebbrosario di
San Pablo, sulle rive del Rio delle Amazzoni, al confine tra Colombia e Brasile.
Vi rimangono due settimane. Poi, a bordo di una zattera che viene regalata loro
e che si chiama "Mambo-Tango" - hanno ballato quei ritmi a non finire nella
festa di addio - si dirigono a Leticia dove Guevara firma un contratto per
allenare la locale squadra di football per due settimane. Da lì, a bordo di un
aereo, volano a Bogotà. La capitale colombiana appare subito ai due inospitale e
poco interessante. Quel paese vive l'onda lunga della protesta contro "el
Bogotazo": la rivolta che segue l'assassinio di Jorge Eliécer Gaitán, leader del
Partito liberale, avvenuto nell'aprile del 1948. Da La Paz partono verso il
confine con il Venezuela. Il 17 luglio arrivano a Caracas. Granado, grazie a una
raccomandazione del dottor Pesce, va a lavorare in un lebbrosario nei pressi
della capitale. Guevara decide di far ritorno in Argentina. "Aveva una sete
furibonda di sapere: si guardava intorno, domandava, poi scaricava le
conclusioni sugli altri", annota Granado. Il "Che" vuole tornare agli studi e
laurearsi in fretta per rendersi utile, dopo quello che ha visto gironzolando
per il continente. "Dopo tanti mesi passati insieme, la separazione è dura.
Entrambi stiamo nascondendo la tristezza che vela i nostri sguardi", scrive il
suo amico. Ernesto prende un aereo che lo trasporta a Miami. Da lì sarebbe
ripartito alla volta di Buenos Aires. Una volta giunto in Florida, l'aereo ha
un'avaria. La riparazione dura quasi un mese, durante il quale il "Che" ha la
possibilità di rendersi conto di quanto sia diversa la situazione economica
degli Stati Uniti rispetto a quella dei paesi dell'America Latina. C'è il tempo
per usare i quindici dollari affidatigli da Chichina e comprare una sciarpa che
non le consegnerà mai. Quando Guevara torna in Argentina, il 31 agosto, Evita
Perón è morta da pochi giorni di cancro, all'età di trentatré anni. I suoi
funerali sono stati una commovente manifestazione di dolore popolare. Per
terminare gli studi in medicina a Ernesto restano quattordici esami. Alle spalle
ha un viaggio che è stato una sorta di educazione sentimentale alla vita. Quel
giovane non è più uguale a prima. Ha fretta di trovare il suo posto nella
società e di rendersi utile come medico. Nel novembre 1952, alla vigilia di
un'importante sessione di esami, il "Che" si ammala. Contrae una malattia
infettiva nella Clinica Pisani, dove è tornato a prestare la sua attività di
assistente-ricercatore volontario. Nonostante l'infermità, supera tre esami.
Studia e si prepara con foga. A dicembre ne supera dieci. L'ultima prova la
svolge l'11 aprile 1953. Tutta la famiglia è felice, anche se Ernesto annuncia
che sta progettando un nuovo viaggio. Questa volta parte con Carlos Ferrer, un
amico d'infanzia ribattezzato Calica. Il viaggio, con direzione Bolivia, inizia
il 7 luglio a bordo di un treno. Dopo alcuni giorni giungono a La Paz. Al potere
c'è il Movimiento nacionalista revolucionario che ha dissolto l'esercito e
nazionalizzato le miniere, inaugurando una politica democratica. I due fanno
amicizia con Ricardo Rojo, un avvocato argentino che è dovuto emigrare per la
sua militanza nell'Unión civica radicale, un'organizzazione antiperonista. Tutti
insieme si rendono conto come la politica progressista del governo boliviano non
piaccia a Washington. La curiosità spinge Guevara e Calica a visitare le miniere
di Balsa Negra, nei pressi di La Paz. "Il silenzio della miniera assale quelli
come noi che non ne conoscono il linguaggio", annota il Che. Anche qui è la dura
vita dei minatori che vivono ai margini della società, pur producendo la
ricchezza economica della Bolivia, a colpire Ernesto. I due si fermano a La Paz
per oltre un mese. Poi partono verso il confine con il Perù. Dopo una deviazione
per vedere Macchu Picchu, si dirigono verso Lima, dove vengono accolti nel
locale lebbrosario di Guia e dal dottor Pesce. Il 28 settembre arrivano in
Ecuador. Guevara spera di trovare un lavoro, dopo che sua madre lo ha
rassicurato di essere riuscita ad avere una raccomandazione presso il Presidente
di quel paese, Velasco Ibarra. Riescono a incrociare il capo di Stato a
Guayaquil, dove questi è in visita. Ma il colloquio è deludente. Non riescono a
incontrare il Presidente e parlano solo con il suo segretario. Dopo alcune
settimane di dolce far niente, il "Che" decide di intraprendere la marcia verso
il Guatemala. A convincerlo a partire ci pensa un nuovo amico, Gualo García. Con
la nave "Guayos" si dirigono a Panama. Qui Guevara scrive un articolo
sull'Amazzonia che gli viene pagato venticinque dollari dal giornale
"Panama-America". Poi, si parte alla volta del Costa Rica che grazie alla sua
politica progressista ospita molti dirigenti della sinistra latinoamericana.
Guevara ha la possibilità di incontrare Juan Bosch, leader del Partido
democratico revolucionario della Repubblica dominicana, e Manuel Mora Valverde,
dirigente del Partito comunista del Costa Rica. Si riparte attraverso Nicaragua,
Honduras, El Salvador. Guevara giunge a Città del Guatemala il 20 dicembre. Al
potere è il governo progressista di Jacobo Arbenz, che ha messo fine al regime
del latifondo in agricoltura e nazionalizzato alcune proprietà, tra cui quelle
della statunitense United Fruit che gestiva le ferrovie. La tensione con
Washington, a causa di quella politica, è altissima. Nella capitale guatemalteca
il "Che" incontra per la prima volta Hilda Gadea, una giovane peruviana sui
trent'anni dai tratti somatici indios. E' una delle dirigenti in esilio
dell'Apra (Partido alianza popular revolucionaria americana, un'organizzazione
nazionalista del Perù in cui era presente un'ala di sinistra). Si trova in
Guatemala per collaborare con il governo di Arbenz. Tra i due nascono simpatia e
attrazione. Guevara si identifica con quanto sta accadendo in Guatemala. Hilda
gli fa conoscere molte personalità importanti di quell'esperimento politico e
anche alcuni immigrati cubani, tra cui Antonio Nico Lopez. Forse è proprio
quest'ultimo ad affibbiare per la prima volta all'argentino il nomignolo di
"Che", che vuol dire "ehi, tu", per il suo tipico intercalare. Ben presto scopre
con delusione che per esercitare la sua laurea di medico in quel paese straniero
dovrà studiare medicina per un altro anno, anche se c'è solo un medico
specialista come lui in allergie. L'incontro con Hilda si rivela decisivo per la
formazione politica di Guevara: è lei che gli fa leggere in modo sistematico i
primi testi marxisti, mentre lui le fa conoscere la filosofia e le teorie sulla
psicanalisi di Freud e Jung. E' sempre lei che lo aiuta di fronte alle
ristrettezze economiche che sta attraversando. In una lettera alla madre
annuncia che "se le cose andranno bene" ha intenzione di fermarsi in Guatemala
per almeno "due anni". La situazione politica precipita. Gli americani iniziano
a progettare l'invasione del Guatemala per mettere in ginocchio il governo di
Arbenz. Nel gennaio del 1954 tutti i piani sono pronti. Guevara lavora intanto
al suo primo libro (alcuni capitoli vanno perduti), "Il ruolo del medico in
America Latina", che contiene una spietata analisi della situazione sanitaria e
una storia della medicina in quel continente dal colonialismo in poi. Tutti i
suoi amici, preoccupati per quanto può accadere in Guatemala, partono. Il suo
unico ancoraggio resta Hilda, anche se il loro rapporto sentimentale è
fluttuante. A marzo la X Conferenza interamericana dell'Organizzazione degli
Stati americani vota una mozione che autorizza gli interventi militari "in tutti
gli Stati membri dominati dal comunismo" (la delegazione del Guatemala si
schiera contro quella risoluzione, ma si astengono solo Messico e Argentina).
Guevara, sfiduciato per la sua situazione economica, annota nei diari che se ne
sarebbe andato volentieri da un'altra parte, probabilmente in Venezuela, ma non
sa come pagare la pigione della pensione che lo ospita. Poi cerca di ottenere un
documento di residenza. Deve però lasciare il paese temporaneamente per ottenere
un nuovo visto di soggiorno. A maggio viene scoperto, nel porto guatemalteco
Puerto Barrios, un carico di armi provenienti dalla Cecoslovacchia. E' il
pretesto che Washington aspettava. I primi scontri tra reparti dell'esercito e
reparti addestrati dalla Cia si verificano proprio a Puerto Barrios. In quei
giorni il "Che" si trova fuori dai confini del Guatemala, ma vi fa ritorno
rapidamente. Il 2 giugno viene scoperto un complotto contro Arbenz. Il 17 giugno
l'aviazione statunitense inizia a bombardare il paese, reo di aver intrapreso
una politica "filocomunista". Città del Guatemala si arrende il 3 luglio. Al
potere sale Castillo Armas. Arbenz abbandona il paese. Guevara trova asilo
presso l'ambasciata argentina. Hilda Gadea viene arrestata e successivamente
scarcerata, dopo uno sciopero della fame. La repressione si abbatte su chiunque
sia sospettato di aver collaborato con il precedente governo. Il "Che" trascorre
oltre un mese nell'ambasciata. Quando può tornare libero cerca di ottenere il
permesso per recarsi in Messico. Hilda è in attesa di un visto per tornare in
Perù. I due sembrano doversi separare per sempre: il destino li allontana.
Guevara parte a metà settembre. L'obiettivo è il Messico, dove Arbenz sta
raggruppando i suoi sostenitori. Città del Messico è in quel periodo una città
ricca di attività culturali dove il Partido revolucionario institucional del
presidente Lazaro Cardenas assicura un clima democratico. Il "Che", nelle
lettere inviate alla madre in quel periodo, si dice ancora confuso su quello che
vuole fare della propria vita. Intanto chiede a Celia di aiutare i profughi
guatemaltechi che si recano a Buenos Aires. A Città del Messico, dove giunge il
21 settembre, avviene il reincontro con Nico Lopez, uno dei suoi amici cubani.
Questi gli parla dell'imminente arrivo di Fidel Castro, di Raul Castro e di
altri militanti del Movimento 26 luglio che hanno dato l'assalto al quartier
militare del Moncada a Santiago di Cuba con l'obiettivo di avviare una
rivoluzione. Un'amnistia potrebbe liberarli da un momento all'altro.
L'intenzione di quel gruppo è di fare proprio del Messico il luogo d'appoggio
per riorganizzare la lotta contro il governo del militare Fulgencio Batista. A
coordinare le attività dei cubani in Messico ci pensa Maria Antonia González. E'
in questo periodo che probabilmente avviene la scelta politica definitiva di
Guevara, che già in Guatemala aveva iniziato a simpatizzare per le posizioni
della sinistra. In alcune lettere indirizzate alla madre rivela le sue
convinzioni: ormai può dirsi comunista. Il 27 maggio, in una di quelle missive,
sostiene che qualcosa potrebbe attirarlo verso L'Avana e le sorti di quella
rivoluzione. Il primo incontro tra Fidel Castro e il "Che" avviene alla fine di
giugno 1955, nella casa di Maria Antonia González. Hilda, nelle sue memorie,
sostiene che i due si vedevano quasi ogni giorno e che fraternizzarono
immediatamente. Del resto, Guevara scrive nei suoi diari: "E' stato un evento
politico incontrare Fidel Castro, il rivoluzionario cubano: un ragazzo
intelligente, molto sicuro di sé e di straordinario coraggio: penso che tra noi
ci sia una simpatia reciproca". Nella stessa estate decide di sposarsi con
Hilda, che nel frattempo è rimasta incinta. Il matrimonio avviene il 18 agosto
1955 a Tepotzotlan, una località alle porte della capitale. I testimoni sono
Lucila Velasquez, Jesus Montané Oropesa, uno dei segretari di Castro, e due
colleghi di Ernesto dell'ospedale dove presta il suo lavoro volontario di
medico. Alla cerimonia è presente anche Raul Castro, ma non Fidel, pedinato
dalla polizia americana e dalle spie del regime di Batista. Guevara comunica il
matrimonio ai genitori a cose fatte: "Mi immagino la sorpresa che sarà stata per
voi ricevere questa bomba così esplosiva e comprendo la quantità di
interrogativi che vi avrà provocato. Avete ragione nel lamentarvi del fatto che
non via abbiamo avvertito nel momento in cui celebravamo il nostro matrimonio.
Ci è parso più prudente fare così, data la quantità di difficoltà in cui ci
troviamo". Hilda partorisce il 15 febbraio 1956. Dà alla luce una bambina: Hilda
Beatriz (è morta a L'Avana nel 1995). Il padre ironizza sui suoi tratti somatici
che assomigliano a quelli della madre: "La mia anima comunista si espande: è
venuta fuori uguale a Mao Tse Tung". Intanto fervono i preparativi per un
ritorno a Cuba del manipolo di militanti del Movimento 26 luglio. Il gruppo
prepara la sua strategia e si addestra militarmente. Il 6 luglio, in una
lettera, Guevara annuncia ai genitori che il suo destino è legato a quello della
rivoluzione cubana: "Un po' di tempo fa, un giovane leader cubano mi ha invitato
a entrare nel suo movimento, un movimento armato che vuole liberare la sua
terra, e io ho accettato". Il "Che" è ormai un uomo politicamente maturo che
segue con trepidazione le vicende argentine. Nel settembre 1955 Perón viene
deposto in Argentina e costretto all'esilio. Il 24 settembre Guevara, in una
lettera alla madre, si esprime su quegli avvenimenti svelando la sua posizione
nei confronti del controverso "peronismo": "Ti confesso con tutta sincerità che
la caduta di Perón mi ha profondamente amareggiato; non per lui, ma per quello
che significa per tutta l'America Latina, perché suo malgrado e nonostante il
forzoso tentennamento degli ultimi tempi, l'Argentina era il paladino di tutti
noi che pensavamo che il nemico stesse al nord. Per me, che ho vissuto le amare
ore del Guatemala, si è trattato di un calco a distanza". A novembre, in una
lettera alla sua amica Tita Infante, Guevara scrive che sta leggendo
assiduamente le opere di Marx e Engels. Poi rivela che forse la sua vita
matrimoniale si può rompere definitivamente: "Mia moglie sta per partire per il
Perù, dove visiterà la sua famiglia che non vede da otto anni. C'è certamente
dell'amarezza in questa rottura, dal momento che lei è una compagna leale e la
sua condotta rivoluzionaria è stata irreprensibile. Ma le nostre divergenze
spirituali sono molto forti e io vivo con questo spirito anarchico che mi fa
sognare orizzonti dal momento che ho 'la croce delle tue braccia e la terra
della tua anima', come diceva Pablito" (il riferimento è a una poesia di Pablo
Neruda). I preparativi per trasferirsi a Cuba sono ormai nella fase finale. Gli
anni Cinquanta e Sessanta imprimono radicali novità sulla scena internazionale.
Il centro del mondo, per la prima volta, sembra spostarsi a sud. In Europa e in
Occidente continua a soffiare il vento dell'ottimismo post-Seconda guerra
mondiale: "ricostruzione", "boom economico", rinnovamento degli stili di vita,
pace ritrovata nonostante la "guerra fredda" tra Stati Uniti e Unione Sovietica.
John Fitzgerald Kennedy, Nikita Krusciov, Willy Brandt, Giovanni XXIII, Brigitte
Bardot e Beatles sono nomi che contraddistinguono un'epoca e indicano la voglia
di cambiare politica, religione, costume, musica. Ma a Sud, per la prima volta,
crescono le ansie di indipendenza e autonomia: movimenti nazionalisti e di
liberazione chiedono la fine del colonialismo, del predominio di un paese
sull'altro e delle politiche economiche dipendenti. Dopo la rivoluzione cinese
del 1949 guidata da Mao Tse Tung e la Guerra di Corea che durerà dal 1950 al
1953, tocca a Cuba, Algeria, Vietnam infiammare le speranze di riscatto. In
Africa, Asia e America Latina cresce la febbre dell'indipendenza. Tre interi
continenti sono in subbuglio, se non addirittura in rivolta. I primi giorni del
1959 le notizie che giungono da L'Avana non turbano le Cancellerie di Washington
e Mosca. In quel piccolo paese prevale una rivoluzione in sintonia con la
stragrande maggioranza dei cubani che mal sopportavano la dittatura di Fulgencio
Batista, il sergente salito al potere nel 1952 con un colpo di Stato e rimasto
in sella grazie alla compiacenza degli Stati Uniti. La Casa Bianca, spinta dagli
eventi, ritiene inevitabile la fine dei vecchi equilibri di governo dell'isola e
segue via via con distacco quanto avviene a Cuba nel triennio 1956-1959. Il
Cremlino - almeno in apparenza - non si occupa delle vicende di una rivoluzione
dal sapore nazionalista, per giunta collocata a pochissimi chilometri dalla
Florida. Il mondo è rigidamente diviso in due: da una parte ci sono i paesi che
orbitano nella sfera degli Stati Uniti, dall'altra ci sono quelli che sono
legati all'Unione Sovietica. L'America Latina è tradizionalmente il "cortile di
casa" di Washington. Rompere quella suddivisione è un'eccezione, non la regola.
Cuba, in quel momento, appare agli osservatori della diplomazia internazionale
un'isola imperscrutabile. E' diventata indipendente dalla Spagna solo nel 1898.
Ha subito negli anni successivi una sorta di protettorato da parte degli Stati
Uniti. Dagli anni Trenta in poi ha conosciuto una serie quasi ininterrotta di
governi autoritari. L'estrema povertà delle campagne convive con la ricca
borghesia dello zucchero e del tabacco formatasi nel corso del dominio spagnolo.
L'Avana è anche un luogo mitico nei racconti di viaggio di Ottocento e inizio
Novecento: tra i porti più importanti del mondo, tra le città dell'America
Latina dalla vita culturale più intensa e vivace. E a Cuba - prima che in molti
paesi europei, compresa l'Italia - arrivano prestissimo i treni su rotaia e,
agli inizi degli anni Cinquanta, la televisione, anche quella a colori: gli
Stati Uniti hanno infatti usato l'isola come luogo di sperimentazione
tecnologica, oltre che come meta di turismo, sale da gioco e sesso a pagamento
(la moda si era intensificata negli anni del "proibizionismo" americano).
Washington considera l'isola più grande delle Antille come un suo territorio
oltre confine. All'inizio si sa ben poco dei programmi di quel gruppo di
guerriglieri che, sbarcati a Cuba il 2 dicembre 1956 a bordo di un'imbarcazione
denominata Granma, sono sopravvissuti in una dozzina a una spietata repressione
(qualcuno scriverà "come gli Apostoli di Gesù Cristo", contribuendo alla
leggenda) e poi si sono riorganizzati sulla Sierra Maestra, dove dopo due anni
di combattimenti hanno dato scacco a esercito e aviazione. A guidarli è Fidel
Castro, ex leader studentesco dell'Università dell'Avana, avvocato di belle
speranze e dalla sperimentata arte oratoria, che il 26 luglio del 1953 -
richiamandosi a José Martl, eroe della guerra d'indipendenza contro la Spagna -
aveva tentato di assaltare la caserma Moncada di Santiago di Cuba. Sopravvissuto
con pochi altri allo scontro con i militari, era stato arrestato e condannato a
quindici anni di carcere alla fine di un processo nel quale si era difeso da
solo pronunciando un'interminabile arringa. Un'amnistia lo aveva liberato il 15
maggio 1955. Castro prendeva contatto con gli esuli cubani a New York al fine di
lanciare una sottoscrizione per il suo Movimento 26 luglio e conquistare una
certa benevolenza nell'opinione pubblica democratica degli Stati Uniti. Poi
faceva rotta verso il Messico per iniziare l'addestramento militare di un
manipolo di uomini e tentare l'avventura del ritorno in patria e della sfida
decisiva al governo di Batista. I preparativi non sono facili. Il 20 giugno 1956
Fidel Castro viene arrestato a Città del Messico. La polizia accusa lui e i
militanti del Movimento 26 luglio di progettare con i comunisti cubani e
messicani l'assassinio di Batista: Cuba chiede la loro estradizione. In pochi
giorni vengono arrestati quasi tutti coloro che avevano collaborato con Castro,
tra i quali Guevara e sua moglie Hilda (Fidel usava il recapito di quest'ultima
per la corrispondenza clandestina). Castro si difende dalle accuse segnalando il
pieno accordo con Eduardo Chibas, leader del Partito ortodoxo e anticomunista
dichiarato. Guevara, per i suoi precedenti viaggi in America Latina, viene
indicato come il probabile trait d'union tra il Movimento 26 luglio e le
centrali del comunismo internazionale. Castro viene liberato il 24 luglio:
l'accordo con le autorità prevede che lasci il Messico entro due settimane.
Guevara viene liberato a metà agosto. Anche per lui vale la stessa clausola:
deve abbandonare il paese. Fidel ha deciso di aspettarlo prima di decidere il da
farsi. L'intero gruppo del Movimento 26 luglio si disperde sul territorio
messicano. A fine settembre si accelerano i preparativi del ritorno a Cuba.
Castro acquista il Granma, uno yacht di proprietà dell'americano Robert Erickson
che svendeva anche la propria casa a Tuxpan. Il prezzo pattuito è di
quarantamila dollari per l'uno e l'altra. Intanto crescono i dissapori tra Fidel
e il Partito socialista popolare cubano (il locale partito comunista), contrario
a intraprendere la lotta insurrezionale. Nella notte del 24 novembre il Granma
salpa alla volta di Cuba: a bordo ci sono ottantadue uomini, molti di più di
quanti ne possa contenere quell'imbarcazione. Guevara viene arruolato come
medico con il grado di tenente. Prima di partire invia una lettera alla madre
che ha il sapore di un possibile addio. E' consapevole che la morte può
raggiungerlo da un momento all'altro. La spedizione si rivela un fallimento dal
punto di vista militare. Castro fa sapere a Frank Pais, il dirigente del
Movimento 26 luglio a Santiago di Cuba, che il Granma sarebbe sbarcato a Playas
las Coloradas il 30 novembre. Per quella data Pais si impegna a organizzare
manifestazioni di protesta nella capitale orientale dell'isola. Ma lo yacht con
a bordo gli ottantadue uomini sbaglia rotta e subisce dei ritardi a causa delle
condizioni atmosferiche: tocca la costa cubana solo il 2 dicembre, quando la
polizia ha già represso la protesta di Santiago. Esercito e aviazione sono
intanto nella zona di Niquero, dove è avvenuto lo sbarco. Il 5 dicembre
l'esercito sorprende i rivoluzionari nella località di Alegria de Pio: è una
strage. Si salvano in quindici, che si dividono per sfuggire ai militari. Tra i
superstiti c'è pure Gino Doné Paro, un ex partigiano italiano che da Cuba si era
unito al drappello rivoluzionario in Messico: riesce a raggiungere Santa Clara
per partire alcuni mesi dopo alla volta degli Stati Uniti. A L'Avana il governo
di Batista è convinto di aver stroncato l'insurrezione e che tra i morti possa
esserci anche Fidel Castro. I giornali messicani danno l'annuncio che la stessa
sorte è toccata a Guevara. Il Movimento 26 luglio, come era avvenuto nel 1953
nel tentativo di assalto alla caserma militare Moncada di Santiago, sembra
condannato alla sconfitta. Sarà un'intervista concessa al corrispondente del
"New York Times" Herbert Matthews nel febbraio del 1957 a rivelare all'opinione
pubblica cubana e internazionale che il "comandante en jefe" Fidel Castro è
ancora vivo e sta riorganizzando il suo movimento in una vera e propria
guerriglia lungo i tornanti e la foresta della Sierra Maestra. La notizia dello
scontro a fuoco a Alegría de Pio giunge ben presto a Hilda Gadea e ai genitori
di Guevara. Per alcuni giorni non riescono a verificare se anche il "Che" sia
tra le vittime. Ernesto, invece, è riuscito a salvarsi: ha solo una leggera
ferita al collo. Il 31 dicembre i coniugi Guevara ricevono un biglietto firmato
Tete (uno dei nomignoli usati da Ernesto quando era bambino) che li rassicura:
"Cari vecchi, ne ho consumate solo due e me ne restano cinque. Sto lavorando
alle stesse cose, le notizie sono sporadiche e continueranno a esserlo, però
abbiate fiducia che Dio sia argentino. Un abbraccio a tutti". Tete si paragona a
un gatto dalle sette vite. La notizia viene subito trasmessa a Hilda, che decide
di recarsi a Buenos Aires con sua figlia per conoscere i suoceri. E' lei che
deve spiegare a Celia de la Serna e a Guevara senior cosa ha indotto il "Che" a
partire per l'avventura cubana: il loro figlio è ormai diventato un uomo
politico e d'azione; l'incontro con gli esuli cubani lo ha trasformato
definitivamente. Ernesto viene nominato "comandante del fronte occidentale" il
12 luglio 1957. Fino a quel momento si è distinto per le sue doti militari e
organizzative, svolgendo contemporaneamente il ruolo di medico della spedizione.
Un mese dopo l'esercito cerca di stroncare la riorganizzazione dei guerriglieri
nella Sierra Maestra: l'offensiva viene respinta e i militari da quel momento in
poi si limitano a circoscrivere l'attività degli uomini di Castro in una sorta
di cerchio dal quale non possono uscire. Ma il Movimento 26 luglio riesce a
ottenere l'adesione dei contadini, mentre le sue cellule clandestine si
organizzano in tutte le città cubane. Il 9 aprile 1958 viene proclamato uno
sciopero per sostenere i guerriglieri. L'iniziativa fallisce per le
incomprensioni con il Partito socialista popolare, che resta contrario all'uso
della guerriglia come metodo di lotta, e per la nascita di due tendenze
all'interno del movimento rivoluzionario: la "sierra" e il "llano", che
privilegiano rispettivamente l'azione sulle montagne e quella nelle città. Tutto
il 1958 è un susseguirsi di successi per il Movimento 26 luglio che invertono la
tendenza dell'anno precedente. La rivolta contro il governo di Batista acquista
via via sempre maggiore consenso. Anche gli Stati Uniti iniziano a convincersi
che forse è meglio non opporsi al cambio della guardia a L'Avana: meglio puntare
a un successivo condizionamento di Castro che sostenere un regime ormai
indifendibile. E' lo stesso giudizio che induce il Partito socialista popolare a
cambiare atteggiamento e a sostenere con più convinzione le azioni del Movimento
26 luglio. Alcuni dei suoi dirigenti vanno sulla Sierra Maestra per siglare un
patto di collaborazione con Castro. La storia di quei mesi è una miscela di
sapienza politica da parte di Castro e di fortunate vicissitudini sul piano
militare. Questi fattori non avrebbero comunque significato molto se alla base
di tutto non ci fosse stata la crisi irreversibile del regime di Batista. Nella
primavera del 1958 Guevara concede un'intervista a un giovane giornalista
argentino, Jorge Ricardo Masetti. Quest'ultimo ha per lui una lettera di
presentazione firmata da Ricardo Rojo, vecchia conoscenza del "Che". Masetti
torna in Argentina con un nastro registrato in cui il comandante rivoluzionario
saluta la sua famiglia e con un'intervista nella quale Guevara sostiene che "dal
punto di vista politico, Fidel e il suo movimento potrebbero essere definiti dei
rivoluzionari nazionalisti". Poi aggiunge: "Siamo contro gli Stati Uniti perché
gli Stati Uniti sono contro i nostri popoli. La persona che più tiene
all'etichetta di comunista sono io". E' nella guerriglia che cresce l'amicizia e
la stima tra Guevara e Camilo Cienfuegos. Sono loro che negli ultimi giorni di
dicembre 1958 dirigono l'offensiva decisiva verso la regione di Las Villas, che
ha la propria capitale a Santa Clara, nel centro dell'isola. Un mese prima c'era
stato l'incontro tra il "Che" e Aleida March, ventiquattro anni, dirigente del
Movimento 26 luglio nella cittadina di Santa Clara. Tra i due nasce ben presto
un flirt destinato a durare. Dopo la conquista di quella località, iniziata il
29 dicembre (l'esercito di Batista si arrende dopo i primi scontri), Guevara e
Cienfuegos ricevono da Fidel l'ordine di marciare verso L'Avana. La notte di
Capodanno Batista comunica ai suoi collaboratori la decisione di lasciare
l'isola: lo fa alle tre del mattino del primo gennaio. Il giorno dopo il "Che"
si dirige verso la capitale cubana insieme a Cienfuegos. Il primo è rude e
scostante, il secondo usa il tipico umore cubano per ironizzare sulla vita di
guerrigliero. I due diversi caratteri si saldano in un rapporto profondo. Quando
Castro arriva a L'Avana l'8 gennaio del 1959 - dopo aver attraversato tutta
l'isola, partendo da Santiago di Cuba - è solo il "comandante in capo"
dell'Esercito ribelle, ma il suo nome è diventato popolarissimo in ogni angolo
di Cuba. Intorno a Castro e al suo movimento si sono coalizzati il Partito
socialista popolare (Psp) d'orientamento comunista e il Directorio, il gruppo
formato prevalentemente da studenti e intellettuali che nel marzo 1957 aveva
tentato l'assalto al palazzo presidenziale di Batista a L'Avana. Castro, in
interviste e dichiarazioni dalla Sierra Maestra, si era limitato a parlare di
libertà e giustizia sociale. Più volte aveva rifiutato l'etichetta di
"comunista", delimitando i rapporti con il Psp all'unità raggiunta nella fase
finale della guerriglia, dopo non pochi dissensi sui metodi di lotta per
spodestare la tirannia di Batista. La rivoluzione del Movimento 26 luglio, nel
momento della vittoria, chiede la fine di ogni interferenza nella vita politica
dell'isola. Solo in seguito diventerà in modo convinto anti-Stati Uniti,
individuando in quel paese chi vuole perpetuare il neocolonialismo economico e
politico su America Latina e Terzo Mondo. Ernesto Guevara e Camilo Cienfuegos
sono i primi comandanti della rivoluzione a entrare a L'Avana nel Capodanno del
1959. Il secondo è un cubano di umili origini, che era dovuto emigrare negli
Stati Uniti, dove aveva fatto il cameriere per tirare a campare: in
combattimento si è guadagnato gloria e popolarità. Ma a incuriosire e
affascinare è soprattutto il primo. Guevara è argentino, non ha mai messo piede
a Cuba prima della spedizione del Granma. E' il più politicizzato di tutti e
l'unico ad aver letto alcuni classici del marxismo. Solo Raul Castro, fratello
minore di Fidel, "comandante del fronte orientale" della rivoluzione, nutre
simpatie dello stesso tipo per la precedente adesione alla gioventù comunista e
un viaggio nei paesi dell'Est. Castro senior appare un politico pragmatico, non
ideologico,frutto dei movimenti nazionalisti cubani: è stato leader delle lotte
studentesche a L'Avana, avvocato brillante e militante del Partito otodoxo, ma è
indefinibile dal punto di vista della sua visione politica. L'arrivo a L'Avana
di Guevara non fa che consacrare il suo ruolo di leader del Movimento 26 luglio,
anche se il "líder maximo" resta Castro. Al "Che" spetta il compito di prendere
in consegna la città. Lo fa insediando il suo quartier generale a La Cabaña,
l'antico fortino sul mare collocato all'entrata della baia della capitale che ha
ospitato spagnoli, inglesi e chiunque abbia controllato l'accesso via mare alla
capitale. Il 9 gennaio giungono a L'Avana - insieme a molti profughi cubani -
anche i genitori di Guevara con Celia e Juan Martín, i fratelli più piccoli del
"Che" (Roberto e Ana Maria, gli altri due, rimangono a Buenos Aires): ad
attenderli all'aeroporto José Martí c'è proprio il comandante del fronte
occidentale che non vedevano da sei anni. Ha la divisa da militare e un mitra
sulla spalla. Vengono ospitati all'Hotel Hilton, il grande albergo dove abita
anche Castro. Papà Guevara annota nel suo diario: "Era difficile per me
riconoscere l'Ernesto di casa, l'Ernesto normale. Un'enorme responsabilità
sembrava pesare sul suo futuro. Era cosciente della sua personalità e si stava
trasformando in un uomo la cui fede nel trionfo dei propri ideali raggiungeva
proporzioni mistiche". A fine gennaio giunge a Cuba anche Hilda Gadea con la
figlioletta di tre anni, Hildita. La prima moglie di Guevara scrive nelle sue
memorie: "Col solito candore che lo caratterizzava, Ernesto mi disse subito che
aveva un'altra donna, conosciuta durante la campagna di Santa Clara. Per me fu
un grande dolore, ma seguendo le nostre convinzioni, entrambi ci accordammo per
il divorzio". Dopo il divorzio, il "Che" sposa Aleida March che gli fa da
segretaria mentre Hilda Gadea decide di restare a Cuba.La cronologia delle
settimane che seguono quei primi giorni del 1959 è frenetica.Scricchiolano
immediatamente la presidenza della Repubblica di Manuel Urrutia, giurista dalle
idee liberali rientrato a L'Avana dall'esilio il 5 gennaio, e la nomina a primo
ministro di José Miro Cardona, presidente dell'Ordine degli avvocati dell'Avana
e uno degli uomini politici più filoamericani dell'opposizione a Batista. Nel
primo governo post-Batista i guerriglieri del Movimento 26 luglio possono
contare solo su una manciata di ministri (Faustino Perez, Augusto Martínez
Sánchez, Humberto Sori-Marín, Armando Hart). Castro accetta quella soluzione,
perché non vuole accentuare subito l'ostilità di Washington nei confronti della
rivoluzione. Ma presidenza della Repubblica e governo sono travolti dagli eventi
e da chi chiede alla rivoluzione di non fermarsi. Oltre due anni di lotta sulla
Sierra Maestra non possono consegnare l'isola alla borghesia illuminata. Il 16
febbraio Castro accetta l'incarico di primo ministro e dichiara che "la
rivoluzione continua". Prepara la riforma agraria (il primo provvedimento del
suo governo) e rinvia le libere elezioni che aveva annunciato si sarebbero
svolte nella Cuba liberata dalla dittatura. I guerriglieri che hanno combattuto
sulla Sierra e chi li ha appoggiati nelle città fanno i conti con le difficoltà
del governare: nazionalismo e vaghe aspirazioni di riforma sociale devono
concretizzarsi in programmi, scelte, alleanze. Il loro "comandante en jefe"
chiede "poteri sufficientemente ampi" da permettergli di agire con efficacia.
Mese dopo mese si avvia la radicalizzazione della rivoluzione che porta alle
prime nazionalizzazioni e poi a cozzare con le ripicche che vengono dalle
imprese degli Stati Uniti e dalla Casa Bianca, entrambi colpiti al cuore negli
interessi economici e politici. Washington passa in poco tempo dalla neutralità
alla preoccupazione all'ostilità. In quel momento Guevara ricopre solo
l'incarico di comandante della Cabaña, il fortino dove aveva alloggiato i suoi
uomini nel momento dell'arrivo a L'Avana, ma si distingue per gli espliciti
discorsi politici che chiedono l'organizzazione stabile della rivoluzione e per
la sua instancabile attività. Il 18 luglio 1959 il Consiglio dei ministri
designa Osvaldo Dorticos Torrado presidente della Repubblica. Una settimana dopo
- in occasione di una manifestazione per l'anniversario dell'assalto alla
caserma Moncada di Santiago di Cuba - Castro annuncia che riprenderà il suo
incarico di primo ministro per proseguire ulteriormente la rivoluzione (si era
dimesso, con abile mossa tattica per chiedere ulteriori poteri, il 17 luglio).
L'investitura, a mo' di plebiscito, avviene di fronte a una folla osannante che
ascolta le sue parole di fronte all'ex palazzo presidenziale nella vecchia
Avana. Guevara si ritaglia un ruolo particolare nell'accelerazione degli eventi.
Più di altri, avverte che lo scontro che divide l'isola e lo stesso Movimento 26
luglio ha bisogno di "memoria" e "teoria". La memoria può venire dalla puntuale
ricostruzione di tutto ciò che spiega la vittoria della rivoluzione cubana e
conferma la scelta della guerriglia come metodo di lotta, formazione di un
gruppo dirigente e primo embrione di un nuovo Stato. La teoria può scaturire
dall'analisi delle ragioni strutturali che hanno permesso la vittoria della
rivoluzione. Il "Che" - esonerato in Argentina dal servizio militare a causa
dell'asma congenita - diventa così il primo "storico" di ciò che è accaduto
nell'isola dal 1956 al 1959 e il primo moderno teorico militare dell'America
Latina. Per lui, in quel momento, fare politica significa ripensare ruolo e
percorso della rivoluzione per affidare ai "barbudos" (in questo modo venivano
chiamati i guerriglieri dalle lunghe barbe cresciute sulla Sierra) un'indiscussa
centralità nella nuova situazione di Cuba. "La guerra di guerriglia", primo
libro compiuto di Guevara, viene dato alle stampe nel 1960. Il volume è dedicato
a Camilo Cienfuegos ("che avrebbe dovuto leggerlo e correggerlo"), scomparso in
mare con il suo aereo nell'ottobre 1959 di ritorno da una missione a Camaguey,
dove ha cercato di ottenere la resa di Huberto Matos, uno dei comandanti della
rivoluzione che accusava Castro di lavorare in combutta con i comunisti. Guevara
lo ha scritto a tempo di record. Ha potuto farlo in virtù dell'abitudine ad
annotare tutto ciò che gli accade nei suoi diari. Ha usato lo stesso metodo nei
suo viaggi giovanili in America Latina, lo ha ripetuto sulla Sierra Maestra, lo
replicherà in Congo (1965) e poi nell'ultima spedizione in Bolivia (1966-1967).
Ed è probabile che tra i suoi inediti che giacciono a L'Avana ci siano i diari
dell'esperienza di presidente del Banco nacional de Cuba e di ministro
dell'industria, oltre che gli "appunti" sulle sue letture economiche e
filosofiche. I punti teorici su cui ruota "La guerra di guerriglia" sono tre e
dichiarati sin dalla prima pagina: le forze popolari possono vincere una guerra
contro l'esercito; non si deve sempre aspettare che si creino tutte le
condizioni favorevoli alla rivoluzione, perché il "fuoco" dell'insurrezione può
crearle; nell'America sottosviluppata la lotta armata deve partire dalle
campagne. I riferimenti ideali sono la Cina di Mao e l'Indocina di Ho Chi Minh.
Lo sforzo - si tratta quasi di un manuale - è quello di fornire utili cognizioni
di strategia militare a chi decidesse di replicare quanto accaduto a Cuba.
Segue, in successione, l'analisi socio-politica della figura del "guerrigliero e
riformatore sociale". Prende così forma la sua teoria della guerriglia. Il "Che"
fissa sulla carta alcune caratteristiche della propria esperienza: la
rivoluzione cubana ha vinto senza un partito, senza una base sociale
determinata, e sarebbe paradossalmente antimarxista se fosse giudicata con i
parametri del marxismo ortodosso. Per Guevara l'Esercito ribelle diventa la base
del nuovo potere rivoluzionario, il soggetto organizzato che sostituisce il
"partito" e stabilisce la continuità con gli obiettivi iniziali della
guerriglia. In alcuni discorsi tenuti nelle prime settimane della rivoluzione
vittoriosa raccomanda di non sciogliere né la rete guerrigliera né la struttura
dell'esercito. Negli scritti successivi non dedica particolare attenzione ai
temi dell'organizzazione politica del movimento rivoluzionario. Per lui la
scelta guerrigliera è la risorsa da cui attingere una volta esaurite "tutte" le
occasioni di tradizionale lotta politica (nel 1963, nel suo "Guerra di
guerriglia: un metodo", la lotta armata è già delineata senza alternative). Nel
1961, quando pubblica un articolo dal titolo "Cuba: eccezione storica o
avanguardia nella lotta al colonialismo?", scoppia la polemica proprio sulla
possibilità o meno di estendere ad altri paesi la rivoluzione dei "barbudos" (si
discute anche della contrapposizione tra "città e campagna", che segna una prima
divisione tra chi ha combattuto sulla Sierra e chi nella rete clandestina: la
polemica era nata già durante la guerriglia sulla Sierra Maestra). Guevara
indica nella rivoluzione cubana un modello da seguire: la lotta deve partire
dalle campagne. In queste prime fasi della "rivoluzione al potere" è Guevara ad
assumere il ruolo di colui che acuisce il dibattito e chiede una scelta netta
tra opzioni politiche differenti. Castro si limita - almeno in apparenza - a
seguirne la scia. Mentre avanza il confronto, il "Che" scrive e riflette sulla
ricerca di una strategia rivoluzionaria almeno continentale, se non
terzomondista. Con "Rivoluzione nella rivoluzione?" di Regis Debray del 1967 il
guevarismo verrà portato all'estremo: la guerriglia va estesa ovunque; chi vuol
fare la rivoluzione deve seguire l'esempio cubano e escludere ogni alleanza con
le borghesie nazionali che sono il punto di riferimento dei partiti comunisti
filosovietici. In appendice a "La guerra di guerriglia" c'è un interessante
capitolo dedicato all'analisi della situazione cubana a un anno dall'ingresso
vittorioso dei "barbudos" a L'Avana. Il "Che" non esclude possibili tentativi
d'invasione da parte degli Stati Uniti (che si verificheranno puntualmente).
Accenna alla priorità del "lavoro collettivo" (non siamo ancora al "lavoro
volontario", su cui insiste nel corso del suo successivo incarico di ministro).
Affida le chances della rivoluzione all'esercito, ritenuto il baluardo che può
affrontare gli imprevisti politici e militari. "Passaggi della guerra
rivoluzionaria" (1963), altro importante scritto del "Che", serve invece a dare
memoria alla rivoluzione ormai consolidatasi al potere. Si tratta della raccolta
di frammenti, note di diario e articoli scritti in epoche successive fin dal
dicembre 1959: ricostruiscono passo dopo passo tutte le vicende che dallo sbarco
del Granma conducono alla decisiva battaglia di Santa Clara. Il "Che", nel
"Prologo", sprona a fare altrettanto. A condizione che chi scrive non dia troppo
spazio al ruolo personale svolto nella guerriglia o descriva cose che non ha
visto e non ha fatto (anzi, deve liberarsi dalla retorica come cerca di fare lui
stesso, non dando troppo rilievo al suo ruolo di "comandante del fronte
occidentale"). Questi testi "storici", dallo stile di un reportage a puntate,
restano incisivi e ben scritti, dettati come sono da un'esperienza vissuta sul
campo. E sono pure la dimostrazione di come tra Guevara e Castro ci sia in
quella fase una divisione di attitudini tra uso della scrittura, voglia del
racconto e della teoria (in cui primeggia il primo) e uso della parola, del
comizio e del mezzo televisivo (in cui il secondo non ha rivali). Ma "La guerra
di guerriglia" e "Passaggi della guerra rivoluzionaria" risentono del loro
contesto e di finalità immediatamente politiche, pur costituendo il primo
approdo di un pensiero compiuto da parte del "Che": non sono la sistemazione
organica di una teoria. I primi anni di permanenza a Cuba sono per Guevara una
miscela impressionante di attivismo frenetico e di riflessione politica su ciò
che bisogna fare sull'isola e in tutto il resto dell'America Latina. Ernesto
Guevara non è solo un guerrigliero e un uomo d'azione. Negli anni vissuti a
L'Avana (1959-1965) ricopre gli incarichi di responsabile dell'Istituto
nazionale per la riforma agraria (Inra), di presidente del Banco nacional de
Cuba e di ministro dell'industria, oltre che di instancabile diplomatico in
viaggio per il mondo con il compito di allacciare relazioni tra la rivoluzione
dei "barbudos" e la realtà internazionale. Il "Che" partecipa intensamente -
dalla posizione di uomo di governo - alla prima fase della transizione cubana,
quando alla cacciata del dittatore Fulgencio Batista seguono nuove politiche
sociali, economiche e statali. Solo alla fine di questo percorso decide di
riabbracciare la via della guerriglia, prima in Congo (1965) e poi in Bolivia.
Tutto ciò rende la personalità di Guevara complessa e sfuggente ad ogni giudizio
definitivo. Chi fa prevalere il "mito" sull'indagine biografica e sulla lettura
dei suoi scritti, finisce per avvalorare l'immagine di un "Che" inossidabile
nelle proprie certezze, capace di sviluppare teorie e scelte pratiche in
perfetta linea di continuità e in una sorta di evoluzione permamente. Il "mito",
in questi casi, viene descritto in evoluzione coerente fin dagli anni della
giovinezza. Le cose non stanno affatto così. Guevara muta giudizi, rivede le sue
scelte, si fa guidare dalla bussola degli eventi che costringono a verificare
nella pratica quanto si era teorizzato a tavolino. Anzi, le sue elaborazioni più
convincenti sono proprio le annotazioni sia dell'uomo di governo che deve
indirizzare la costruzione di una nuova società che del diplomatico che scopre
"dal vivo" cosa siano Unione Sovietica, "socialismo reale" e alcune esperienze
di emancipazione politica in altri paesi del Terzo Mondo. Il suo pensiero e la
sua vita sono un naturale "work in progress", come dovrebbe essere per ognuno.
Nel giugno del 1959, a trentun anni, il "Che" lascia L'Avana per ben 87 giorni.
E' la sua prima missione all'estero. Visita dodici paesi: Egitto, India,
Birmania, Thailandia, Malesia, Giappone, Indonesia, Ceylon, Pakistan, Sudan,
Jugoslavia e Marocco. Ne attraversa altri cinque: Hong Kong, Singapore, Italia,
Grecia e Spagna. Incontra, tra gli altri capi di Stato, Nasser in Egitto,
Sukarno in Indonesia, Tito in Jugoslavia. Spiega ai suoi interlocutori le
finalità della rivoluzione cubana e allaccia soprattutto relazioni economiche.
Nelle settimane precedenti, il confronto politico a L'Avana è diventato
incandescente. Il Movimento 26 luglio radicalizza le sue scelte e Fidel Castro
si scontra con le posizioni moderate di gruppi e partiti che lo avevano
appoggiato, ma che ora cercano di mettere le briglie a una rivoluzione che non
si vuole fermare. In quel momento la presenza di Guevara nella capitale è
scomoda. Su di lui piovono le accuse di "comunismo". Non piacciono a tutti i
suoi primi discorsi in cui auspica che il movimento guerrigliero si trasformi in
"esercito popolare", in modo da presidiare una "democrazia armata". Non
piacciono a tutti i metodi sbrigativi con cui lui e Raul Castro dirigono i
processi e le fucilazioni di molti sbirri dell'antico regime. Il "Che" appare in
quei primi giorni del 1959 spietato e determinato nel suo ruolo di comandante
della fortezza militare della Cabaña che orienta e decide i verdetti dei
processi e molte condanne a morte. Meglio allontanarlo dalla capitale per un
lungo periodo, pensa Fidel Castro. Quando vi fa ritorno, gli equilibri politici
dell'isola sono tutti spostati a favore di Castro e del Movimento 26 luglio,
anche se la dichiarazione sulla "natura socialista" della rivoluzione viene
esplicitata solo il 16 aprile 1961, alla vigilia della tentata invasione
mercenaria a Playa Girón. Lui, intanto, ha provveduto a far conoscere nel mondo
il perché della rivoluzione cubana e ha siglato i primi rapporti economici. Il 7
ottobre del 1959 per Guevara arriva il primo incarico di governo: viene nominato
responsabile del dipartimento per l'industrializzazione dell'Istituto nazionale
per la riforma agraria (Inra). Il 26 novembre gli giunge dal Consiglio dei
ministri la nomina a presidente del Banco nacional de Cuba (secondo alcune
ricostruzioni, Castro avrebbe chiesto in una riunione ristretta "Vi è un
economista tra voi?" e il "Che" avrebbe alzato la mano convinto che la domanda
fosse "Vi è un comunista tra voi?"). Lo stesso giorno la rivista delle forze
armate "Verde Olivo" pubblica un suo articolo dal titolo "Jugoslavia, un popolo
che lotta per i suoi ideali". Nel 1960 Guevara visita ufficialmente Unione
Sovietica, Cecoslovacchia, Cina e Corea del Nord. E' del 1960 anche la
famosissima foto di Alberto Korda che ritrae quel viso irato che ha fatto il
giro del mondo: il 4 marzo, a causa di un sabotaggio controrivoluzionario,
esplode nel porto dell'Avana la nave di carico francese La Coubre, oltre cento
le vittime; il fotogramma ritrae il "Che" il giorno seguente, mentre partecipa
ai funerali delle vittime. A colpire l'obiettivo di Korda è lo sguardo sdegnato
di quel rivoluzionario, mentre le autorità cubane accusano quelle statunitensi
di aver collaborato all'attentato. La situazione diventa tesa a Cuba. In poche
settimane sessantamila persone - per lo più impiegati, professionisti,
imprenditori - lasciano l'isola. Due mesi dopo vengono stabilite le relazioni
diplomatiche tra L'Avana e Mosca. Il 29 giugno arrivano a Cuba le prime
petroliere sovietiche. Washington reagisce rinunciando all'acquisto di gran
parte dello zucchero di canna cubano. Jean-Paul Sartre, che assieme a Simone de
Beauvoir nel 1960, proprio nei giorni dell'attentato a La Coubre, incontra a
L'Avana il presidente della banca cubana, annota in un suo articolo al ritorno a
Parigi: "La guerra aveva formato quel Guevara e gli aveva imposto la propria
intransigenza; la rivoluzione gli aveva istillato il senso dell'urgenza, della
rapidità... Si credette di individuare, già in seno al Consiglio dei ministri,
una destra, una sinistra e un centro e si considerò Guevara come qualcosa di
temibile, un radicale furibondo. Offrendomi un eccellente caffè nel suo ufficio
mi disse: 'Prima di tutto sono un medico, poi un soldato e infine, come lei
vede, anche un banchiere'". Quella immagine scritta da Sartre ben descrive il
ruolo di primo piano che l'argentino ha ormai conquistato al vertice della
rivoluzione. A riprova che il "Che" rappresenta la sinistra della rivoluzione,
il giorno dopo la sua nomina a ministro dell'industria - secondo alcune
ricostruzioni - subirà un attentato mentre sta uscendo dalla sua casa nel
quartiere di Miramar. Le sue guardie del corpo danno vita a una strana
sparatoria, mentre il neoministro cambia casualmente il suo tradizionale
tragitto con l'autovettura. Un altro attentato viene sventato nei mesi
successivi. Gli innumerevoli nemici ormai lo definiscono "la pulce rossa
nell'orecchio di Fidel". Il filosofo francese ha ragione ad averlo tratteggiato
come la "sinistra" della giovane rivoluzione cubana. Nel novembre 1960 Guevara
parte per visitare alcuni paesi comunisti. Il 7 del mese è a Mosca, dove
partecipa alla commemorazione dell'anniversario della rivoluzione russa. E' sul
palco della Piazza Rossa accanto a Nikita Krusciov. Poi va a Leningrado,
Stalingrado, Praga, Pechino, Shanghai, Pyongyang, Berlino est. L'obiettivo del
viaggio è cercare nuovi partner commerciali per Cuba, dopo che gli Stati Uniti
hanno iniziato ad allentare le relazioni commerciali con l'isola. Ma per
l'esponente del governo cubano quei viaggi costituiscono anche l'occasione per
vedere da vicino la realtà economica e sociale di quei paesi. La sua adesione al
comunismo ha l'opportunità di misurarsi con il "socialismo reale". Il 23
febbraio 1961 Guevara viene nominato ministro dell'industria (rifiuta
immediatamente lo stipendio di mille dollari per quell'incarico e resta con la
paga di duecentocinquanta dollari per il ruolo di comandante della rivoluzione).
Entrano nel suo staff alcuni consiglieri economici sovietici e cecoslovacchi. Il
"Che" dai suoi nuovi incarichi di uomo di governo avanza subito un'ipotesi: non
si avrà la piena indipendenza politica dell'isola se non raggiungendo anche
quella economica. I dati parlano chiaro: Cuba vive prevalentemente sulla
monocoltura della raccolta e del ciclo della coltivazione dello zucchero. E'
dipendente dall'esterno per materie prime, tecnologie, prodotti di base.
All'interno dell'isola non esiste un'industria di base. Qui, secondo Guevara,
affondano le radici della dipendenza economica e politica dagli Stati Uniti.
Decide così di aggredire il problema. Come presidente del Banco nacional de Cuba
vara un sistema bancario di Stato, unico e centralizzato, che porta via via alla
nazionalizzazione delle banche. Stabilisce un procedimento di finanziamento dei
singoli settori produttivi con budget che devono trovare l'accordo del ministero
delle finanze e di quello dell'economia. Per questo obiettivo, fin dal giugno
1960 il "Che" presenta un piano di industrializzazione che assume lo stesso
sistema economico di pianificazione già sperimentato in Cecoslovacchia. Nasce di
conseguenza la Giunta centrale di pianificazione che fa capo ai ministeri
economici. Si vara un "piano di sviluppo accelerato" che deve concludersi nel
1964. In questa fase è proprio Guevara a rifarsi ai modelli del "socialismo
reale". Del periodo passato alla guida del Banco nacional restano le banconote
che recano la sua firma con la semplice sigla "Che", un'irriverenza che serve a
non dare molta importanza al denaro. I servizi segreti di Washington
identificano in quell'argentino trapiantato a L'Avana (gli è stata subito
concessa la cittadinanza cubana) il personaggio che sta favorendo la svolta
filosovietica di Cuba. Quando Guevara assume l'incarico di ministro, ha pieni
poteri su tutto l'apparato industriale: scorte di petrolio, miniere,
meccanizzazione del lavoro agricolo. La sua scelta è quella di favorire gli
investimenti nei settori della chimica e dell'elettronica. Dopo il 3 gennaio del
1961, data in cui gli Stati Uniti decidono di interrompere le relazioni
diplomatiche con Cuba, il "Che" sottoscrive gli accordi di scambio con l'Unione
Sovietica e gli altri paesi socialisti. Secondo la testimonianza del professore
di matematica Salvador Vilaseca (ambasciatore dell'Avana a Roma negli anni
Settanta), che lo accompagna nei primi viaggi all'estero, Guevara gli chiede di
impartirgli lezioni di algebra superiore, geometria analitica, calcolo
differenziale e integrale fin dal primo incarico di presidente del Banco
nacional ("Quelle lezioni durarono cinque anni, fino al marzo del 1965. Facevamo
lezione due volte alla settimana, secondo una rigida disciplina"). Il
"comandante del fronte occidentale" della rivoluzione deve trasformarsi
rapidamente in economista e in ministro consapevole delle sue scelte: promuove
nel suo ministero un seminario sul "Capitale" di Carlo Marx e studia i problemi
di organizzazione del lavoro e di politica economica. Le discussioni con i
funzionari del ministero dell'industria diventano una fucina di proposte e di
riflessioni di carattere teorico. Nel 1962 il piano approvato dal ministro
dell'Industria prevede il raddoppio - entro il 1965 - della produzione di
elettricità, cemento, acciaio in collaborazione con gli investimenti e i tecnici
specializzati che arrivano dalla Repubblica democratica tedesca e dalla Polonia.
L'obiettivo è l'industrializzazione a tappe forzate dell'isola: per organizzare
la mobilitazione popolare durante le giornate festive del sabato o fuori dai
consueti orari di lavoro, vengono costituite anche le Brigate del lavoro
volontario. Quelle Brigate - secondo il "Che" - hanno un carattere pedagogico,
oltre che costituire una risorsa in più per raggiungere gli obiettivi economici
che sono stati fissati con la sua supervisione. Lui è il primo a dare l'esempio,
lavorando nei campi e nelle industrie nei giorni festivi. Ma la doccia fredda
giunge nel 1963. Guevara intuisce che il meccanismo della centralizzazione non
favorisce i piani produttivi di settore. Sferra un duro attacco ai primi segnali
di burocratismo che si stanno insinuando nell'organizzazione economica e
politica della rivoluzione e cerca di modificare il sistema di pianificazione. I
dati economici del 1963 mettono sotto accusa proprio l'operato del ministero
dell'industria: dal 1961 in poi gli investimenti nel settore industriale erano
stati pari a 850 milioni di dollari l'anno, ma con scarsi risultati; gli
investimenti crescevano, mentre la produzione calava. Sottostima
dell'agricoltura tradizionale e della canna da zucchero, impreparazione dei
tecnici cubani a seguire le nuove direttive, mancanza di quadri amministrativi
(gran parte dei funzionari statali avevano abbandonato Cuba dopo il 1959),
riconversione del commercio estero in direzione dei paesi socialisti
contribuiscono a far impazzire il quadro delle compatibilità economiche. I sogni
economici di Guevara su una rapida industrializzazione del paese sfumano
rapidamente e l'isola inizia ad adottare la "libreta", il rigido sistema di
razionamento individuale dei beni di prima necessità. Si tratta di uno shock per
l'intera popolazione e per chi guida la rivoluzione. In quel cruciale 1963 si
apre una discussione infuocata al vertice del governo. Vi contribuiscono anche
due economisti europei, presenti a L'Avana come consulenti: Ernest Mandel e
Charles Bettelheim. Il primo sostiene le posizioni di Guevara, il secondo è
d'accordo con quanti chiedono una rapida correzione di rotta (soprattutto Carlos
Rafael Rodríguez, dirigente del Partito socialista popolare e raffinato
intellettuale, in quel momento responsabile delle politiche agricole). La
sterzata si verifica il 19 agosto 1963: un documento del governo stabilisce che
l'agricoltura e la canna da zucchero devono tornare il fulcro dell'economia
dell'isola; i processi di industrializzazione dovranno essere realizzati nel
corso dei dieci anni seguenti e a ritmi meno frenetici. Guevara viene criticato
per aver introdotto un sistema eccessivamente rigido di pianificazione
all'interno dell'organizzazione dell'industria di Stato. Si contrappongono due
ipotesi: quella del "Che", favorevole a un "bilancio unificato" del settore
industriale, e quella del "calcolo economico" adottato in agricoltura
dall'Istituto nazionale per la riforma agraria. Finisce per prevalere la
seconda. Schematizzando quel confronto, le imprese centralizzate che fanno capo
alle direttive del ministro dell'industria ricevono un finanziamento finalizzato
non alla redditività ma al raggiungimento degli obiettivi del piano di settore o
della singola attività produttiva, mentre quelle che non fanno riferimento al
ministero dell'industria godono di un'autonomia contabile e di una personalità
giuridica. Guevara è nel mirino delle critiche per aver favorito la prima
soluzione. Il ministro dell'industria replica agli attacchi negando che in una
società in transizione sia applicabile la "legge del valore" o quella del
"calcolo economico": sostiene che in un'economia che si avvia verso una forma di
organizzazione socialista non ci si può appellare alle leggi del mercato, perché
ogni operazione produttiva, ogni scambio tra un settore statale e l'altro devono
richiamarsi a una politica di piano. Legge del valore e pianificazione -
argomenta Guevara - non possono coesistere. La discussione cubana di quel
periodo ruota intorno all'interpretazione più autentica del pensiero di Carlo
Marx, secondo il quale il valore di scambio di una merce è determinato dalla
quantità di lavoro in esso incorporato: ogni aumento della quantità di lavoro
necessario per la sua produzione deve aumentarne il valore; viceversa, ogni
diminuzione deve a sua volta diminuirne il valore. Si intuisce come questa
querelle teorica e pratica abbia nella fase che sta vivendo Cuba una grande
importanza per una società in transizione. Si tratta di decidere i parametri di
produttività, redditività, valore delle merci, politica dei prezzi e dei salari.
Il ministero dell'industria, in conseguenza di quell'acceso dibattito che è un
vero e proprio scontro tra due linee politiche e di indirizzo economico, perde
il totale controllo delle attività produttive. Castro cerca di mantenersi
neutrale in quel contrasto che vede Carlos Rafael Rodríguez contrapporsi a
Guevara e alla fine vincere il braccio di ferro sulle scelte economiche. Ma è
ora che si precisa la posizione politica del "Che", che inizia a individuare
nella soggettività individuale e nella "coscienza rivoluzionaria" una variabile
esterna all'economia. Di qui il dibattito sugli incentivi "materiali" o "morali"
che la rivoluzione deve adottare per far crescere la produzione e la
partecipazione al lavoro. Il ministro dell'industria è convinto che la risorsa
più importante a cui il processo di transizione a Cuba può attingere sia un
coinvolgimento pieno delle individualità nelle scelte politiche ed economiche.
Non nega l'utilitità degli incentivi "materiali" (a più lavoro devono
corrispondere più salario e più possibilità di acquisto di beni), accusa però
chi li idolatra di puntare solo al consumo come fattore di mobilitazione
collettiva. "Lottiamo contro la miseria, ma al tempo stesso contro
l'alienazione. Se il comunismo non si occupa dei fatti di coscienza, potrà
essere un metodo di distribuzione ma non sarà mai una morale rivoluzionaria",
ama ripetere in quel periodo. Queste posizioni, oltre che rappresentare il
livello teorico più alto raggiunto da Guevara, ripropongono una discussione sui
paesi del "socialismo reale" dell'Est europeo: se ci si limita ad intervenire
sulle forme di distribuzione e di accumulazione economica dice il ministro,
saranno inevitabili involuzione burocratica e inefficienza e si creerà una
frattura tra consenso sociale e gestione del potere politico. L'esperienza del
ministro dell'industria dell'Avana rimette al centro della sua riflessione la
critica del lavoro, della produzione, dell'alienazione individuale e collettiva
con una buona dose di modernità e di anticipo rispetto alla crisi successiva del
socialismo made in Mosca. E' l'"uomo nuovo" quello che interessa a Guevara.
Quella repentina svolta in politica economica che viene adottata da Cuba
costituisce la prima sconfitta politica del "Che". Deve prendere atto che un
paese sottosviluppato non può eliminare i suoi handicap attraverso un processo
forzato di industrializzazione. I rapporti con l'Unione Sovietica e i suoi
satelliti diventano inevitabili per sopravvivere anche al "blocco economico" che
nel 1962 viene decretato in modo unilaterale dal governo di Washington. Subisce
così una battuta d'arresto la via della possibile indipendenza economica, primo
passo per quella politica, che è stata teorizzata da Guevara. Il ministro
dell'industria replica a questa cocente sconfitta misurandosi a tutto campo con
i problemi dell'economia e negando che solo le leggi economiche debbano dare il
passo della costruzione di una nuova società. Ecco che prendono quota le sue
teorie sulla "coscienza rivoluzionaria" come risorsa indispensabile per piegare
le costrizioni dell'economia, sugli "incentivi morali" da preferire a quelli
materiali per evitare che sia solo la promessa di maggiori consumi a costituire
la leva della mobilitazione collettiva. Il "Che" precisa la sua posizione, che
poi lo porterà in rotta di collisione con il modello sovietico: il socialismo
non può limitarsi a cambiare le forme di distribuzione e di accumulazione
economica; la politica deve intervenire laddove l'economia è solo freddo
calcolo. Nei seminari che si svolgono nel suo ministero e che lo vedono
protagonista pronuncia due frasi clou che servono a comprendere il suo pensiero
di quel periodo: "Lottiamo contro la miseria, ma al tempo stesso contro
l'alienazione", "Se il comunismo non si occupa dei fatti di coscienza, potrà
essere un metodo di distribuzione ma non sarà mai una morale rivoluzionaria".
Prende corpo una "teoria sociale" della rivoluzione, che alcuni studiosi di
Guevara hanno definito "umanista": "l'uomo nuovo", non le leggi dell'economia e
del mercato, è al centro delle sue preoccupazioni nella correzione della
malattia economicista che ha minato tutte le esperienze post-rivoluzionarie. Su
impulso del ministro dell'industria si sviluppano ulteriormente le Brigate di
lavoro volontario, che intervengono sul fabbisogno di abitazioni, sulla
costruzione dei servizi sociali, sulla produzione dei singoli comparti
economici. Attraverso la predilezione della politica sull'economia il "Che"
cerca di ottenere la più vasta adesione sociale ai programmi del suo ministero e
a quelli del governo. Grande assente dal dibattito sull'economia in questa fase
è Fidel Castro. Sulla base dei documenti dell'epoca è difficile formulare
un'ipotesi su quale fosse la soluzione più gradita al "comandante en jefe". E'
probabile che abbia deciso di non scendere in campo con il peso della sua
autorità per non contribuire alla sconfitta del suo amico Guevara. Ma per chi
conosce l'ossessione con cui Castro ha sempre indirizzato tutte le scelte
economiche di Cuba risulta difficile pensare che non avesse una propria idea sul
cammino da intraprendere. Quando - nel corso del 1964 - si decide a L'Avana di
spezzettare il ministero dell'industria in più ministeri (quello dell'industria
dello zucchero, quello dell'industria alimentare) depotenziandone ruolo e
obiettivi, Castro deve quantomeno aver avallato, se non favorito, quella scelta.
Tra il 1963 e il 1964 il "Che", forse consapevole della sconfitta a cui va
incontro nella politica interna, effettua altri importanti viaggi all'estero:
Algeria, Ginevra (Conferenza su Commercio e Sviluppo promossa dalle Nazioni
Unite), Unione Sovietica, New York (Assemblea generale dell'Onu). Il 12 marzo
1965 Guevara dà forma definitiva alla riflessione maturata nel fuoco degli
eventi e nel ruolo di uomo di governo con il saggio "Il socialismo e l'uomo a
Cuba", pubblicato dal settimanale "Marcha" di Montevideo mentre l'autore si
trova in viaggio tra Africa e Cina. Lì sono annotate, quasi sotto forma di un
testamento politico, le cose che non gli piacciono della nuova Cuba e le
possibili correzioni che ritiene indispensabili per uscire dalle secche. Si
tratta di un testo che segnala i rischi di burocratismo della rivoluzione cubana
e che conferma la sua incrollabile fiducia nelle coscienze individuali e
collettive, oltre che in un'etica rivoluzionaria. Il 14 marzo 1965 appare per
l'ultima volta all'aeroporto dell'Avana di ritorno da Algeri, dove il 24
febbraio - nel corso di un seminario economico internazionale - pronuncia un
discorso sullo "scambio ineguale" che manda su tutte le furie la delegazione
sovietica ("Come si può parlare di 'reciproca utilità', quando si vendono ai
prezzi del mercato mondiale le materie prime che costano sudore e patimenti
senza limiti ai paesi arretrati, e si comprano ai prezzi del mercato mondiale le
macchine prodotte dalle grandi fabbriche automatizzate di adesso? Se stabiliremo
questo tipo di relazione tra i due gruppi di nazioni, dobbiamo convenire che i
paesi socialisti sono, in un certo modo, complici dello sfruttamento
imperialista"). Ad attenderlo all'Aeroporto José Martì ci sono Fidel Castro,
Carlos Rafael Rodríguez e Osvaldo Dorticos, in quel momento presidente della
Repubblica di Cuba, sua moglie Aleida. Secondo alcune testimonianze, Castro e
Guevara trascorrono le successive quarantott'ore in una casa di Cojimar, una
località sul mare diventata famosa perché era stata frequentata a lungo da
Ernest Hemingway nel corso della sua ventennale anche se alterna presenza
sull'isola. Nessuno sa cosa si siano detti. Ma è probabile che in quel colloquio
il "Che" abbia comunicato la decisione di voler lasciare L'Avana, o che
quell'intento si sia rivelato indispensabile per ricucire i rapporti di buona
amicizia con i sovietici che avevano protestato presso il governo cubano per il
discorso svolto da Guevara ad Algeri. Tutti gli scritti e i discorsi di Guevara
che vanno dal 1961 al 1964 danno conto della violenta contraddizione apertasi a
Cuba. Da una parte c'è la Realpolitik di chi guarda ai modelli sovietici e
dell'Est (introdotti proprio dal "Che", anche se poi ne prenderà le distanze),
dall'altra c'è chi strenuamente cerca di non arrendersi a quella sola
alternativa e di far procedere la rivoluzione cubana con la propria testa e
sulle proprie gambe. E' il caso esemplare di un'esperienza che ci consegna il
dramma di tutte le rivoluzioni moderne, strette tra l'inevitabile trasformazione
in potere e la voglia di non disperdere l'iniziale spinta utopica e di
liberazione. Dopo l'apparizione all'aeroporto, la scomparsa di Guevara da
L'Avana scatena una ridda di ipotesi. E' stato arrestato? E' vittima della prima
"purga staliniana" della giovane rivoluzione? Il 28 settembre 1965, in un
discorso pubblico, Castro accenna alle polemiche: "Parleremo al popolo del
compagno Ernesto Guevara. I nemici hanno messo in giro molte illazioni e molte
voci, voci a volte confuse, a volte tendenti a confondere, a insinuare. Noi
presto leggeremo un documento che spiegherà la sua assenza in questi mesi". Il 3
ottobre dello stesso anno, nel presentare il comitato centrale del Partito
comunista cubano, che si costituisce solo in quella fase raccogliendo la
confluenza di tutti i movimenti che hanno contribuito alla rivoluzione e che si
erano già riconosciuti in un'unica organizzazione, Castro è obbligato a tornare
sull'argomento: "C'è un vuoto tra noi, di una persona che possiede come nessun
altro tutti i meriti e le virtù necessarie per appartenervi. Su questo il nemico
ha potuto formulare mille congetture, ha cercato di confondere le acque, di
seminare zizzania, dubbi: siccome era necessario pazientare, abbiamo pazientato.
Di modo che gli interpreti, gli specialisti di questioni cubane, le macchine
elettroniche hanno lavorato senza tregua per far luce su questo mistero. Se
Ernesto Guevara era stato vittima di un'epurazione, se era ammalato, se aveva
avuto delle divergenze e cose analoghe. I nemici calunniano: in un regime
comunista, tenebroso, terribile, gli uomini scompaiono senza lasciar traccia,
indizi. Noi replicammo, dicendo che avremmo parlato a tempo debito perché
esistevano dei motivi per aspettare a farlo". Castro conclude quel discorso
leggendo la lettera con cui il "Che" si era congedato da Cuba e annunciava il
suo impegno rivoluzionario in altre terre del mondo. A Cuba, dopo la vittoria
della rivoluzione, iniziano ad arrivare gruppi di guerriglieri dagli altri paesi
latinoamericani. Quanto è accaduto sull'isola più grande delle Antille viene
ritenuto da molti un esempio da imitare. Nicaraguensi e panamensi sono i primi
ad addestrarsi nelle campagne cubane, mentre Fidel Castro fa sapere che avrebbe
proibito che dall'Avana partissero spedizioni guerrigliere. Nelle sue
dichiarazioni pubbliche - soprattutto in risposta alle critiche che gli giungono
dagli Stati Uniti - si limita ad affermare che il nuovo governo cubano ospita
molti esiliati politici dei regimi totalitari del continente come atto di
solidarietà. Anche Guevara, agli inizi del 1959, è su quelle posizioni. "Siamo
esportatori dell'idea di rivoluzione, ma non cerchiamo di essere esportatori di
rivoluzioni. La rivoluzione dev'essere combattuta dal popolo del paese
presieduto dal governo tirannico insieme alla gente che lo subisce. Noi siamo
solo l'esempio", dichiara alla televisione cubana il 18 aprile. Proprio in quel
mese Castro si reca in visita negli Stati Uniti per ammorbidire i toni della
polemica con Washington e rassicurare l'establishment della Casa Bianca sulle
intenzioni della rivoluzione cubana. Il viaggio riesce a raggiungere il suo
obiettivo e il presidente Dwight David Eisenhower tira una respiro di sollievo.
Nel 1960 - a iniziare dalla riforma agraria - giungono le prime
nazionalizzazioni decise da L'Avana, a cui Washington reagisce con ritorsioni
economiche e rescindendo i contratti di fornitura del petrolio. In rapida
successione vengono nazionalizzate le raffinerie americane Texaco e Esso, la
britannica Shell. Poi, le grandi piantagioni di zucchero. Nel settembre dello
stesso anno Castro stila la Dichiarazione dell'Avana nella quale si fissa il
ruolo di Cuba in America Latina: l'isola si schiera a fianco degli oppressi e
degli sfruttati dal capitalismo e dall'imperialismo. Nel 1961 si avvia la
"campagna di alfabetizzazione" che rafforza il consenso popolare nei confronti
della rivoluzione: migliaia di studenti si dirigono in ogni angolo dell'isola
per sconfiggere la piaga dell'analfabetismo. Il 3 gennaio si interrompono le
relazioni tra Stati Uniti e Cuba. La rivoluzione corre verso la sua scelta
socialista. Washington inizia a pensare che la rivoluzione cubana vada isolata
economicamente e politicamente. Il totale embargo economico viene messo in opera
unilateralmente dal governo americano nel 1962. Il primo episodio di
"internazionalismo" che investe Cuba si verifica il 17 gennaio 1961. Viene
assassinato in carcere Patrice Lubumba, primo ministro del Congo, reo di aver
chiesto aiuti militari all'Unione Sovietica per bloccare la secessione del
Katanga. E' deposto dal capo militare Joseph Mobutu. A L'Avana, quando giunge la
notizia della morte di Lubumba, si decide di proclamare tre giorni di lutto
nazionale. L'isola è tradizionalmente sensibile a quanto accade nel continente
nero: i cubani si sentono afro-latinoamericani per le contaminazioni che la loro
cultura ha subito nel corso dei secoli, dopo l'arrivo degli schiavi provenienti
dall'Africa che servivano alla coltivazione dello zucchero. Intanto gruppi
guerriglieri che inneggiano a Cuba si organizzano in Guatemala, Venezuela e
Perù, mentre gli echi della rivoluzione algerina (Algeri diventa indipendente
dalla Francia nel 1962) si diffondono in altri paesi africani. Il 17 febbraio
1961 gli Stati Uniti danno l'ok al tentativo (che fallisce ben presto) di
invasione di Playa Girón che ha per protagonisti molti cubani trasferitisi in
Florida. Il via libera viene dal presidente John Fitzgerald Kennedy, eletto alla
Casa Bianca poche settimane prima. Il 16 aprile, alla vigilia della tentata
invasione e per la prima volta, mentre si svolgono i funerali dei cittadini
dell'Avana uccisi nel corso di un raid aereo statunitense sulla capitale Castro
parla della natura socialista della rivoluzione cubana. "Non accettano che
abbiamo fatto una rivoluzione socialista sotto il loro naso", dice di fronte a
una folla assiepata davanti al cimitero Colón della capitale. La tentata
invasione viene sventata: il comando delle operazioni a Playa Girón è assunto
direttamente da Castro, mentre Guevara va ad assumere la direzione dell'esercito
nella zona di Pinar del Rio. I prigionieri catturati dai cubani verranno
restituiti agli americani in cambio di un ingente quantitativo di medicinali. La
rivoluzione ci tiene alle sue simbologie: Davide irride al gigante Golia. La
rapida sequenza di avvenimenti serve per riassumere il contesto in cui a L'Avana
cresce l'interesse per la politica estera. Il 9 aprile Guevara pubblica il primo
testo in cui abbozza le sue idee internazionaliste, "Cuba, eccezione storica o
avanguardia nella lotta anticolonialista?". Il ministro dell'industria sostiene
in quello scritto che l'isola dei "barbudos" non è affatto un'eccezione, ma
semplicemente il primo paese latinoamericano a mettere in discussione la
dipendenza economica dagli Stati Uniti. Il "Che" suggerisce il metodo della
"lotta armata contro l'imperialismo". Ma diventa molto prudente, quando ad
agosto interviene a Punta del Este, in Uruguay, al vertice economico dei paesi
dell'Organizzazione degli Stati americani: "Non possiamo fare a meno di
esportare un esempio, perché l'esempio è qualcosa di spirituale che travalica le
frontiere. Diamo invece la garanzia che non esporteremo la rivoluzione. Diamo la
garanzia che da Cuba non si muoverà un fucile per andare a combattere in qualche
altro paese d'America". Guevara, nello stesso vertice di Punta del Este, ha un
incontro a quattr'occhi con Richard Goodwin, portavoce personale del presidente
Kennedy. Nel corso del colloquio - che è stato rivelato solo moltissimi anni
dopo nella biografia scritta da Jon Lee Anderson e avvalorato da fonti ufficiali
cubane - il ministro dell'industria, su mandato di Castro, cerca di convincere
l'esponente americano a una sorta di mediazione: Cuba non vuole rinunciare alle
caratteristiche della sua rivoluzione, ma non ha intenzione di entrare in rotta
di collisione con gli Stati Uniti e di esportare fuori dai suoi confini il
proprio esperimento politico. La proposta è tutto sommato un buon vicinato in
cui rispettare le reciproche convinzioni politiche. Goodwin, il 22 agosto,
redige un rapporto indirizzato al presidente Kennedy: Guevara, a suo dire,
avrebbe ringraziato gli americani per la tentata invasione di Playa Girón,
perché aveva permesso il consolidamento della rivoluzione cubana oltre ogni
aspettativa; e avrebbe anche rivelato, in un colloquio tutto sommato distensivo,
le preoccupazioni della leadership cubana per le difficoltà economiche che si
vivevano all'interno dell'isola. Il diplomatico suggerisce al suo presidente una
linea opposta a quella auspicata dal "Che" e da Castro: è il momento buono per
stringere Cuba nel cerchio dell'embargo economico e dell'isolamento politico.
Quell'episodio dimostra qual è in quel momento la linea di condotta del governo
dell'Avana. Forse Castro e il gruppo dirigente cubano scelgono solo
progressivamente l'alleanza con Mosca per intelligenza tattica e perché non ci
sono alternative per consolidare e istituzionalizzare la rivoluzione, eppure non
c'è dubbio sul fatto che l'intransigenza di Washington finisce per rompere tutti
i ponti del dialogo. Guevara, dall'Uruguay, volerà nei giorni successivi in
Brasile e Argentina per incontri riservati con gli esponenti dei due governi. In
entrambi i casi la sua sola presenza in quei due paesi provoca la reazione dei
militari che spodestano coloro che hanno deciso di ricevere il ministro
dell'industria di Cuba (Janio Quadros, presidente del Brasile; Arturo Frondizi,
presidente dell'Argentina). La "crisi dei missili" dell'ottobre 1962 imprime
un'ulteriore svolta alla politica cubana. Il 14 ottobre un aereo spia americano
fotografa una serie di basi missilistiche costruite sull'isola dai sovietici per
installarvi ordigni nucleari. La richiesta è stata avanzata da Castro che teme
nuovi tentativi di aggressione da parte degli Stati Uniti e accettata da Nikita
Krusciov (a Mosca, a firmare il trattato militare, viene inviato Raul Castro).
Kennedy, annunciando una manovra navale intorno all'isola, dà l'ultimatum ai
sovietici: quelle operazioni vanno sospese, pena un conflitto armato. Mosca si
piega senza neppure consultare Castro sulla decisione finale. Momenti di
tensione si vivono in tutto il mondo. Si teme un conflitto dagli esiti
imprevedibili tra Usa e Urss. A iniziare dal 1962, prima dell'esito della "crisi
dei missili", Guevara forma un gruppo che lavora a sostenere i movimenti
rivoluzionari dell'America Latina. A coordinarlo è Manuel Piñeiro Losada,
chiamato da tutti "Barba Roja". Quando Krusciov è costretto dalle minacce
militari americane a bloccare l'installazione dei missili con testata nucleare a
Cuba, quel gruppo intravede la possibilità di mettere in pratica una strategia
autonoma dall'Unione Sovietica. "Io non posso ammettere - dice Fidel in un
discorso a L'Avana, dopo la conclusione della crisi - che Krusciov abbia
accettato di ritirare i missili senza il minimo accenno a un minimo accordo con
il governo cubano. Noi non siamo un satellite. Krusciov vuole la pace e anche
noi la vogliamo. Ma nessuno ha il diritto di calpestare la nostra sovranità".
Per le strade di Cuba si ascolta uno slogan irriverente per i sovietici che
risveglia l'orgoglio nazionale: "Nikita, mariquita, lo que se da non se quita!"
(Nikita, pederastra, quel che si è dato non si porta via!). Guevara critica la
scelta sovietica, mentre Cuba chiede che gli Stati Uniti - come condizione del
ritiro dei missili sovietici - revochino il blocco economico verso l'isola. La
fase più acuta dei contrasti tra Cuba e Urss viene in parte ricomposta nel
novembre del 1962, quando sull'isola giunge Anastas Mikoyan. La visita ufficiale
dura ben ventiquattro giorni e sarà seguita l'anno successivo da un viaggio di
Fidel a Mosca. Ma quelle tensioni forse hanno un'influenza sulle decisioni
successive di Guevara che può aver trovato il consenso di Castro. Il contrasto
con i sovietici è in quella fase strategico, non solo riferito alla "crisi dei
missili". Fin dalla vittoria della loro rivoluzione i cubani polemizzano con i
partiti comunisti dell'America Latina: a loro dire, proprio quanto è accaduto a
L'Avana con il Movimento 26 luglio dimostra che il continente può essere
percorso da altre rivoluzioni a condizione che i partiti comunisti appoggino i
movimenti di guerriglia e quanti agiscono fuori (e spesso in contrasto) dalle
forze tradizionali della sinistra. Sotto accusa - seppure in modo un po' celato
- è la strategia del dialogo tra i partiti comunisti che si riconoscono nella
politica di Mosca e le borghesie nazionali dei diversi paesi. Più in generale, è
nel mirino la politica di "coesistenza" pacifica tra Usa e Urss che - senza
alternative in Europa - si dimostra deleteria per i movimenti di liberazione del
Terzo Mondo. Guevara si trova tra il 1962 e il 1965 in una bizzarra situazione.
E' stato lui che ha influenzato molte delle scelte filosovietiche di Cuba e che
ha portato a L'Avana i primi consiglieri economici dell'Est, eppure le sue
teorie sullo sviluppo economico e la pianificazione dell'economia iniziano a
essere messe in minoranza mentre svolge l'incarico di ministro dell'industria.
E' lui il primo che scorge i pericoli di burocratismo insiti nel modello
sovietico importato a Cuba e che tenta di prenderne le distanze. La "crisi di
ottobre" può avergli insinuato il dubbio che anche la politica estera dei
sovietici si rivela una gabbia per l'esperienza rivoluzionaria cubana. Di qui la
scelta di un'altra strategia da sperimentare in altri paesi dell'America Latina
e del Terzo Mondo. Molto probabilmente in quella fase Guevara intuisce che una
chance per Cuba sta nella capacità di estendere la rivoluzione in America
Latina, per evitare che L'Avana passi dalla dipendenza dagli Stati Uniti a
quella dall'Unione Sovietica (sta qui l'accordo con Castro?). Si spiega così la
sua frenetica attività tra il 1962 e il 1965 per coordinare l'attività dei
movimenti guerriglieri nel resto del continente (punta innanzitutto a preparare
un gruppo che possa far scoccare la scintilla in Argentina e fa capire che
potrebbe unirsi ben presto a quei combattenti sul terreno di battaglia). Ecco
perché può aver trovato l'assenso di Castro quando, nel 1965, gli comunica la
decisione di voler lasciare l'isola per altre cause rivoluzionarie. Del resto,
come vedremo, i contrasti tra L'Avana e Mosca proseguono con alti e bassi fino a
poco dopo la morte di Guevara. Del ristretto gruppo dei collaboratori del "Che"
fa parte anche Tamara Bunke, conosciuta da Guevara a Berlino nel 1960 nel corso
del suo viaggio nei paesi comunisti: gli faceva da interprete nel corso degli
incontri con le autorità della Repubblica democratica tedesca (Rdt). La donna è
figlia di ebrei comunisti che erano sfuggiti al nazismo trovando rifugio in
Argentina. Aveva fatto ritorno in patria quando era stata fondata la Rdt. Sei
mesi dopo quell'incontro a Berlino, la Bunke va a vivere a Cuba e lavora nel
gruppo di collaboratori del "Che" (è molto probabile che fosse anche una
informatrice della Stasi, i servizi segreti della Repubblica democratica
tedesca). E' lei che viaggiando in alcuni paesi latinoamericani informa Guevara
sulle possibilità di organizzazione di movimenti rivoluzionari. Il ministro
dell'industria deve però stemperare i suoi entusiasmi quando si reca per la
seconda volta a Mosca nel novembre 1964. Vede confermate le divergenze
strategiche con i sovietici: dai colloqui riceve l'impressione che i dirigenti
di quel partito comunista non aiuteranno la strategia rivoluzionaria per
l'America Latina che si sta mettendo a punto a L'Avana. Anzi, a Mosca si
sospetta che il "Che" abbia simpatie per le posizioni dei comunisti cinesi, che
polemizzano con l'Urss proprio sulla strategia della "coesistenza pacifica" con
gli Stati Uniti (in quel momento la frattura tra Mosca e Pechino è verticale e
si riflette sul movimento comunista internazionale che si divide tra le due
opzioni). Mao Tse Tung, nel pieno della rivoluzione culturale cinese, insiste
nel dire che la guerra con l'imperialismo è la tendenza naturale della storia. A
L'Avana, di rimbalzo, chi non è d'accordo con Guevara lo accusa di essere
"trotzkista" e "maoista". Alle spalle, intanto, ci sono le sconfitte dei gruppi
rivoluzionari in Argentina e Perù: vengono uccisi molti amici del "Che" e
scompare in Argentina senza lasciare tracce di sé Jorge Ricardo Masetti (si
suicida?), un argentino che aveva contribuito a organizzare a L'Avana l'agenzia
di stampa "Prensa latina" e che stava preparando il terreno nel paese natale con
altri guerriglieri per un possibile arrivo del ministro dell'industria di Cuba.
L'11 dicembre 1964 Guevara si reca a New York per rappresentare Cuba
all'Assemblea generale delle nazioni unite. Nel suo discorso condanna duramente
la politica imperialista degli Stati Uniti e inneggia alle lotte di liberazione
in America Latina, Asia (da alcuni mesi gli americani sono intervenuti
direttamente in Vietnam contro i comunisti di Ho Chi Minh) e Africa. Nelle sue
parole un posto di rilievo lo occupa la vicenda del Congo, dove le forze
progressiste cercano di resistere al colpo di Stato di Mobutu. In quelle
giornate passate a New York Guevara incontra il leader dei neri americani
Malcolm X di ritorno dall'Africa e dal Medio Oriente. I due discutono proprio
della situazione del Congo. Dagli Stati Uniti il "Che" parte in un viaggio che
durerà tre mesi: Africa, Cina, Parigi, Praga, Irlanda. Sessanta giorni li
trascorre ininterrottamente in Africa e Medio Oriente: Congo, Guinea, Ghana,
Algeria, Egitto, Angola. Per Guevara "l'Africa è uno dei più importanti campi di
battaglia contro tutte le forme di sfruttamento esistenti nel mondo, contro
l'imperialismo, il colonialismo e il neocolonialismo". In quelle settimane
matura la decisione di partecipare in prima persona al conflitto che si sta
svolgendo in Congo. Nel viaggio a Pechino cerca di smussare la diffidenza cinese
nei confronti di Cuba e riscontra l'interesse della Cina per quanto sta
accadendo in Africa. I primi incontri con i rivoluzionari congolesi sono
deludenti. Guevara rimane ben impressionato solo da Laurent Kabila, un giovane
di venticinque anni che ha il grado di comandante. Con lui si trova
politicamente in sintonia nel considerare il Congo un "problema mondiale": una
vittoria delle forze progressiste avrebbe avuto ripercussioni sull'intero
continente africano. In Congo ormai da tre mesi, non riuscirà a incontrarlo e
l'episodio contribuirà al suo progressivo scoraggiamento. Il 25 febbraio il
"Che" svolge il suo discorso al Secondo seminario economico di solidarietà
afroasiatica che gli vale la definitiva scomunica di Mosca e i rimbrotti di
Castro quando fa ritorno a L'Avana. Con l'accordo di Castro, Guevara mette a
punto la sua partenza per il Congo, nel quale dovrà guidare un gruppo di
guerriglieri cubani che da qualche tempo si stanno addestrando per questa
missione. Quanto accade nei mesi successivi è annotato scrupolosamente nei diari
di Guevara, ma la loro versione integrale non è mai stata pubblicata. Dalle
pagine che sono state rese note si apprende come il dirigente della rivoluzione
cubana rimanga sempre più deluso dalla situazione congolese e dai movimenti di
quel paese che lottano per l'indipendenza. La missione si rivela un'amara
sconfitta politica e militare, nonostante i contatti e gli aiuti che vengono da
Cuba. Le difficoltà logistiche e militari prendono il sopravvento, la rivalità
tra Cina e Urss finisce per paralizzare i movimenti guerriglieri fino a rendere
del tutto marginale la presenza di Guevara sul campo di battaglia. Il "Che" si
rende conto (lo scrive nei suoi diari) dell'inutilità di permanere a oltranza in
quel paese. A fine novembre abbandona il Congo. Il 25 di quello stesso mese
Joseph Mobutu, capo delle forze armate, si insedia al potere stroncando ogni
ipotesi rivoluzionaria. Il suo regime crolla solo nella primavera del 1997.
Prima di partire per l'Africa il "Che" scrive alcune lettere che hanno il sapore
dell'addio: una è per Castro, una è per i genitori, una è per i figli. Ad Aleida
lascia un nastro registrato in cui recita alcune poesie d'amore di Pablo Neruda.
Il 15 aprile, mentre è già in viaggio per l'Africa, la rivista delle forze
armate "Verde olivo" pubblica un saggio di Guevara dal titolo "Il socialismo e
l'uomo a Cuba", nel quale sono fissate le idee di politica interna e di politica
estera del ministro dell'industria che sta per abbandonare tutti i suoi
incarichi dirigenti a L'Avana. L'assenza del "Che" a Cuba scatena una ridda di
voci e di preoccupazioni. Il 20 aprile Castro si limita a commentare che Guevara
sta bene e si trova "dove è più utile alla rivoluzione". In molti pensano che
possa essere stato arrestato e rinchiuso in un carcere a causa delle sue
posizioni politiche, che probabilmente divergono da quelle di Castro e del
gruppo dirigente cubano. Anche la madre Celia è preoccupatissima per la sorte
del figlio, mentre le sue condizioni di salute si aggravano: gli scrive
chiedendo di incontrarlo. Muore senza che venga esaudito il suo ultimo desiderio
(il padre, Guevara Lynch, morirà a L'Avana molti anni dopo, nel 1987). Solo
nell'ottobre del 1965 Fidel rende pubblica la lettera con cui Guevara gli ha
comunicato la decisione di lasciare l'isola. Dopo la sconfitta in Congo, il
"Che" si rende conto che non può tornare a occupare i suoi ruoli di
responsabilità a L'Avana. La notizia di lasciare per sempre l'isola è stata resa
ufficiale e lui medita una nuova destinazione di lotta in un paese dell'America
Latina. Del suo destino si occupa la rete dei servizi cubani alle dipendenze di
"Barba Roja" Piñeiro, che lo assiste in un rifugio provvisorio in Tanzania dove
viene raggiunto nel gennaio 1966 dalla moglie Aleida. In quei mesi Guevara
inizia a scrivere un libro sulla sua esperienza in Congo e riprende il progetto
di stendere in forma compiuta i suoi appunti filosofici e economici. Da L'Avana
arriva la decisione che il "Che" deve recarsi a Praga, considerato un rifugio
molto più sicuro della Tanzania. In quelle settimane Fidel Castro insiste per
riaverlo a Cuba, anche se la politica della rivoluzione ha nuovamente smussato
le incomprensioni con l'Unione Sovietica mentre la presenza dell'ex ministro
dell'industria avrebbe potuto riaccenderle. Guevara accetta, a condizione che il
suo ritorno rimanga del tutto segreto. La richiesta viene esaudita. Nel maggio
1965 e nel gennaio 1966 (in quel periodo si svolge la Prima conferenza
tricontinentale dei movimenti di liberazione di Asia, Africa e America Latina)
Castro rilancia le sue critiche nei confronti della "coesistenza pacifica"
praticata da Usa e Urss. Con un pizzico di polemica, il 1966 viene dichiarato a
Cuba "anno della solidarietà": la rivoluzione si impegna a sostenere tutte le
cause dei popoli oppressi. Fidel sfrutta sapientemente anche le divergenze tra
Mosca e Pechino per lanciare l'idea di un terzo polo del movimento comunista
internazionale: L'Avana, secondo le sue intenzioni, può diventare il punto di
riferimento dei popoli del Terzo Mondo. Queste mosse di Castro sono tattiche, o
sui suoi proclami pesa il riavvicinamento con il "Che"? Guevara, che è rientrato
a Cuba in incognito, cerca di mettere a punto una spedizione rivoluzionaria in
America Latina. La scelta si concentra sulla Bolivia, dove i militari hanno
deposto il presidente Victor Paz Estenssoro. Per quella soluzione opera
direttamente Castro, che la ritiene la più opportuna per dare il via a un "foco"
guerrigliero che potrebbe estendersi fino ad Argentina, Venezuela e Colombia:
per questo incontra ripetutamente Mario Monje, segretario del Partito comunista
boliviano, che si dimostra però scettico sulla possibilità che Guevara vada con
i suoi guerriglieri in Bolivia. L'idea che si fa strada nel "Che" è quella di
"creare due, tre, molti Vietnam". Il suo quartier generale per i preparativi del
trasferimento in Bolivia diventa la zona di Pinar del Rio, la punta occidentale
dell'isola. Con lui ci sono alcuni uomini che lo hanno accompagnato sulla Sierra
Maestra negli anni della guerriglia cubana e seguito perfino in Congo: Harry
Villegas (da tutti chiamato "Pombo"), Carlos Coello, José Maria Tamajo, Octavio
de la Concepción, Israel Reyes Zayas. Si aggiungono al gruppo i boliviani Coco e
Inti Peredo (che hanno abbandonato in dissenso il partito comunista del paese
d'origine), Vesquez Viana. Tamara Bunke sta già operando in incognito dai primi
mesi del 1966 a La Paz, dove è riuscita a ottenere un lavoro e la cittadinanza
grazie a un matrimonio di convenienza. La raggiunge molto presto Tamajo, che ha
il compito di preparare le condizioni logistiche per l'insediamento dei
guerriglieri. Nel Partito comunista boliviano la prospettiva dell'arrivo dei
combattenti cubani acutizza le divisioni tra filocinesi e filosovietici: sono i
primi i più convinti della necessità di appoggiare la guerriglia, anche se il
"Che" rifiuta di schierarsi con gli uni o con gli altri. Dei contatti con i
comunisti boliviani si occupa in una seconda fase Regis Debray, giovane
intellettuale francese entrato nelle grazie di Castro e soprattutto del "Che".
La zona prescelta da Guevara in Bolivia è in un primo momento l'Alto Beni, dove
- secondo le informazioni che ha ricevuto - potrebbe contare sull'aiuto dei
contadini e su una vegetazione che avrebbe favorito i movimenti clandestini dei
suoi uomini. Poi, su consiglio di Monje, sceglie la zona di Nacahuasu. I
rapporti tra l'ex ministro dell'industria di Cuba e i comunisti boliviani si
deteriorano già nel settembre del 1966, mentre sono allo studio i preparativi
della missione: non c'è convinzione rispetto all'avvio dell'insurrezione e il
partito vuole controllare ogni mossa di quello che può accadere sul campo di
battaglia. Guevara reagisce cercando di ottenere l'appoggio sia di Mosca che di
Pechino (tenta di convincere Monje a recarsi in Unione Sovietica; invia una
lettera personale a Chu En Lai, il prestigioso ministro degli esteri cinese che
ha conosciuto nel suo viaggio a Pechino). Il "Che" giunge a La Paz il 3 novembre
1966, dopo un viaggio lunghissimo: Parigi, Mosca, Praga, Madrid, San Paolo. Sul
suo passaporto reca il nome di un cittadino uruguaiano: Adolfo Mena González che
avrebbe il compito ufficiale di stendere un rapporto sulla situazione
socio-economica della Bolivia su richiesta dell'Organizzazione degli Stati
americani. Prima di partire è andato a salutare i figli (Aleidita, Camilo, Celia
e Ernesto avuti da Aleida March e Hildita avuta da Hilda Gadea) fingendosi
Ramón, un amico di loro padre (il trucco lo ha invecchiato e gli ha prodotto una
incipiente calvizie). Nelle settimane precedenti - presentato da Castro ad altri
dirigenti in occasione di un ristretto ricevimento - è riuscito a non farsi
riconoscere neppure dagli amici più stretti. Le ultime ore a L'Avana le ha
passate con sua moglie Aleida e con Castro. Quando Guevara incontra Monje in
Bolivia, il 31 dicembre 1966, il dissidio si rivela non ricomponibile: il
segretario dei comunisti boliviani chiede la direzione politica dell'attività
guerrigliera, proponendo una miscela tra iniziative legali e illegali. In
pratica vuole il controllo politico delle azioni del gruppo al comando del
"Che": una richiesta inaccettabile. Questa frattura costituisce un primo
handicap per la guerriglia: ne accentua l'isolamento e le impedisce di lavorare
alla più ampia unità del fronte della sinistra boliviana. Il gruppo di
guerriglieri resta composto da sedici cubani, trenta boliviani, due argentini e
tre peruviani. Castro scrive a Guevara: "Si è completata l'équipe cubana con
successo; il morale della gente è buono e ci sono solo piccoli problemi. I
boliviani vanno bene, anche se sono pochi. L'attitudine di Monje può da un lato
ritardare lo sviluppo dell'azione, ma contribuire dall'altro a liberarmi da
eccessivi compromessi politici". Tutte le fasi di ciò che accade in Bolivia -
dal 7 novembre 1966 al 7 ottobre 1967 - sono raccolte scrupolosamente nel
"Diario" di Guevara. Il primo scontro con l'esercito si svolge il 23 marzo 1967,
a nord di Camiri, nella zona di Nancahuazu: il conflitto a fuoco è casuale, una
pattuglia di militari viene chiamata sul luogo a causa di alcuni movimenti
sospetti. I piani del "Che" non prevedono che le autorità boliviane vengano a
conoscenza così presto delle sue mosse: avrebbe voluto preparare le condizioni
dello scontro per altri nove mesi. Come mai si verifica quell'incidente? Errori
logistici di sicuro, ma è anche probabile che nel gruppo vicino ai guerriglieri
ci sia qualche delatore. Ormai il governo di La Paz è a conoscenza che un gruppo
gerrigliero è presente sul suo territorio: non sa che è agli ordini di Guevara.
La prima misura che si adotta nella capitale boliviana è quella di mettere fuori
legge il Partito comunista (il provvedimento è datato 11 aprile). Guevara,
amaramente, annota nel suo diario che "la base contadina non si sviluppa" e che
"le malattie hanno minato la salute di alcuni compagni". Il gruppo guerrigliero
- a cui si sono uniti nel frattempo Regis Debray, il pittore argentino Roberto
Bustos, il fotografo cileno George Roth - cerca di raggiungere una zona più
sicura. Ma a Muyupampa, il 20 aprile, vengono arrestati Debray e Bustos.
Quest'ultimo - dopo alcune settimane di carcere - rivela i piani della
guerriglia e disegna gli identikit dei suoi protagonisti. Anche Debray, sotto
tortura, finisce per parlare ("Debray ha parlato più del necessario", scrive il
"Che" nel riepilogo del suo "Diario" nel mese di aprile). Altri scontri con
l'esercito si verificano a maggio. Guevara prende nota che non ci sono contatti
con La Paz e che il reclutamento dei contadini non fa un passo in avanti. Nella
capitale il governo decide di decretare lo stato d'assedio e di arrestare molti
esponenti della sinistra. I consiglieri statunitensi - prontamente giunti in
Bolivia - iniziano l'addestramento di reparti speciali anti-guerriglia. Il
successo più importante per gli uomini di Guevara si verifica il 7 luglio,
quando occupano la città di Samijpata, che taglia in due la Bolivia lungo la
strada che unisce Cochabamba a Santa Cruz. La controffensiva dell'esercito non
si fa attendere e la zona viene riconquistata. Da quel momento in poi isolamento
e scoramento vincono sulle possibilità di organizzare l'insurrezione. Il gruppo
si è intanto diviso in due. Quello di cui fa parte Tania Bunke viene individuato
e sterminato il 31 agosto a Vado del Yeso. Guevara ne ha notizia dalla radio
boliviana, ma spera in una montatura e nel possibile ricongiungimento. Nel
"Diario" vengono intanto appuntati i sintomi della disgregazione del manipolo
guerrigliero che inizia a vagare sulle montagne boliviane senza un piano
preciso. Le comunicazioni con L'Avana sono difficili. Il "Che" riceve dei
messaggi in codice ascoltando le trasmissioni di "Radio Avana" con la sua radio
da campo. Castro, quando ha potuto comunicare con lui, lo ha sempre rassicurato
sulla rete di rapporti politici che si sta tessendo a Cuba per non lasciarlo
isolato. Resta il fatto che il quartier generale cubano non fa granché per
tirare fuori Guevara dal labirinto boliviano: non si organizza una spedizione ad
hoc, mentre dalla Bolivia giungono notizie sempre più preoccupanti sulla sorte
di quel manipolo di guerriglieri. Non manca certo la solidarietà politica, è
però assente quella militare e logistica. Il 10 agosto 1967 - a riprova che Cuba
sostiene il tentativo di Guevara - Castro conclude a L'Avana, presso il cinema
Chaplin, la prima conferenza dell'Organizzazione di solidarietà latinoamericana:
il suo discorso è di peno appoggio alle guerriglie del continente e di critica
rispetto alle prudenze dell'Unione Sovietica. Il "Che" ha indirizzato a quella
conferenza un messaggio - attraverso le pagine della rivista "Tricontinental"
nel suo numero di aprile - in cui ripropone la sua idea di creare "due, tre,
molti Vietnam". Quella conferenza non piace ai movimenti rivoluzionari che si
riconoscono nelle posizioni dell'Unione Sovietica. Ed è probabile che il Kgb, il
servizio segreto sovietico, abbia concorso dopo quest'episodio ad accrescere
l'isolamento del "Che" in Bolivia (Tania Bunke aveva il compito di sorvegliare
le sue mosse e di tenere informato il Cremlino?). Il 7 ottobre, nell'ultima
pagina del "Diario", Guevara scrive: "Si compiono undici mesi dall'inaugurazione
della guerriglia. Giornata senza complicazioni, bucolica... ci rendiamo conto
che siamo a circa una lega da Higuera". E' un appunto che si rivela del tutto
inconsapevole di quello che sta per accadere. Una vecchia contadina ha scoperto
accidentalmente i guerriglieri, che cercano di comprare il suo silenzio con
cinquanta pesos. "Ma ci sono poche speranze che mantenga il silenzio", si legge
nel "Diario". Il giorno dopo, presso la Quebrada del Yuro, i diciassette uomini
superstiti dell'iniziale gruppo di guerriglieri che ha iniziato l'avventura
boliviana con il "Che" vengono sorpresi da cinque battaglioni di ranger. Sei
muoiono nello scontro, otto riescono a fuggire, tre sono fatti prigionieri. Tra
loro, ferito, c'è lo stesso Guevara, che rivela la sua identità e viene
trasportato nel villaggio di La Higuera, distante otto chilometri. I prigionieri
vengono rinchiusi in una scuola. Il "Che" è ripetutamente interrogato. Si
rifiuta di rispondere alle domande. I militari sono al comando di Andrés Selich
e di Miguel Ayaroa. Il 9 ottobre giunge sul luogo il cubano Felix Ismael
Rodríguez Mendigutia, che è entrato a far parte della Cia e tenta inutilmente di
far parlare il prigioniero. In mattinata, da La Paz giunge l'ordine di ammazzare
Guevara: a prendere la decisione hanno provveduto il presidente boliviano
Barrientos e i funzionari dei servizi segreti americani che sono in perenne
collegamento con Washington. A sparare i colpi mortali ci pensa il militare
Mario Teran (gli assassini di Guevara moriranno tutti in circostanze misteriose
negli anni successivi). Si chiudono in questo modo trentanove anni vissuti
intensamente. Il cadavere - trasportato fin lì con un elicottero - viene esposto
all'ospedale Signore di Malta su un tavolaccio a fotografi, tv e giornalisti. Il
"Che" ha gli occhi aperti, la divisa sbottonata. Il suo corpo viene sepolto di
nascosto in un angolo della località di Vallegrande, a duecentoquaranta
chilometri a est di Santa Cruz (nel 1996 il governo boliviano ha autorizzato le
ricerche in prossimità di un aeroporto per ritrovarne i resti). Le mani vengono
tagliate e fatte arrivare a Cuba, affinché L'Avana prenda atto che Guevara è
davvero morto. Il 15 ottobre, in un discorso televisivo, Castro conferma a tutto
il mondo la morte del "Che". Il 18 ottobre, nella Piazza della rivoluzione, si
svolge la "veglia funebre" in memoria di quello che viene ribattezzato "il
guerrigliero eroico". Vi partecipa una folla immensa e commossa. Cosa accadde ai
superstiti? La versione più attendibile è quella di Harry Villegas, alias Pombo,
che è stato accanto a Guevara dal 1957 al 1967. Del gruppo guerrigliero si
salvano tre cubani: lui, Dariel Alarcon (Benigno), Leonardo Tamayo (Urbano). Ci
riescono perché proprio il "Che" li aveva convinti per motivi strategici a
separarsi dal suo gruppo. La notizia dell'arresto del loro leader l'apprendono
dalla radio. E' un dettaglio a confermare l'accaduto ("Parlavano delle
calzature, di due paia di calzini: il "Che" ne usava sempre due paia, perché
aveva la pelle molto sensibile e così la proteggeva"). Amarezza e sorpresa
lasciano subito il posto al lucido tentativo di sottrarsi all'esercito boliviano
e agli agenti della Cia. Scontri a fuoco con i militari, clandestinità, altri
compagni ammazzati costellano la rottura dell'accerchiamento. Solo nel gennaio
del 1968 i superstiti (aiutati da ciò che resta della rete guerrigliera e da
qualche componente del Partito comunista boliviano) riescono a giungere a La Paz
da Cochabamba a bordo di un camion di fortuna. Da lì parte la loro marcia
forzata verso il confine con il Cile, dove giungono il 15 febbraio. Falliti i
contatti con Perù e Ecuador per un rapido rimpatrio, i tre devono iniziare un
vero e proprio giro del mondo per tornare a Cuba. Prima l'Isola di Pasqua, poi
Tahiti, Numea (isoletta del Pacifico), Sri Lanka, Addis Abeba, Parigi, Mosca e
finalmente L'Avana, dove il 6 marzo trovano Fidel Castro ad aspettarli
all'aeroporto. Anche le pagine del "Diario" di Guevara arrivano a Cuba in modo
rocambolesco, grazie soprattutto a Salvador Allende, leader socialista cileno (è
lui ad accogliere i tre cubani superstiti in Cile e ad avviarli verso Tahiti).
Una prima versione viene pubblicata sulla rivista cilena "Punto Final" alla fine
di gennaio 1968. I microfilm del "Diario" giungono a L'Avana nel mese di marzo.
Il primo luglio esce nelle librerie cubane la prima edizione stampata del
"Diario" con un'introduzione di Castro (mancano solo poche pagine che saranno
reintegrate molti anni dopo). Quel libro diventa un bestseller in tutto il
mondo. Il 28 gennaio 1968 c'è un episodio che è una specie di ondalunga del
dissidio che ha contrapposto per qualche tempo Cuba all'Unione Sovietica. Il
comitato centrale del Partito comunista cubano espelle Aníbal Escalante e altri
nove dirigenti dell'ex Partito socialista popolare (il vecchio partito comunista
pre-rivoluzione) con l'accusa di aver organizzato una "microfrazione" legata
alle direttive di Mosca. Nella polemica viene coinvolto anche lo staff
dell'ambasciata sovietica a L'Avana. La rottura tra Cuba e Urss è totale e i
"barbudos" sembrano ricercare l'originalità dei primi anni della rivoluzione che
hanno via via perduto. Ma ad agosto, mentre i carri armati di Mosca hanno invaso
Praga, giunge inaspettata un'ulteriore correzione di rotta. Castro, in un
solenne discorso, difende quella scelta dell'Unione Sovietica piegandola alle
esigenze di Cuba: "Noi accettiamo l'amara necessità che ha reso inevitabile
l'impiego della forza in Cecoslovacchia, ma abbiamo il diritto di esigere che si
prenda una posizione coerente in tutte le altre questioni che riguardano il
movimento rivoluzionario nel mondo". Fidel teme di restare solo sulla scacchiere
internazionale e in balia degli Stati Uniti? La morte di Guevara chiude il ciclo
delle speranze di estendere la rivoluzione in America Latina e di costituire un
terzo polo (rivoluzionario e non allineato alle grandi potenze) nello scenario
mondiale. Quel discorso di Castro segna un passaggio di fase. Nonostante negli
ultimi anni si sia riacceso un interesse per la ricerca storiografica intorno a
Guevara e sia ripartito un dibattito intorno a un personaggio che somiglia a un
puzzle (i suoi scritti sono disponibili in nuove edizioni), non è possibile
ritenere esaurite le fonti che possono aiutare un giudizio e un'interpretazione
definitivi. Nei cassetti dei servizi segreti di Mosca, Washington e L'Avana sono
ancora rinchiusi troppi documenti che riguardano il "Che" e i suoi disperati
tentativi rivoluzionari in Congo e Bolivia. Non è stata ricostruita nei dettagli
la sua esperienza di ministro e di uomo di Stato a Cuba. Sui suoi rapporti con
Castro sono state avanzate delle ipotesi non suffragate da documenti e
testimonianze (o pieno accordo o totale conflitto sull'evoluzione della
rivoluzione cubana). Non sono stati pubblicati integralmente neppure tutti i
suoi scritti: sul diario del Congo, sugli appunti filosofici e economici grava
ancora il veto del Consiglio di Stato cubano, mentre su qualche scritto
giovanile vegliano la moglie Aleida e i suoi figli che vivono a L'Avana. Il boom
editoriale che circonda il personaggio non ha esaurito affatto l'indagine e il
confronto sulle interpretazioni possibili e su alcuni passaggi della sua
biografia umana e intellettuale. E poi la rivoluzione cubana e Fidel Castro non
hanno abdicato: stanno cercando in questi anni Novanta nuove vie per convivere
con un mondo del tutto cambiato rispetto al 1959 e ai tre decenni successivi. Il
"Che" fa parte della storia, ma su di lui, Cuba e Castro si fa fatica a far
prevalere il distacco storico. Sta qui - nella ricerca che continua - una delle
attualità di questo argentino inafferrabile che il caso ha portato a Cuba e poi
a girare per i diversi continenti come messaggero e diplomatico del Terzo Mondo,
nel tentativo di rendere più giusto un pianeta diseguale in anni irripetibili
per ansie e propositi di liberazione. L'America Latina e l'Africa contemporanee,
nelle loro drammatiche contraddizioni, non sono molto distanti da quelle del
decennio Sessanta. Se c'è una lezione da trarre dalla vita di Guevara, forse
consiste nella sua capacità di mettersi in discussione continuamente, senza
adagiarsi in presunte certezze e nel richiamo finanche ossessivo alla situazione
di degrado del Terzo Mondo. La sua voglia di conoscere e di fare non si è mai
fermata. La sua coerenza morale e etica ha spesso sfiorato la testardaggine, ma
è stata una bussola inossidabile di riferimento. I giovanissimi che in tutto il
mondo indossano le magliette con il suo volto stampato non sanno granché dei
suoi trentanove anni di vita. Intuiscono semplicemente la forza di un simbolo
ribelle in cui riconoscersi. Di simboli, miti e totem è cosparsa anche l'era di
Internet, fax e satelliti. Non sempre si tratta di cattivi maestri. Gli anni
trascorsi dalla famiglia Guevara a Alta Gracia sono ricostruiti nel libro di
Stefano Sieni "L'altra faccia del Che. Il mito "bambino" (Casa editrice Le
Lettere, 1996 Firenze). Il periodo va dal 1932 al 1943. L'autore ha incontrato
gli amici d'infanzia del "Che" che hanno seguito come un'eco lontana le sue
gesta prima di guerrigliero, poi di ministro e uomo di Stato e poi ancora di
guerrigliero in Congo e Bolivia. Dalle parole dei compagni di giochi e di scuola
viene fuori il ritratto di un ragazzino malato e testardo, allevato in una casa
piena di libri e di visitatori, generoso e allegro, con un particolare
attaccamento per la madre. In questo libro si possono leggere alcuni episodi
inediti sulla vita di Ernesto Guevara. La Guerra civile spagnola si svolge dal
1936 al 1939. Il 18 luglio 1936 scoppia una rivolta militare contro il governo
del Fronte popolare di Largo Caballero. A guidarla è il generale Francisco
Franco che per combattere la sinistra fa affidamento sui settori monarchici e
cattolici, ma soprattutto sulla Falange fascista fondata nel 1933 da José
Antonio Primo de Rivera. I rivoltosi sono appoggiati sul piano militare da
Germania, Italia e Portogallo. Il governo repubblicano ottiene l'aiuto della
Francia e dell'Unione Sovietica, mentre giungono in Spagna "brigate
internazionali" formate da militanti comunisti, socialisti e anarchici (60.000
uomini). Franco conquista Madrid nel 1939. Il suo governo viene riconosciuto da
Francia, Inghilterra e Stati Uniti. Il bilancio della Guerra civile spagnola è
di un milione di morti. Alberto Granado è nato a Cordoba, Argentina, nel 1922.
Dal 1961 vive a L'Avana dove lavora come biologo in un centro di ricerche sui
problemi dell'agricoltura. A volerlo a Cuba è stato proprio Ernesto Guevara che
chiese a tutti i suoi migliori amici di dividere con lui l'avventura
rivoluzionaria. A cementare l'amicizia tra i due ci aveva pensato il viaggio in
moto per l'America Latina iniziato alla fine del 1951. Granado ha raccolto i