Stimato compatriota: sono passati forse quasi quindici anni da
quando conobbi un figlio suo, che ormai deve avere vent’anni,, e sua moglie, in
quel luogo che mi sembra si chiami "Cabalando", a Carlos Paz, e dopo, quando
lessi il suo libro Uno y el universo, che mi affascinò, non pensavo che sarebbe
stato lei, che possedeva quello che per me era la cosa più sacra al mondo, il
titolo di scrittore, a chiedermi, col passare del tempo una definizione, un
impegno di rincontro, come lei lo definisce, in base ad un’autorità
accreditatami per alcun fatti e moti fenomeni soggettivi. Faccio questa premessa
solo per ricordarle che appartengo, malgrado tutto, alla terra dove sono nato e
che sono ancora capace di sentire profondamente tutta la sua allegria, la
mancanza di speranza e anche le sue delusioni. Sarebbe difficile spiegarle
perché “questo” non sia una “Rivoluzione Liberatrice”; dovrei forse dirle che
avevo visto le virgolette nelle parole che lei denuncia, fin dal momento in cui
apparvero e che identificai quella formula con quanto era accaduto in Guatemala
che avevo appena abbandonato, vinto e quasi disilluso. Come me, erano tutti
quelli che avevano preso parte a quell’incredibile avventura e che avevano
approfondito il loro spirito rivoluzionario a contatto con le masse contadine,
in una profonda interralazione, durante due anni di lotta crudele e di risultati
veramente grandi. Non potevamo noi essere per la “liberatrice” perché non
eravamo parte di un esercito plutocratico, ma eravamo un nuovo esercito
popolare, sollevatosi in armi per distruggere il vecchio; e non potevamo noi
essere per la “liberatrice” perché la nostra bandiera di combattimento non era
una vacca, ma un filo di ferro di recinzione latifondiaria, spezzato da un
trattore, come è oggi l’insegna del nostro INRA (Istituto Nazionale per la
Riforma Agraria). Non potevamo essere per la “liberatrice” perché le nostre
servette piansero di gioia il giorno in cui fuggì Batista e noi entrammo
all’Avana; e oggi si continuano a fornire i dati su tutte le manifestazioni e le
ingenue cospirazioni della gente del “Country Club" che è la stessa gente del
"Country Club" che lei ha conosciuto lì, e che a volte sono stati suoi compagni
di odio contro il peronismo. Qui la formula di sottomissione degli intellettuali
ha assunto un aspetto molto meno sottile che in Argentina. Qui gli intellettuali
erano schiavi sul serio, senza mascherature di indifferenza, come da voi, e
ancora meno mascherature di intelligenza; era una schiavitù elementare posta al
servizio di una causa obbrobriosa, senza complicazioni: mormoravano,
semplicemente. Ma tutto questo non è nient’altro che letteratura. Rinviare il
discorso, come lei ha fatto con me, a un libro sull’ideologia cubana, significa
rinviarlo di un anno; oggi le posso solo mostrare, come un tentativo di
teorizzazione di questa rivoluzione, forse il primo serio tentativo, ma
essenzialmente pratico, come sono tutte le azioni di noi empirici incalliti,
questo libro sulla Guerra di Guerriglia. E’ una quasi una dimostrazione puerile
del fatto che so mettere le parole una dietro l’altra; non ha la pretesa di
spiegare i grandi avvenimenti che la inquietano e forse non li potrebbe spiegare
nemmeno questo secondo libro che penso di pubblicare, se le circostanze
nazionali e internazionali non mi obbligano nuovamente ad imbracciare un fucile
(un compito che disdegno come uomo di governo ma che mi entusiasma come uomo
assettato di avventura). Anticipandole quanto potrà venire o non (il libro),
posso dirle, cercando di sintetizzare, che questa rivoluzione è la più genuina
creazione dell’improvvisazione. Nella Sierra Maestra, un dirigente comunista che
era venuto a farci visita, ammirato di tanta improvvisazione e di come si
inserissero tutte le attività, che funzionavano per conto proprio, in
un’organizzazione centrale, aveva detto che era il caos più perfettamente
organizzato dell’universo. E questa rivoluzione è così perché ha camminato più
rapidamente della propria precedente ideologia. In fin dei conti, Fidel Castro
era un aspirante a un partito borghese, tanto borghese e tanto rispettabile come
potrebbe essere il partito radicale in Argentina, che seguiva le orme di un
leader scomparso, Eduardo Chivás, con caratteristiche simile a quelle che
possiamo ritrovare nello stesso Irigoyen; e noi, che lo seguivamo, eravamo un
gruppo di uomini con poca preparazione politica, dotati solo di una buona dose
di volontà e un innato senso dell’onore. Così venivamo a gridare. “Nell’anno '56
saremo eroi o martiri”. Poco prima avevamo gridato, o meglio, aveva gridato
Fidel: "Vergogna contro denaro”. Sintetizzavamo in frasi semplici il nostro
atteggiamento, anch’esso semplice. La guerra ci rivoluzionò. Non c’è esperienza
più profonda per un rivoluzionario dell’atto della guerra; non il gesto isolato
di uccidere, o di imbracciare il fucile o di condurre una lotta di questo o quel
tipo; è invece la globalità del fatto di guerra, sapere che un uomo armato vale
come unità combattente, e vale come qualsiasi uomo armato, e può non temere
altri uomini armati. Andare a spiegare, noi dirigenti, ai contadini indifesi
come potevano prendere un fucile e dimostrare a quei soldati che un contadino
armato valeva tanto come il migliore di loro; e imparare anche come la forza di
uno solo non vale niente se non è circondata dalla forza di tutti; allo stesso
tempo imparare come le parole d’ordine rivoluzionarie devono rispondere alle
aspirazioni più sentite dal popolo, e imparare a conoscere del popolo le sue
aspirazioni più profonde, e convertili in bandiere di agitazione politica. E’
questo che abbiamo fatto tutti noi e abbiamo compreso che l’ansia del contadino
per la terra era il più forte stimolo alla lotta che si poteva trovare a Cuba.
Fidel comprese molte altre cose; si sviluppò nello straordinario dirigente di
uomini e donne, quale è oggi, e nelle gigantesca forza agglutinante del nostro
popolo. Perché Fidel, al di sopra di tutto, è l’elemento agglutinante per
eccellenza, il dirigente indiscusso che sopprime tutte le divergenze e le
distrugge con la propria disapprovazione. Utilizzato molte volte, sfidato altre,
per denaro o ambizione, è sempre temuto dai suoi avversari. Così è nata questa
rivoluzione. così si sono create le sue parole d’ordine e così, poco a poco, si
è cominciato a teorizzare sui fatti per creare un’ideologia che veniva alla coda
degli avvenimenti. Quando lanciammo la nostra Legge di Riforma Agraria nella
Sierra Maestra, era già da tempo che si erano fatte delle ripartizioni della
terra nella stessa zona. Dopo aver compreso nella pratica una serie di fattori,
abbiamo reso nota la nostra prima timida legge, che non metteva in discussione
il punto fondamentale, come la soppressione del latifondo. Non sembravamo troppo
cattivi per la stampa continentale per due motivi: la prima, perché Fidel era
uno straordinario politico che non hai mai mostrato le sue intenzioni oltre un
certo limite e ha saputo conquistarsi l’ammirazione di giornalisti di grandi
giornali che simpatizzavano con lui e utilizzavano la strada facile della
cronaca di tipo sensazionale; l’altra, semplicemente perché gli statunitensi che
sono i grandi ideatori di test e di livelle per misurarlo tutto, applicarono una
delle loro livelle, tirarono fuori le loro conclusioni e le incasellarono.
Secondo le loro tabelle di riferimento, dove si diceva: "Nazionalizzeremo i
servizi pubblici”, si doveva intendere:“Eviteremo che questo succeda se
riceviamo un ragionevole appoggio”; dove si diceva ”liquideremo il latifondo”,
si doveva intendere: ”Utilizzeremo il latifondo come una buona base per
raccogliere soldi per la nostra campagna politica o per la nostra tasca
personale”, e cosi via. Non gli passò mai per la testa che quello che Fidel
Castro e il nostro Movimento dicevamo, in modo tanto ingenuo e drastico, fosse
esattamente quello che pensavamo di fare; abbiamo predisposto per loro la più
grande truffa di questo mezzo secolo, dicevamo la verità mentre davamo
l’impressione di tergiversarla. Eisenhower dice che abbiamo tradito i nostri
principi, ed in parte è vero, secondo il suo punto di vista; abbiamo tradito
l’immagine che loro si erano fatta di noi, come nel racconto del pastorello
bugiardo, ma al contrario, e neanche noi siamo stati creduti. Così ora stiamo
usando un linguaggio che è anch’esso nuovo, perché continuiamo a camminare molto
più rapidamente di quanto non riusciamo a pensare e a strutturare il nostro
pensiero; siamo in continuo movimento e la teoria avanza molto lentamente, tanto
lentamente, che dopo aver scritto nei pochi stralci di tempo questo manuale che
le mando, mi sono reso conto che per Cuba quasi non serve; per il nostro paese,
invece, può servire, solo che bisogna usarlo con intelligenza, senza fretta e
travisamenti; quando sarà stato pubblicato, tutti penseranno che è un’opera
scritta molti anni fa. Mentre si vanno acutizzando le situazioni esterne e la
tensione internazionale aumenta, la nostra rivoluzione, per necessità di
sopravvivenza, deve acutizzarsi, e ogni volta che si acutizza la rivoluzione,
aumenta la tensione e questa si deve acutizzare ulteriormente, come un circolo
vizioso che sembra doversi restringere ogni volta di più fino a rompersi;
vedremo allora come uscire dal pantano. Quello che posso assicurarle però è che
questo popolo è forte, perché ha lottato e ha vinto e conosce il valore della
vittoria; conosce il valore dei colpi e delle bombe e anche il sapore
dell’oppressione, Saprà lottare con una fermezza esemplare. Allo stesso tempo le
assicuro che per quel giorno, anche se io sto facendo dei timidi tentativi in
tal senso, avremo teorizzato molto poco e dovremo risolvere i problemi con
l’agilità di cui ci ha dotati la vita di guerriglia. So che quel giorno la sua
arma di intellettuale onesto sparerà in direzione del nemico, e che possiamo
averla là, presente e in lotta al nostro fianco. Questa lettera è stata più
lunga e non è priva di quella piccola quantità di posa che alla gente semplice
come noi impone senza dubbio, il fatto di voler dimostrare davanti a un
pensatore che siamo anche quello che non siamo: pensatori. Ad ogni modo sono a
sua disposizione. Cordialmente, Ernesto Che Guevara
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