Signor Presidente, Signori Delegati: Vi parla la delegazione di
Cuba, un’isola situata all’ingresso del Golfo del Messico, nel Mare dei Caraibi.
Vi parla sostenuta dai molteplici diritti che ha per giungere a questo forum e
proclamare la sua verità. Vi parla in primo luogo come paese che sta realizzando
la gigantesca esperienza di costruzione del socialismo; come paese appartenente
all’insieme delle nazioni latinoamericane, anche se decisioni antigiuridiche lo
hanno transitoriamente separato dall’organizzazione regionale, grazie alla
pressione e all’azione degli Stati Uniti. La posizione geografica indica che vi
parla un paese sottosviluppato che ha sofferto sulla propria carne le ferite
dello sfruttamento colonialista e imperialista e che conosce l’amara esperienza
della sudditanza dei suoi mercati e delle sua economia o, ed è lo stesso, della
sudditanza di tutto il suo apparato governativo a un potere straniero. Cuba
parla, inoltre, nella sua condizione di paese aggredito. Tutte queste
caratteristiche hanno collocato la nostra nazione in primo piano tra le notizie
del mondo intero, malgrado le sue ridotte dimensioni, la scarsa importanza
economica e la modesta popolazione. In questa Conferenza Cuba esprimerà la sua
opinione attraverso distinti punti di vista che formano la sua peculiare
situazione nel mondo, ma soprattutto fonderà la sua analisi sulla sua condizione
più importante e positiva: quella di un paese che costruisce il socialismo.
Nella condizione di paese latinoamericano e sottosviluppato si unirà alle
principali richieste dei paesi fratelli, e nella sua condizione di aggredito
denuncerà da subito tutte le macchinazioni ordite dall’apparato di coercizione
del potere imperiale degli Stati Uniti. Abbiamo premesso queste parole di
spiegazione, come introduzione, perché il nostro paese considera imprescindibile
definire esattamente il raggio d’azione della conferenza, il suo significato e
la sua possibile importanza. Siamo giunti a questa riunione 17 anni dopo aver
realizzato la Conferenza dell’Avana, dove si pretendeva realizzare un
ordinamento del mondo in accordo con gli interessi in competizione delle potenze
imperialiste. Malgrado che Cuba fosse il paese sede di quella conferenza, il
nostro Governo Rivoluzionario non si sente vincolato al più piccolo impegno
preso da un paese dipendente dagli interessi imperialisti, né tanto meno per il
contenuto di quella cosiddetta Carta dell’Avana. In quella Conferenza e nella
precedente di Bretton Woods, venne creata una serie di organismi internazionali
la cui azione è stata nefasta per gli interessi dei paesi dipendenti del mondo
contemporaneo. E anche se gli Stati Uniti non ratificarono la Carta dell’Avana,
in quanto la considerarono “audace”, i diversi organismi creditizi e finanziari
internazionali e l’accordo generale sulle imposte doganali di commercio,
risultato concreto di quelle due riunioni, hanno dimostrato essere armi
sufficienti della difesa dei loro interessi, e ancora una volta, arma di attacco
contro il nostro paese. Questi sono i temi che dovremo trattare più
approfonditamente in seguito. Oggi l’ordine del giorno della Conferenza è più
ampio e realista, perché abbraccia, tra gli altri, tre dei problemi cruciali del
mondo contemporaneo: le relazioni tra il campo dei paesi socialisti e quello dei
paesi capitalisti industrializzati, le relazioni tra i paesi sottosviluppati e
le potenze capitaliste sviluppate, e il grande problema dello sviluppo per il
mondo dipendente economicamente. Il numero di partecipanti a questa nuova
riunione supera di gran lunga quella del 1947, all’Avana. Non possiamo dire,
tuttavia, per amore di giustizia, che questo sia il forum dei popoli del mondo.
Le strane interpretazioni giuridiche che ancora alcune potenze manipolano con
arroganza fanno sì che manchino a questa riunione paesi di grande importanza nel
mondo, come la Repubblica Popolare Cinese, unica e legittima rappresentante del
popolo più numeroso nella storia dell’umanità, e che, al suo posto, occupi
questi scanni sedie una falsa rappresentanza di quel popolo che, per una
contraddizione ancora più grande, possiede incluso il diritto di veto
all’interno delle Nazioni Unite. Bisogna prendere nota che qui mancano anche i
rappresentanti della Repubblica Democratica di Corea e della Repubblica
Democratica del Vietnam, autentici governi dei loro popoli, mentre vi sono i
rappresentanti dei governi dei due stati divisi e, per aggiungere altre
contraddizioni, mentre la Repubblica Democratica Tedesca è ingiustamente
esclusa, la Repubblica Federale Tedesca, d’altra parte, assiste a questa
Conferenza e ottiene la vicepresidenza. E mentre le repubbliche socialiste
citate non sono qui rappresentate, il governo dell’Unione Sudafricana che viola
la Carte delle Nazioni Unite con la sua politica inumana e fascista di
apartheid, sanzionata dalla sue stesse leggi, e che sfida l’ONU, rifiutandosi di
informare sui territori che mantiene in fideicomiso, vanta un posto in questa
sala. Tutte queste anomalie fanno sì che la riunione non possa essere definita
come il forum dei popoli del mondo. E’ nostro dovere segnalarlo, richiamare
l’attenzione dei presenti, giacché mentre si manterrà questo stato di cose e la
giustizia è maneggiata dagli interessi di pochi potenti, le interpretazioni
giuridiche seguiranno le regole dei potenti oppressori e sarà difficile
eliminare la tensione imperante, che contiene pericoli sicuri per l’umanità.
Rileviamo questi fatti anche per mettere in guardia sulla responsabilità che
ricade sulle nostre braccia e sulle conseguenze che possono derivare dalle
decisioni che qui si adottino. Un solo momento di debolezza, di cedimento o di
compromesso, può macchiare le nostre azioni davanti la storia futura, così come
noi, i paesi membri delle Nazioni Unite, siamo in una certa misura complici e in
una certa misura abbiamo le mani macchiate di sangue di Patricio Lumumba, primo
ministro dei congolesi, assassinato miserabilmente mentre le truppe delle
Nazioni Unite garantivano presumibilmente la stabilità del suo regime. Da
sottolineare l’aggravante che erano state chiamate espressamente dal martire
Patricio Lumumba. Fatti di tale gravità o simili a questo, o di significato
negativo per le relazioni tra i popoli, che compromettano il nostro prestigio
come nazioni sovrane, non devono essere permessi in questa Conferenza. Viviamo
in un mondo che è profondamente e antagonisticamente diviso in gruppi di nazioni
che rappresentano tendenze economiche, sociali e politiche molto differenti. In
questo mondo pieno di contraddizioni, la contraddizione fondamentale della
nostra epoca esiste tra i paesi socialisti e i paesi capitalisti sviluppati. Che
il fenomeno della guerra fredda, concepita dall’occidente, abbia dimostrato la
sua inefficacia pratica e la sua mancanza di realismo politico, è uno de fattori
che stanno alla base di questa conferenza. Ma pur essendo la più importante
delle contraddizioni, non è tuttavia l’unica. Esiste anche la contraddizione tra
i paesi capitalisti sottosviluppati e i paesi sottosviluppati del mondo, e in
questa Conferenza per il Commercio e lo Sviluppo, anche le contraddizioni
esistenti tra gruppi di nazioni, hanno un’importanza fondamentale. Esiste,
inoltre, la contraddizione intrinseca tra i distinti paesi capitalisti
sviluppati, che lottano incessantemente tra loro per la divisione del mondo e il
possesso sicuro di mercati per assicurarsi un vasto sviluppo basato,
disgraziatamente, sulla fame e sullo sfruttamento del mondo dipendente. Queste
contraddizioni sono importanti, riflettono la realtà attuale del pianeta e da
esse dipende il pericolo di nuove guerre che possono raggiungere un carattere
mondiale nell’era atomica. In questa Conferenza egualitaria dove tutte le
nazioni potranno esprimere, mediante il loro voto, la speranza dei loro popoli,
se si riuscirà ad arrivare ad una soluzione soddisfacente per la maggioranza, si
sarà fatto il primo passo nella storia del mondo. Ciò nonostante, ci sono molte
forze che si muovono per evitare che ciò accada. La responsabilità delle
decisioni da prendere ricade nei rappresentanti dei popoli sottosviluppati. Se
tutti i popoli che vivono in condizioni economiche precarie, dipendenti da
potenze straniere in alcuni campi vitali della loro economia e della loro
struttura politica e sociale, sono capaci di resistere alle tentazioni e alle
offerte fatte freddamente ma nei singoli momenti “caldi”, e impongono qui un
nuovo tipo di relazioni, l’umanità avrà fatto un passo avanti. Se al contrario,
i gruppi delle nazioni sottosviluppate, rispondendo al canto delle sirene degli
interessi delle potenze sviluppate che godono i benefici della loro
arretratezza, entrano tra loro in una lotta sterile per disputarsi le briciole
del banchetto dei potenti del mondo e rompono l’unità di forze numericamente
superiori o non sono capaci di imporre compromessi chiari, privi di clausole
scappatoie, soggette a interpretazioni capricciose, o semplicemente violabili a
piacere dai potenti, allora il nostro sforzo sarà stato vano e le lunghe
deliberazioni di questa Conferenza si tradurranno semplicemente in innocui
documenti e in archivi in cui la burocrazia internazionale custodirà gelosamente
le tonnellate di carta scritta e i chilometri di nastri magnetici in cui sono
raccolte le opinioni verbali dei partecipanti, e il mondo continuerà ad essere
tale e quale. Questa è la caratteristica di questa conferenza, nelle quale
dovranno essere risolti non solo i problemi causati congiuntamente dai domini
del mercato e dal deterioramento dei termini dell’interscambio, ma anche la
causa per cui questo stato di cose esiste al mondo, la sudditanza delle economie
nazionali dei paesi dipendenti ad altri più sviluppati che mediante gli
investimenti dominano gli aspetti principali della loro economia. Comprendiamo
chiaramente, e lo diciamo chiaramente, che l’unica soluzione corretta ai
problemi dell’umanità nel momento attuale, è la soppressione assoluta dello
sfruttamento dei paesi dipendenti ad opera dei paesi capitalisti sviluppati, con
tutte le conseguenze implicite in questo gesto. Siamo venuti qui con la chiara
coscienza del fatto che si tratta di una discussione tra i rappresentanti di
quei popoli che hanno soppresso lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, di quei
popoli che lo mantengono come filosofia della loro azione e del gruppo
maggioritario di coloro che lo subiscono, e dobbiamo stabilire il dialogo a
partire dalla realtà di tale affermazione. Anche se la nostra posizione è tanto
salda che non esistono argomenti per farla cambiare, siamo disponibili al
dialogo costruttivo nel contesto della coesistenza pacifica tra paesi di
distinti sistemi politici, economici e sociali. La difficoltà poggia sul fatto
che tutti sappiamo a quello che possiamo aspirare senza doverlo prenderlo con la
forza e quando bisogna cedere un privilegio prima che inevitabilmente questo lo
si perda con la forza. Per questo angusto e duro varco dovrà passare la
conferenza. Le deviazioni ci condurranno su un terreno sterile. Abbiamo
annunciato, all’inizio del nostro discorso, che Cuba avrebbe parlato qui anche
come paese aggredito. Da tutti sono conosciuti gli ultimi fatti che hanno reso
il nostro paese il bersaglio delle ire imperialiste e che da prima di Baia dei
Porci, e fino ad oggi, lo hanno convertito in oggetto di tutte le repressioni e
tutte le violazioni immaginabili dal Diritto Internazionale. Non è stato un caso
che Cuba sia stata lo scenario assoluto di uno degli episodi che hanno messo in
più grave pericolo la pace nel mondo, come conseguenza di atti legittimi
intrapresi sulla base del diritto di adottare essa stessa le regole per lo
sviluppo del suo popolo. Le aggressioni degli Stati Uniti verso Cuba iniziarono
praticamente coon il trionfo della rivoluzione. In quella prima tappa furono
caratterizzate da attacchi diretti ai centri di produzione cubani. In seguito
queste aggressioni assunsero il carattere di misure dirette a paralizzare
l’economia cubana. Si cercò di privare Cuba, alla metà degli anni Sessanta, del
combustibile necessario per il funzionamento delle sue industrie, trasporti e
centrali elettriche. Su pressione del Dipartimento di Stato, le compagnie
petrolifere statunitense indipendenti si rifiutarono di vendere petrolio a Cuba
o ad agevolarle navi-cisterna per il trasporto. Poco dopo si cercò di privarla
della valuta necessaria per il commercio estero. Il 6 luglio 1960, l’allora
presidente Eisenhower ridusse la quota di zucchero di Cuba negli Stati Uniti di
700 000 tonnellate di canna tagliata, sopprimendo totalmente tale quota il 31
marzo 1961, pochi giorni dopo l’annunciata Alianza para el Progreso e alcuni
giorni prima di Baia dei Porci. Si fecero tentativi per paralizzare l’industria
di Cuba privandola di materie prime e pezzi di ricambio per le sue macchine; a
tale scopo il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti dettò una
risoluzione, il 19 ottobre 1960, mediante la quale si proibiva l’arrivo verso la
nostra isola di numerosi prodotti. Tale divieto di commercio con Cuba si venne
intensificando fino al 3 febbraio 1962, quando l’allora presidente Kennedy
decretò l’embargo totale al commercio degli Stati Uniti con Cuba. Fallite tutte
le aggressioni, gli Stati Uniti applicarono il blocco economico contro la nostra
patria con l’obiettivo di impedire lo scambio commerciale di altri paesi con il
nostro. Dapprima, il 24 gennaio 1962, il Dipartimento del Tesoro statunitense
annunziava che era proibita l’entrata negli Stati Uniti di qualsiasi prodotto
elaborato in tutto o in parte con prodotti di origine cubana, anche se fosse
stato fabbricato in altri paesi. Con un nuovo passo che rappresentava
l’instaurazione di un blocco economico virtuale, il 6 febbraio 1963, la Casa
Bianca emise un comunicato nel quale si annunciava che le merci comprate con
denaro del governo degli Stati Uniti non potevano essere imbarcate in navi di
bandiera straniera che avessero mantenuto relazioni commerciali con Cuba dopo il
primo gennaio di quell’anno. Così prese avvio la lista nera che ha finito per
comprendere 150 paesi che non si piegarono all’illegale embargo yanquee. E per
rendere difficile lo scambio commerciale con Cuba, l’8 luglio 1963, il
Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti stabilì il congelamento di tutti i
biglietti cubani in territorio statunitense e la proibizione di qualsiasi tipo
di trasferimento di dollari da e verso Cuba. come anche qualsiasi tipo di
transazione di dollari realizzata attraverso un terzo paese. Signor Presidente,
non si potrebbe chiedere di eliminare alcuni rumori che stanno molestando non
poco l’ascolto?... Nella sua ossessione di aggredirci, nella Trade Expansion Act
(Legge di Espansione Commerciale) si esclude specificatamente il nostro paese
dai supposti vantaggi derivanti da questa legge. Quest’anno continuano le
aggressioni: il 18 febbraio gli Stati Uniti hanno annunciato di aver sospeso gli
aiuti a Gran Bretagna, Francia e Yugoslavia per avere questi paesi continuato a
commerciare con Cuba. E il Segretario di Stato Dean Rusk ha dichiarato
testualmente: Nello stesso tempo, non ci può essere un miglioramento nelle
relazioni con la Cina comunista, fino a quando inciti e appoggi aggressioni nel
sudest asiatico, né con Cuba, fino a quando rappresenti una minaccia
nell’emisfero occidentale. Questa minaccia può terminare, per la soddisfazione
di Washington, solo con la caduta del regime di Castro ad opera del popolo
cubano. Consideriamo questo un governo temporale. Cuba chiama la delegazione del
governo degli Stati Uniti perché dica se le azioni che presuppongono questa o
altre dichiarazioni similari e i fatti anteriormente riferiti, siano o no in
contrasto con la convivenza nel mondo attuale, e se la serie di aggressioni
economiche commesse contro la nostra isola e contro i paesi che commerciano con
essa, sia legittima a giudizio della delegazioni statunitense. Se questo
comportamento è in contrasto o no con il principio dell’organismo che ci
convoca, di praticare la tolleranza tra gli stati e con l’obbligo che impone ai
paesi che hanno ratificato la sua propria carta di risolvere pacificamente le
controversie; se questo comportamento è in contrasto o no con lo spirito di
questa riunione a favore della cessazione di tutti i generi di discriminazione e
della scomparsa delle barriere tra paesi con diversi sistemi sociali e gradi di
sviluppo. E chiediamo a questa Conferenza che si pronunzi sulla spiegazione di
merito se la delegazione degli Stati Uniti avrà il coraggio di farlo. Da parte
nostra, manteniamo la nostra unica posizione al rispetto. Siamo disposti al
dialogo, sempre che non vi siano condizioni previe. Da quando è stata firmata la
Carta de La Habana, fino ad oggi, in campo economico e militare sono avvenuti
fatti di indubitabile importanza: in primo luogo si deve menzionare l’espansione
del campo socialista e lo sgretolamento del sistema coloniale. Oggi numerosi
paesi, con una superficie che supera i 30 milioni di chilometri quadrati e una
popolazione che raggiunge un terzo del totale del mondo, hanno eletto come
sistema di sviluppo quello della costruzione della società comunista e come
filosofia della propria azione il marxismo-leninismo. Altri hanno espresso da
tempo di volere stabilire le basi della costruzione del socialismo, anche quando
non abbracciano direttamente la filosofia marxista-leninista. Europa, Asia e ora
Africa e l’America sono continenti scossi dalle nuove idee. I paesi del campo
socialista si sono sviluppati senza interruzione con tassi di crescita molto più
alti di quelli dei paesi capitalisti, malgrado siano partiti in generale, da
gradi di sviluppo piuttosto bassi e abbiano sopportato guerre di sterminio ed
embarghi rigidi. In contrasto con la impetuosa crescita dei paesi del campo
socialista, e con lo sviluppo, anche se decisamente a minor ritmo, della
maggioranza dei paesi capitalisti, esiste il dato indubitabile del totale
ristagno di una gran parte dei paesi detti sottosviluppati, che presentano, a
volte, anche tassi di crescita economica inferiori a quelli della crescita
demografica. Queste caratteristiche non sono dovute al caso. Rispondono
strettamente alle esigenze della natura del sistema capitalista sviluppato e in
piena espansione che sposta verso i paesi dipendenti le forme più illegali e
meno mascherate dello sfruttamento. Dalla fine del secolo passato questa
tendenza espansionista e violenta si è tradotta in innumerevoli aggressioni a
distinti paesi dei continenti più arretrati, ma, fondamentalmente, si sta oggi
traducendo nel controllo da parte delle potenze sviluppate della produzione e
del commercio delle materie prime nei paesi dipendenti. In generale, si
manifesta con la dipendenza di un paese verso un solo prodotto principale che, a
sua volta, si dirige verso un mercato determinato nelle quantità limitate alle
necessità dello stesso. La penetrazione dei capitali dei paesi sviluppati è la
condizione essenziale per stabilire la dipendenza economica. Tale penetrazioni
acquista forme diverse. Si presenta come un prestito a condizioni gravose,
investimenti che assoggettano un paese in mano agli investitori, dipendenza
tecnologica quasi assoluta del paese dipendente nei confronti del paese
sviluppato, controllo del commercio estero da parte dei grandi monopoli
internazionali e, all’ultimo estremo, l’utilizzazione della forza da parte della
potenza economica per rafforzare le altre forme di sfruttamento. A volte questa
penetrazione acquista forme più sottili attraverso l’utilizzo di organismi
internazionali, finanziari, creditizi e di altro tipo. Il Fondo Monetario
Internazionale, la Banca Internazionale di Ricostruzione e Promozione, il GATT
e, nelle nostra America, la Banca Interamericana di Sviluppo sono esempi di
organismi internazionali posti al servizio delle grandi potenze capitaliste,
fondamentalmente dell’imperialismo statunitense. Quelli si introducono nella
politica economica estera e in tutte le forme finanziarie di relazioni interne
tra i popoli. Il Fondo Monetario Internazionale è il cerbero del dollaro in
campo capitalista. La Banca Internazionale di Ricostruzione e Promozione è lo
strumento di penetrazione del capitale statunitense nel mondo sottosviluppato, e
la Banca Interamericana di Sviluppo compie questo triste compito nel continente
americano. Tutti questi organismi si reggono su regole e principi che si
pretendono presentare come salvaguardia dell’equità e della reciprocità nelle
relazioni economiche internazionali quando, in realtà, non sono nient’altro che
feticci tra i quali si celano gli strumenti più sottili per la perpetrazione
dell’arretratezza e dello sfruttamento. Il Fondo Monetario Internazionale,
tutelando suppostamente la stabilità dei tipi di cambio e la liberalizzazione
dei pagamenti internazionali, non fa altro che impedire le misure minime di
difesa dei paesi sottosviluppati di fronte alla concorrenza e alla penetrazione
di monopoli stranieri. Mentre impone i cosiddetti programmi di austerità e
combatte le forme di pagamento necessarie per l’espansione del commercio tra
paesi che soffrono una situazione critica nella loro bilancia dei pagamenti e
severe discriminazioni nel commercio internazionale, tratta disperatamente di
salvare il dollaro dalla sua precaria situazione, senza andare a fondo dei
problemi strutturali che affliggono il sistema monetario internazionale e che
ostacolano una più rapida espansione del commercio mondiale. Il GATT, dalla sua
parte, mentre stabilisce uguali comportamenti e concessioni reciproche tra paesi
sviluppati e sottosviluppati, contribuisce al mantenimento dello status quo; è
utile ai primi, e il suo meccanismo non fornisce i mezzi necessari per
l’eliminazione del protezionismo agricolo, la sovvenzione, i dazi e altri
ostacoli che impediscono l’incremento delle esportazioni dei paesi dipendenti.
Per di più ora che possiede il cosiddetto “programma d’azione” o in questi
giorni, per coincidenza sospetta, in cui incomincia il "round Kennedy". Per
rafforzare la dominazione imperialista si è fatto ricorso alla creazione di aree
preferenziali come forme di sfruttamento e controllo neocoloniale. Possiamo
parlare di ciò con profonda conoscenza di causa, per aver sofferto sulla nostra
carne i risultati degli accordi preferenziali cubani-statunitensi, che hanno
legato le mani al nostro commercio, mettendolo a disposizione dei monopoli
statunitensi. Niente di meglio per esporre quello che questi accordi
preferenziali significarono per Cuba che citare il giudizio dato
dall’ambasciatore degli Stati Uniti, Sumner Welles, al trattato di reciprocità
commerciale, gestito nel 1933 e firmato nel 1934. ...Il Governo cubano a sua
volta ci garantisce praticamente il monopolio del mercato cubano per le
importazioni statunitensi con l’unica riserva che in vista del fatto che la Gran
Bretagna era il principale cliente di Cuba per quella porzione di esportazione
di zucchero che non va agli Stati Uniti, il Governo cubano desidererà concedere
alcuni vantaggi a una limitata categoria di importazioni provenienti dalla Gran
Bretagna. ...Finalmente, la negoziazione in questo momento dell’accordo
commerciale reciproco con Cuba sulle linee prima indicate non solo riprenderà
vita a Cuba, se non che ci darebbe il controllo pratico del mercato che siamo
andati perdendo durante gli ultimi dieci anni, non solo per i nostri prodotti
manifatturieri ma anche per le nostre esportazioni agricole, e in modo notevole
in categorie come il grano, i grassi animali, prodotti di carne, riso e patate.
(Telegramma dell’ambasciatore Welles al Segretario di Stato statunitense,
inviato il 13 maggio 1933, e pubblicato nelle pagine 289-90, del volume V della
pubblicazione Fareign Relations of the United States, corrispondente al 1933). I
risultati del titolato trattato di reciprocità commerciale hanno confermato il
giudizio dell’ambasciatore Welles. Il nostro paese doveva uscire con il suo
prodotto fondamentale, lo zucchero, a raccogliere valuta per il mondo intero per
stabilire l’equilibrio della bilancia con gli Stati Uniti, e le tariffe speciali
imposte impedivano che i produttori di altri paesi europei o gli stessi
produttori nazionali potessero competere con gli statunitensi. E’ sufficiente
citare alcune cifre per provare questo ruolo che Cuba giocava nel cercare valuta
in tutto il mondo per conto degli Stati Uniti. Nel periodo 1948-57, Cuba ebbe un
persistente saldo commerciale negativo con gli Stati Uniti che ammontava in
totale a 328.7 milioni di pesos, mentre nel resto del mondo la sua bilancia
commerciale fu persistentemente favorevole arrivando ad un totale di 1,274 6
milioni. E la bilancia dei pagamenti nel periodo 1948-58 fu ancora più
eloquente. Cuba ebbe una bilancia positiva, fuorché con gli Stati Uniti, di
543,9 milioni di pesos che perdette nelle mani del suo ricco vicino con il quale
ebbe un saldo negativo di 952,1 milioni di pesos, cosa che provocò una riduzione
del suo fondo in valuta di 408,2 milioni di pesos, pari ai dollari. La
cosiddetta Alianza para el Progreso è un’altra dimostrazione evidente dei metodi
fraudolenti usati dagli Stati Uniti per mantenere false speranza nei popoli,
quando lo sfruttamento si fa più acuto. Quando il nostro Primo Ministro Fidel
Castro a Buenos Aires nel 1959, segnalò una necessità minima addizionale di 3
miliardi di dollari annuali di entrate esterne per finanziare un ritmo di
sviluppo che avrebbe realmente ridotto l’abissale differenza che separa
l’America Latina dai paesi sviluppati, molti pensarono che la cifra era
esorbitante. A Punta del Este, tuttavia, già si promettevano 2 miliardi di
dollari all’anno. Oggi si riconosce che la sola perdita del deterioramento dei
termini dell’interscambio nel 1961 (l’ultimo anno per noi disponibile) avrebbe
richiesto per la sua compensazione un 30% annuale di più dell’ipotetico fondo
promesso. E si dà la situazione paradossale, che mentre i prestiti non arrivano
o arrivano destinati a progetti che in poco o niente contribuiscono allo
sviluppo industriale della regione, si trasferiscono quantità numerose di valuta
verso i paesi industrializzati, e questo significa che le ricchezze ottenute con
il lavoro dei popoli che nella loro maggioranza vivono nell’arretratezza, nella
fame e nella miseria, sono sfruttate dai circuiti capitalisti. Così, nel 1961,
in accordo con le cifre della CEPAL, sono usciti dall’America Latina come voce
di utili degli investimenti stranieri e di rimesse una cifra pari a 1,735
milioni di dollari e alla voce di pagamenti di debiti esteri a breve e medio
periodo 1,456 milioni di dollari. Se a questo si aggiunge la perdita indiretta
nel potere di acquisto delle esportazioni (o deterioramento dei termini
dell’interscambio) che risale a 2,660 milioni di dollari nel 1961 e 400 milioni
per la fuga di capitali, si ottiene un volume globale di oltre 6,200 milioni di
dollari, cioè, più di tre Alianzas para el Progreso annuali. In tal modo che, se
la situazione per il 1964 non è ancora ulteriormente peggiorata durante i tre
mesi di sessione di questa conferenza, i paesi dell’America Latina incorporati
alla Alianza para el Progreso perderanno direttamente o indirettamente quasi
1,600 milioni di dollari delle ricchezze create mediante il lavoro dei loro
stessi popoli. Come contropartita gli annunciati fondi, durante l’anno sono
potuti arrivare, con ottimismo, appena alla metà dei 2,000 milioni promessi.
L’esperienza dell’America Latina per quanto riguarda i risultati reali di questo
tipo di “aiuto”, che è considerato come il più sicuro e il migliore rimedio per
migliorare le entrate estere, è triste. Questo deve essere di esempio per altre
regioni e per il mondo sottosviluppato in generale. Oggi quella regione non solo
è praticamente ferma nella sua crescita, ma anche si vede distrutta
dall’inflazione e dalla disoccupazione e gira nel circolo vizioso
dell’indebitamento estero, subendo tensioni che si risolvono, a volte, nella
lotta armata. Cuba ha denunciato al momento opportuno questi fatti e ha
anticipato i risultati, annunciando che rifiutava qualsiasi altra implicazione
se non quella proveniente dal suo esempio e dal suo appoggio morale. Lo sviluppo
degli avvenimenti ci conforta. La seconda Dichiarazione dell’Avana dimostra la
sua validità storica. Tale complesso di fenomeni analizzato per l’America
Latina, ma valido per tutto il mondo dipendente, ha come risultato quello di
garantire alle potenze sviluppate il mantenimento delle condizioni di commercio
che provocano il deterioramento dei termini di interscambio tra i paesi
dipendenti e i paesi sviluppati. Tale aspetto, uno dei più evidenti e che non ha
potuto essere coperto dalla macchina di propaganda capitalista, rappresenta una
della tante ragioni di questa conferenza. Noi avevamo preparato un piccolo
grafico, ma il recente discorso del signor segretario generale della Conferenza,
con cifre tanto dettagliate, ci esonera dal presentare qui questo modestissimo
contributo che non apporta alcuna novità, voleva solo mostrare qualche cifra.
Molti paesi sottosviluppati, nell’analisi dei loro mali, arrivano a tale
conclusione con basi apparentemente logiche: esprimono che se il deterioramento
dei termini dell’interscambio è una realtà oggettiva e alla base della
maggioranza dei problemi, dovuto alla riduzione dei prezzi delle materie prime
che esportano e all’aumento dei prezzi dei prodotti manifatturieri che
importano, tutto ciò nell’ambito del mercato mondiale, quando si realizzano le
relazioni commerciali con i paesi socialisti sulla base dei prezzi vigenti in
questi mercati, questi traggono benefici dallo stato di cose attuali, giacché
sono in generale, esportatori di manifatture e importatori di materie prime. Noi
dobbiamo rispondere con onestà e coraggio che è così; ma con la stessa onestà si
deve riconoscere che non sono quei paesi che hanno provocato tale situazione
(assorbono appena il 10% delle esportazioni dei prodotti primari dei paesi
sottosviluppati verso il resto del mondo), e che, per circostanze storiche, si
sono visiti obbligati a commerciare nelle condizioni esistenti nel mercato
mondiale, prodotto del dominio imperialista sull’economia interna e i mercati
esteri dei paesi dipendenti. Non sono queste le basi su cui i paesi socialisti
stabiliscono il loro commercio nel lungo periodo con i paesi sottosviluppati. Ne
esistono numerosi esempi, tra i quali in particolare, si trova Cuba. Quando è
cambiato il nostro status sociale e le nostre relazioni con il campo socialista
hanno raggiunto un altro grado di reciproca fiducia, senza smettere di essere
sottosviluppati, abbiamo stabilito relazioni di nuovo tipo con i paesi di questo
campo. La più alta espressione di queste relazioni sono gli accordi sul prezzo
dello zucchero con l’Unione Sovietica, mediante i quali quella potenza sorella
si impegna ad acquistare quantità crescenti del nostro prodotto principale a
prezzi stabili ed equi già definiti fino al 1970. Non si deve dimenticare anche
che esistono paesi sottosviluppati di differenti condizioni e che mantengono
diverse politiche nei confronti del campo socialista. Ve ne sono alcuni, come
Cuba, che hanno scelto il cammino del socialismo. Ve ne sono alcuni che hanno un
relativo sviluppo capitalista e stanno iniziando l’esportazione di manufatti. Ve
ne sono alcuni che hanno relazioni neocoloniali, e altri con una struttura quasi
assolutamente feudale e altri che, sfortunatamente,non partecipano a conferenze
di questo tipo, perché i paesi sviluppati non gli hanno concesso di partecipare,
come il caso della Guyana Inglese, Puerto Rico e altri, nel nostro continente,
in Africa e in Asia. Salvo nel primo di questi gruppi, la penetrazione dei
capitali stranieri si è fatta sentire in un modo o nell’altro e le richieste che
oggi si fanno ai paesi socialisti devono essere stabilite sulla base reale di
quello che si dialoga, in alcuni casi, da paese sottosviluppato a paese
sviluppato, ma, quasi sempre il dialogo si stabilisce da paese discriminato a
paese discriminato. In molte opportunità, gli stessi paesi che reclamano un
tratto preferenziale unilaterale ai paesi sviluppati, senza esclusione,
considerando pertanto, in questo campo ai paesi socialisti, mettono trappole di
ogni genere al commercio diretto con quelli stati, giacché esiste il pericolo
che pretendono commerciare attraverso filiali nazionali delle potenze
imperialiste che potrebbero ottenere in questo modo guadagni straordinari,
grazie alla presentazione di un paese dato come sottosviluppato con diritto ad
ottenere delle preferenze unilaterali. Se non vogliamo fare naufragare questa
Conferenza, dobbiamo mantenerci rigidamente all’interno di questi principi. Come
paese sottosviluppato, dobbiamo parlare della ragione che ci accompagna. Nel
nostro caso particolare come paese socialista, possiamo parlare anche della
discriminazione che si realizza contro di noi, non solo da parte di alcuni paesi
capitalisti sviluppati, ma anche da parte di alcuni paesi sottosviluppati che
rispondono coscientemente o incoscientemente agli interessi del capitale
monopolista che ha assunto il controllo fondamentale della loro economia. Non
crediamo che l’attuale relazione di prezzi nel mondo sia quella giusta, ma non è
l’unica cosa ingiusta che esista. Esiste lo sfruttamento diretto di alcuni paesi
verso altri, esiste la discriminazione tra paesi in relazione alle loro
differenti strutture economiche, esiste, come già lo abbiamo indicato, la
penetrazione dei capitali stranieri che arrivano a controllare l’economia di un
paese a proprio vantaggio. Se siamo coerenti nel fare petizioni ai paesi
socialisti sviluppati, dobbiamo anche annunciare la misure che prenderemo per
far cessare la discriminazione e, almeno, le forme più vistose e pericolose
della penetrazione imperialista. È nota la discriminazione che si è realizzata
nel commercio da parte delle metropoli imperialiste verso i paesi socialisti
allo scopo di impedirne lo sviluppo. A volte ha assunto le forme di un autentico
embargo, che si mantiene in maniera quasi assoluta contro la Repubblica
Democratica Tedesca, la Repubblica Popolare Cinese, la Repubblica Popolare
Democratica di Corea, la Repubblica Democratica del Vietnam e la Repubblica di
Cuba da parte dell’imperialismo statunitense. È noto a tutti come questa
politica è fallita e come altri poteri che, al principio seguirono gli Stati
Uniti, si vennero poco a poco a separare da questa potenza con la volontà di
raggiungere i propri benefici. A questa altezza, il fallimento è più che mai
evidente. Si sono anche verificate discriminazioni nel commercio dei paesi
dipendenti e nei paesi socialisti con il proposito fondamentale di non far
perdere ai monopoli la loro zona di sfruttamento e allo stesso tempo
rafforzassero il blocco al campo socialista. Anche questa politica sta fallendo
ed è opportuno riflettere se è logico continuare legati a interessi stranieri
condannati storicamente o se è venuto il momento di rompere tutte le trappole al
commercio e ampliare i mercati nell’area socialista. Si mantengono ancora le
diverse forme di discriminazione che ostacolano il commercio e che permettono
l’uso più conveniente per gli imperialisti di una serie di merci primarie nei
confronti dei paesi produttori. E’ semplicemente ridicolo, nell’era atomica,
classificare come materiale strategico e impedire il commercio di alcuni
prodotti come il rame e altri minerali. Tuttavia, tale politica si è mantenuta e
si mantiene tuttora. Si parla anche di supposte incompatibilità tra il monopolio
statale di commercio estero e le forme di commercio adottate dai paesi
capitalisti, e per questo si stabiliscono relazioni discriminatorie, quote ecc.,
manovre nelle quali il GATT ha giocato un ruolo preponderante sotto l’apparenza
formale di lottare contro relazioni ingiuste. La discriminazione del commercio
statale serve non solo come arma contro i paesi socialisti, ma viene anche
utilizzata per impedire che i paesi sottosviluppati adottino una delle misure
più urgenti per realizzare il loro potere di negoziazione sul mercato
internazionale o controarrestante l’azione dei monopoli. La sospensione degli
aiuti economici da parte degli organismi internazionali a quei paesi che
adottano il sistema socialista di governo è un’altra variante dello stesso tema.
L’attacco del Fondo Monetario Internazionale agli accordi bilaterali di
pagamento con i paesi socialisti e l’imposizione ai suoi membri più deboli di
una politica contraria a questa forma di relazione tra i popoli, è stato il
nostro pane quotidiano negli ultimi anni. Come abbiamo già detto, l’imposizione
di tutte queste misure discriminatorie ha la doppia intenzione di bloccare il
campo socialista e rafforzare lo sfruttamento dei paesi sottosviluppati. Come è
certo che i prezzi attuali sono ingiusti, lo sono anche quelli che sono
condizionati dalla limitazione monopolista dei mercati e dallo stabilirsi di
relazioni politiche che fanno della libera concorrenza una parola con un
significato unilaterale, libera concorrenza per i monopoli, volpi libere contro
galline libere. Se si aprissero i vasti e crescenti mercati del campo
socialista, anche senza considerare gli accordi che possono derivare da questa
conferenza, questi contribuirebbero all’aumento dei prezzi delle materie prime.
Il mondo ha fame, ma non ha denaro per comprare il cibo e paradossalmente, nel
mondo sottosviluppato, nel mondo della fame, si scoraggiano possibili espansioni
della produzione di alimenti per mantenere stabili i prezzi, cioé per poter
mangiare. Èla legge inesorabile della filosofia del saccheggio che deve cessare
come norma di relazione tra i popoli. Esiste, inoltre, la possibilità che alcuni
paesi sottosviluppati esportino manufatti ai paesi capitalisti e, incluso, che
si facciano accordi a lungo termine per raggiungere il migliore sfruttamento
delle ricchezze naturali di alcuni popoli e la specializzazione in determinati
rami industriali che gli permettano di partecipare al commercio del mondo come
paesi produttori di manufatti. Tutto ciò si potrebbe completare mediante
l’assegnazione di crediti a lungo termine per lo sviluppo di industrie o rami
industriali di cui parlammo, ma bisogna sempre considerare che vi sono certe
misure nelle relazioni tra i paesi socialisti e i paesi sottosviluppati che non
possono essere prese unilateralmente. Accade uno strano paradosso: mentre le
Nazioni Unite prevedono nei loro bollettini tendenze deficitarie nel commercio
estero dei paesi sottosviluppati e il segretario generale della Conferenza, il
dottor Prebish, pone l’accento sui pericoli che racchiude il mantenimento di
questo stato di cose, si parla al contrario della possibilità, e, in alcuni
casi, come quello dei materiali chiamati strategici, delle necessità di
discriminare certi stati per la loro appartenenza al campo dei paesi socialisti.
Tutte queste anomalie possono verificarsi dal fatto certo che i paesi
sottosviluppati, nella tappa attuale dell’umanità, sono il campo di battaglia di
tendenze economiche che abbracciano diversi periodi della storia; in alcuni
esiste il feudalesimo; in altri le borghesie nascenti, ancora deboli, devono
affrontare la doppia pressione imperialista e del proletariato, che lotta per
una più equa distribuzione delle entrate. In questa congiuntura, alcune
borghesie nazionali hanno conservato la loro indipendenza o hanno incontrato una
certa forma di azione comune con il proletariato; ma altre hanno fatto causa
comune con l’imperialismo, si sono convertite in loro appendici, in loro agenti,
e hanno trasmesso questa qualità ai governi che le rappresentano. È bene
avvertire che questo tipo di dipendenza, usata con abilità, può mettere in
pericolo il raggiungimento di seri risultati nella conferenza, ma anche i
vantaggi che questi governi ottengano oggi come prezzo della mancanza di unione,
saranno pagati enormemente di più domani quando dovranno affrontare soli,
subendo anche l’ostilità dei loro stessi popoli, l’ondata imperialista che non
ha altra legge se non quella del massimo guadagno. Abbiamo fatto un’analisi
sommaria delle cause e delle conseguenze delle contraddizioni tra il campo
socialista e il campo imperialista e tra il campo dei paesi sfruttati e i paesi
sfruttatori. Vi sono due chiari pericoli per la pace nel mondo. Ma bisogna anche
segnalare che il crescente aumento produttivo di alcuni paesi capitalisti e la
loro inevitabile espansione verso la ricerca di nuovi mercati, ha condizionato
cambi nella correlazione di forze tra gli stessi e tensioni che devono essere
tenute in conto per la tutela della pace mondiale. Ricordatevi che i due ultimi
conflitti mondiali scoppiarono per gli scontri tra le potenze sviluppate che non
incontravano una soluzione diversa dell’uso della forza. E’ sotto gli occhi di
tutti una serie di fenomeni che dimostrano l’acutizzarsi crescente di questa
lotta. Ciò può portare pericoli reali per la pace nel mondo in un futuro, ma
risulta ache molto pericoloso per lo sviluppo armonico di questa conferenza: vi
è una chiara distribuzione delle sfere d’influenze tra gli Stati Uniti e altre
potenze capitaliste sviluppate che abbracciano i continenti in stato di
arretratezza e in alcuni casi perfino l’Europa. Se queste influenze hanno la
forza di poter convertire il campo dei paesi sfruttati nello scenario di
battaglie in cui i contendenti lottino a favore dei benefici delle potenze
imperialiste, la Conferenza naufragherà. Cuba ritiene, così come dichiara nella
relazione congiunta dei paesi sottosviluppati, che i problemi del commercio del
nostro paese sono ben conosciuti e che quello che si richiede è l’adozione di
principi chiari e un comportamento corretto che porti allo stabilirsi di una
nuova era nel mondo. Ritiene anche che la dichiarazione dei principi presentata
dall’URSS e da altri paesi socialisti, costituisce una base corretta per
iniziare il dialogo e l’appoggia pienamente. Egualmente, il nostro paese
appoggia quelle misure esposte nella riunione di esperti di Brasilia che si
traduce nell’applicazione dei principi che propugniamo e che di seguito
esponiamo. Cuba fa una premessa: non dobbiamo venire a implorare aiuti, dobbiamo
esigere giustizia, ma non la giustizia soggetta a fallaci interpretazioni che a
volte abbiamo visto trionfare nelle riunioni degli organismi internazionali; una
giustizia che, forse, i popoli non sanno definire in termini giuridici ma il cui
anelito sgorga dal fondo di spiriti oppressi da generazioni di sfruttamento.
Cuba afferma che deve sorgere da questa Conferenza una definizione del commercio
internazionale come strumento idoneo per il più rapido sviluppo economico dei
popoli sottosviluppati e discriminati e che questa definizione deve portare con
sé tutte le discriminazioni e differenze anche quelle che emanano dal supposto
trattamento egualitario. Il trattamento deve essere giusto, e giusto, in questo
caso, non equivale a uguale. L’equità è la disuguaglianza necessaria perché i
popoli sfruttati raggiungano un livello di vita accettabile. Dobbiamo definire
in questa sede le basi per la fondazione di una nuova divisione internazionale
del lavoro, mediante il pieno sfruttamento di tutte le risorse naturali di un
paese, elevando progressivamente il suo grado di elaborazione fino alle più
complicate forme della manifattura. Ugualmente, la nuova divisione del lavoro
dovrà essere raggiunta attraverso la restituzione dei mercati per i prodotti
tradizionali di esportazione dei paesi sottosviluppati che sono stati sottratti
loro per mezzo di misure artificiali di protezione e stimolo alla produzione dei
paesi sviluppati e con una giusta partecipazione ai futuri aumenti del consumo.
Questa Conferenza dovrà indicare forme concrete di regolamentazione sull’uso
delle eccedenze dei prodotti prioritari, impedendo che si trasformino in una
forma di sussidio all’esportazione dei paesi sviluppati a scapito delle
esportazioni tradizionali dei paesi sottosviluppati o in uno strumento di
penetrazione del capitale straniero in un paese sottosviluppato. Risulta
inconcepibile che i paesi sottosviluppati che soffrono le enormi perdite del
deterioramento dei termini dell’interscambio, che attraverso un salasso
permanentemente delle rimesse di utilità hanno ammortizzato enormemente il
valore degli investimenti delle potenze imperialiste, debbano affrontare il
carico crescente dell’indebitamento e dell’ammortamento, mentre si disconoscono
le loro più giuste domande. La delegazione di Cuba propone che, fino a quando i
prezzi dei prodotti che esportano i paesi sottosviluppati non abbiano un livello
che consenta loro di recuperare le perdite sofferte negli ultimi dieci anni, si
sospendano tutti i pagamenti sulla base di dividendi, interessi e ammortamenti.
Deve essere ben chiaro il pericolo che racchiudono per il commercio e la pace
del mondo gli investimenti di capitale straniero che dominano l’economia di
qualsiasi paese, il deterioramento dei termini dell’interscambio, il controllo
dei mercati da parte di un paese verso un altro, le relazioni discriminatorie, o
l’uso della forza come strumento di convincimento. Questa Conferenza deve
lasciare chiaramente stabilito il diritto di tutti i popoli a una assoluta
libertà di commercio e la proibizione a tutti i paesi firmatari dell’accordo,
che da quella scaturisca, di restringerlo in qualsiasi forma, direttamente o
indirettamente. Dovrà essere stabilito chiaramente il diritto di tutti i paesi
alla libera contrattazione del suo carico marittimo e aereo e al libero transito
nel mondo senza ostacoli di alcun tipo. Deve essere condannata l’applicazione
dello stimolo di misure di carattere economico utilizzate da uno stato per
forzare la libertà sovrana dell’altro e ottenere da questo vantaggi di qualsiasi
natura per il collasso della sua economia. Per quanto sopra esposto è necessario
il totale esercizio del principio di autodeterminazione affermato dalla Carta
delle Nazioni Unite e la riaffermazione del diritto degli stati all’utilizzo
delle proprie risorse, a dotarsi di una forma di organizzazione politica ed
economica più conveniente e scegliere le proprie strade di sviluppo e
specializzazione dell’attività economica, senza diventare per questi motivi
oggetto di rappresaglia di nessun tipo. La Conferenza deve adottare misure per
promuovere la creazione di organismi finanzieri, creditizi e impositivi, le cui
norme si basino sull’uguaglianza senza restrizioni, nella giustizia e
nell’uguaglianza e che sostituiscano gli attuali organismi obsoleti dal punto di
vista funzionale, e condannabili dal punto di vista del loro concreto obiettivo.
Al fine di garantire il totale utilizzo delle risorse di un popolo da parte
dello stesso popolo, è necessario condannare l’esistenza di basi straniere, la
permanenza, transitoria o meno, di truppe stranieri in un paese senza il suo
consenso, e il mantenimento del regime coloniale da parte di alcune potenze
capitaliste sviluppate. Per il raggiungimento di tali risultati, è necessario
che la Conferenza giunga ad un accordo, e predisponga saldamente le basi per la
costituzione di un’organizzazione internazionale di commercio, retta dal
principio di uguaglianza e universalità dei suoi membri, e che abbia la
sufficiente autorità per prendere decisioni che debbano essere rispettate da
tutti i paesi firmatari, cancellando la pratica di mantenere lontani da questi
paesi che hanno ottenuto il via libera dopo la creazione delle Nazioni Unite, e
il cui sistema sociale non piaccia a determinate potenti del mondo. Solamente la
costituzione di un organismo di questo tipo che soppianti gli attuali organismi
che servono da sostegno allo status quo e alla discriminazione, e non formule di
compromesso che servono semplicemente a farci incontrare periodicamente per
parlare di quello che già conosciamo fino alla noia, è quello che può garantire
il compimento di nuove norme nelle relazioni internazionali e il raggiungimento
della sicurezza economica che si persegue. Per questi risultati in tutti i punti
pertinenti devono essere esattamente stabiliti i tempi per la riuscita delle
misure stabilite. Questi sono, signori delegati, i punti più importanti che la
delegazione cubana voleva condividere con voi.. Dobbiamo segnalare che molte
delle idee che oggi vengono espresse da organismi internazionali, come la
precisa analisi della situazione attuale dei paesi in via di sviluppo,
presentata dal segretario generale della Conferenza, il signor Prebish, e per le
iniziative approvate da altri stati (commercio con i paesi socialisti,
ottenimento di crediti degli stessi, la necessità di riforme sociali prioritarie
per lo sviluppo economico ecc....) , furono esposte e messe in pratica da Cuba
durante i cinque anni del governo rivoluzionario. Ed ebbero come conseguenza di
trasformarla in una vittima di condanne ingiuste e di aggressioni economiche e
militari approvate da alcuni dei paesi che oggi la appoggiano. È sufficiente
ricordare le critiche e le condanne ricevute dal nostro paese per aver stabilito
relazioni di interscambio e collaborazione con paesi al di fuori del nostro
emisfero e ancora oggi in queste stesse ore l’esclusione di fatto dal gruppo
regionale latinoamericano che si riunisce sotto gli auspici della Carta di Alta
Gracia, cioè, della O.E.A., da cui Cuba è stata esclusa. Abbiamo trattato i
punti fondamentali sul commercio estero, la necessità di cambi nella politica
estera dei paesi sviluppati nei confronti di quelli sottosviluppati e la
necessità della ristrutturazione di tutti gli organismi internazionali di
credito, finanziamento e altri; è necessario ribadire che non sono ancora
condizioni sufficienti per garantire uno sviluppo economico, e che si richiedono
altre misure che Cuba, paese sottosviluppato, ha messo in pratica. Come minimo è
necessario stabilire il controllo del cambio, impedendo le rimesse di fondi
stranieri o limitandole in grado considerevole; il controllo del commercio
estero da parte dello stato, la riforma agraria; il recupero da parte della
nazione di tutte le risorse naturali; la promozione dell’insegnamento tecnico e
altre misure di riordinamento interno imprescindibile per iniziare il cammino di
uno sviluppo accelerato. Cuba non segnala tra le misure imprescindibili che lo
stato acquisisca in suo potere tutti i mezzi di produzione, per rispetto alla
volontà dei governi qui rappresentati; ma stima che tale misura contribuirebbe a
risolvere i gravi problemi che si dibattono, con maggiore efficacia e rapidità.
E gli imperialisti rimangono con le braccia incrociate? No. Il sistema da loro
praticato è la causa dei nostri mali; cercheranno di occultare le cause con
ingannevoli allegati, di cui sono maestri. Cercheranno di sottomettere la
Conferenza e disunire il campo dei paesi sfruttati offrendo briciole. Con tutti
i mezzi cercheranno di mantenere la vitalità dei vecchi organismi internazionali
asserviti anch’essi ai loro fini con l’offerta di riforme superficiali. Faranno
in modo che la Conferenza giunga a un punto senza uscita e che si sospenda o si
sposti. Cercheranno che perda d’importanza rispetto ad altri eventi da essi
convocati, o che si arrivi alla fine senza alcuna definizione concreta. Non
accetteranno un nuovo organismo internazionale di commercio, minacceranno di
boicottarlo e probabilmente lo faranno, cercheranno di dimostrare che l’attuale
divisione internazionale del lavoro è vantaggiosa per tutti, qualificando
l’industrializzazione come pericolosa e smisurata. E per ultimo aggiungeranno
che la colpa del sottosviluppo è dei paesi sottosviluppati. A ciò possiamo
rispondere che, in un certo senso, hanno ragione e che l’avranno sempre di più
se non saremo capaci di unirci lealmente e decisamente per presentare il fronte
unico dei discriminati e sfruttati. Le domante che vogliamo fare a questa
assemblea sono le seguenti: saremo capaci di realizzare il compito che la storia
ci ha assegnato? Avranno i paesi capitalisti sviluppati la perspicacia politica
per concedere le richieste minime? Se le misure qui indicate non possono essere
adottare da questa Conferenza e si registrerà ancora una volta un documento
ibrido, zeppo di discorsi vaghi, pieno di formule scappatoie; se non si
eliminano le barriere economiche e politiche che impediscono tanto il commercio
tra tutte le regioni del mondo come anche la collaborazione internazionale, i
paesi sottosviluppati continueranno ad avere di fronte a loro situazioni
economiche ogni volta più difficili e la tensione del mondo potrà aumentare
pericolosamente. In qualsiasi momento potrà sorgere la scintilla di un conflitto
mondiale provocato dall’ambizione di qualche paese imperialista di distruggere
il campo dei paesi socialisti, o per insanabile contraddizione, tra gli stessi
paesi capitalisti in un futuro non molto lontano. Ma, inoltre, crescerà ogni
giorno con maggiore forza il sentimento di ribellione dei popoli soggetti a
distinti livelli di sfruttamento e si solleveranno in armi per conquistare con
la forza i diritti che il semplice esercizio della ragione non gli ha permesso
di ottenere. Così succede oggi con i popoli della cosiddetta Guinea Portoghese e
di Angola, che lottano per liberarsi del giogo coloniale, e con il popolo di
Vietnam del Sud che, con le armi in mano, è pronto a scrollarsi di dosso lo
giogo dell’imperialismo e i suoi burattini. Sappiate che Cuba appoggia e
applaude questi popoli che hanno detto “basta!” allo sfruttamento dopo aver
esaurito tutte le possibilità di una soluzione pacifica, e che alla loro
magnifica dimostrazione di ribellione va la sua solidarietà militante. Espressi
i punti fondamentali sui quali si basa la nostra analisi della situazione
attuale, espresse le raccomandazioni che consideriamo pertinenti a questa
Conferenza e anche i nostri giudizi sul futuro, riguardo all’impossibilità di
ottenere qualche miglioramento nelle relazioni commerciali tra i paesi, per uno
strumento idoneo per alleviare la tensione e contribuire allo sviluppo, vogliamo
testimoniare che la nostra speranza è che si possa raggiungere il dialogo
costruttivo di cui parlavamo. E il nostro sforzo è indirizzato ad ottenere
questo dialogo per tutti. A spingere per l’unità di tutti i paesi
sottosviluppati del mondo per offrire un fronte compatto, qui vanno i nostri
sforzi. Nel successo di questa Conferenza sono riposte anche le nostre speranze
e le uniremo cordialmente a quelle dei poveri del mondo, e a quelle dei paesi
del campo socialista, mettendo tutte le nostre scarse forze al servizio del suo
trionfo.
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