Compagni, avevamo deciso, con i responsabili dell'organizzazione in questa provincia e di tutto il partito, di presenziare a questa assemblea, data l'importanza che riveste per la produzione del paese la fabbrica tessile Ariguanabo, che in questo momento è l'unità che occupa più lavoratori, vale a dire è il nostro più grande centro industriale. Inoltre ha un ruolo determinante all'interno di uno dei settori industriali più importanti per il benessere del nostro popolo, perché ne garantisce il vestiario, una delle cose fondamentali che la nostra rivoluzione deve dare al popolo, quali che siano le condizioni, qualunque siano le difficoltà nelle quali ci venissimo a trovare. Siamo qui anche per analizzare questo nuovo processo, che vede mutati una serie di concetti sull'organizzazione del partito e un ritorno alle masse. Come avete potuto constatare, meglio ancora, come voi avete riportato, i membri del PURSC (Partito Unito della Rivoluzione Socialista di Cuba) eletti da questo centro di lavoro, sono uomini che possono contare sull'appoggio unanime dei loro compagni. Le cellule che si stanno formando in questo momento, le organizzazioni del partito, hanno da ora in poi tutto il sostegno necessario, e abbandonano il lavoro quasi sotterraneo, quasi cospirativo, che per un periodo abbastanza lungo ha caratterizzato il nostro partito. Da quella penombra in cui si viveva, da quelle cellule clandestine elette in modo meccanico senza un'analisi sufficiente della qualità dei compagni, si passa a una nuova struttura, nella quale sono le masse che decidono a un primo livello quali devono essere gli operai esemplari proposti come membri del partito. Di qui l'enorme differenza rispetto a prima. Di qui anche l'enorme forza che deve acquistare il partito dirigente, in rapporto alle modifiche apportate nella struttura e nell'organizzazione, nello schema generale della concezione del partito, esso deve porsi con fermezza alla testa dello stato proletario, e guidare con la sua azione, con il suo esempio, con il suo sacrificio, con la profondità del suo pensiero e l'audacia delle sue azioni ogni momento della nostra rivoluzione. Nonostante questo è ben lontano dall'essere perfetto, anzi, sono molte le cose da correggere. Senza andare tanto lontano, facevamo prima una piccola statistica: 197 compagni sono stati riconosciuti in possesso di tutte le qualità necessarie per far parte del PURSC in questo centro di lavoro, in cui ci sono più di tremila operai. Qual è la cifra esatta? (risponde il pubblico...) D'accordo, quattromila: ai fini statistici è lo stesso. Tra questi sono stati eletti 197 compagni, ma tra questi 197 compagni ci sono solo cinque donne. Senza dubbio la percentuale di donne che lavorano qui ad Ariguanabo è molto superiore a quel 2% che risulta dalla statistica. Questo indica che c'è una carenza nell'inserimento della donna, a parità di diritti e a parità di condizioni, nel lavoro attivo della costruzione del socialismo. E sarebbe una buona cosa che tutti ci mettessimo ad analizzare il perché. A prima vista due sono le cause che emergono più chiare e determinanti. Una di queste è che effettivamente la donna non si è ancora liberata da una serie di legami che la vincolano alla tradizione di un passato che è morto. E per questa ragione essa non riesce a vivere la vita attiva del lavoratore rivoluzionario. L'altra causa può essere il fatto che la massa dei lavoratori, il cosiddetto sesso forte, ritiene che le donne non abbiano ancora sufficiente coscienza, e quindi fa valere la maggioranza di cui dispone; in posti come questo si notano di più gli uomini, il loro lavoro è più evidente, e per questa realtà oggettiva si finisce con lo scordare che sul ruolo della donna si stanno dando giudizi soggettivi. Proprio pochi mesi fa abbiamo dovuto sostituire una funzionaria del ministero dell'Industria, una funzionaria capace. Perché? Perché il suo lavoro la obbligava a viaggiare per le province, spesso con degli ispettori o con il direttore generale. E questa compagna, che era sposata - credo con un membro dell'Esercito Ribelle - per imposizione del marito non poteva viaggiare da sola, e doveva subordinare tutti i suoi viaggi al fatto che il marito lasciasse il proprio lavoro e l'accompagnasse ovunque lei dovesse andare. Questa è un'ottusa manifestazione di discriminazione della donna. Forse che la moglie deve accompagnare il marito ogni volta che questi deve fare un viaggio per le province o in qualsiasi altro luogo, per vigilarlo, perché non cada in tentazione, o qualcosa del genere? Che cosa significa questo? Semplicemente che il passato continua a pesare su di noi, che l'emancipazione della donna deve consistere nella conquista della sua libertà totale, della sua libertà interiore, poiché non si tratta tanto di costrizioni fisiche imposte alle donne perché rinuncino a determinate attività: è anche il peso di una tradizione anteriore. Nella nuova fase in cui viviamo, nella fase della costruzione del socialismo, si spazzano via tutte le discriminazioni e rimane solamente, come unica e caratterizzante dittatura, la dittatura della classe operaia, come classe organizzata sulle altre classi che sono state sconfitte. Si prepara un lungo cammino che sarà ancora costellato di lotte e di delusioni, il cammino verso la società perfetta, la società senza classi, la società in cui spariranno tutte le differenze, in questo momento non si può permettere un diverso tipo di dittatura se non la dittatura del proletariato come classe. E il proletariato non ha sesso: è l'insieme di tutti gli uomini e tutte le donne che in ogni posto di lavoro del paese lottano coerentemente per raggiungere un fine comune. Questo è un esempio di tutto quello che c'è da fare, però, naturalmente, è solo un esempio e non esaurisce tutti i casi. Sono molte le cose che rimangono da fare, più precisamente, senza stare a rifarci alle tradizioni del periodo anteriore al trionfo della rivoluzione, permangono una serie di tradizioni del passato postrivoluzionario, vale a dire del passato che appartiene alla nostra storia prerivoluzionaria. Per esempio, la tradizione per cui certi membri del partito, dei sindacati, delle diverse organizzazioni di massa, dirigono, orientano, danno giudizi, ma molto spesso non lavorano. E ciò è un elemento del tutto negativo. Chi aspira a diventare dirigente deve essere in grado di affrontare, o meglio di sottoporsi al giudizio delle masse, e avere la certezza di essere stato eletto dirigente, o proposto per l'elezione, perché è il migliore tra i buoni, per il suo lavoro, il suo spirito di sacrificio, il suo costante atteggiamento di avanguardia in tutte le lotte che il proletariato deve condurre quotidianamente per la costruzione del socialismo. Quanto dicevamo pesa ancora su di noi. Le nostre organizzazioni non sono ancora totalmente esenti da quel peccato, che si inserì nella rivoluzione fra le nostre giovani tradizioni con conseguenze deleterie. Bisogna anche bandire completamente la convinzione che l'elezione a membro di una organizzazione di massa o del partito dirigente della rivoluzione - a qualsiasi livello di dirigenza - consenta a questi compagni una qualche opportunità di ottenere qualcosa in più rispetto al resto del popolo. Mi riferisco alla politica di premiare il buono con beni materiali, di premiare con beni materiali chi ha dimostrato di possedere maggiore coscienza e maggiore spirito di sacrificio. Ci sono due elementi che vanno a scontrarsi costantemente e a integrarsi dialetticamente nel processo di costruzione del socialismo. È vero infatti che gli incentivi materiali sono necessari, perché usciamo da una società che non pensava ad altro che agli incentivi materiali e costruiamo una società nuova sulla base di quella vecchia società, con tutta una serie di residui nella coscienza della gente, e perché non abbiamo ancora quanto è sufficiente per dare a ciascuno secondo i suoi bisogni. Per queste ragioni l'interesse materiale sarà ancora presente per un certo periodo nel processo di costruzione del socialismo. Però è compito del partito d'avanguardia tenere alta la bandiera opposta, quella dell'interesse morale, quella dell'incentivo morale, quella degli uomini che lottano e si sacrificano senza desiderare altro che l'approvazione dei loro compagni, senza desiderare altro che il riconoscimento che voi avete dato oggi ai compagni eleggendoli membri del PURSC. L'incentivo materiale è una remora del passato, è qualcosa con cui dobbiamo fare i conti, ma bisogna togliergli il carattere di incentivo prevalente nella coscienza della gente, man mano che il processo avanza. Il primo è in netta ascesa, il secondo deve scomparire progressivamente. L'incentivo materiale non avrà posto nella società nuova che stiamo creando, si estinguerà lungo il cammino e bisogna preparare le condizioni perché questo tipo di mobilitazione che oggi è reale, vada sempre più perdendo la sua importanza e sia sostituito con l'incentivo morale, il senso del dovere, la nuova coscienza rivoluzionaria. Compagni, oggi abbiamo fatto il primo passo, si può dire che in questo centro di lavoro esiste ormai ufficialmente il PURSC composto almeno per ora da 197 compagni. Quali sono le qualità che si sono cercate in essi? Voi sapete quali sono, perché voi stessi li avete eletti. Voi conoscete lo spirito di sacrificio, il cameratismo, l'amore per la patria, la volontà di essere avanguardia in ogni momento della lotta, la volontà di essere guida attraverso l'esempio (guida modesta, di guida senza stridori) che devono caratterizzare un membro del partito. Ma un membro del nuovo partito deve anche essere un uomo che sente interiormente, con tutto se stesso, le nuove verità: ma deve sentirle con naturalezza, di modo che quanto per la gente comune rappresenta un sacrificio, per lui è semplicemente azione quotidiana, quello che si deve fare e che è naturale fare. Voglio dire che si deve mutare completamente atteggiamento di fronte a determinati obblighi dell'uomo nella sua vita quotidiana, e a determinati obblighi di un rivoluzionario in un processo di sviluppo come il nostro, che sta affrontando l'accerchiamento imperialista. Pochi giorni fa, in una delle tante riunioni che purtroppo teniamo e che non siamo ancora riusciti a bandire, un compagno raccontò l'ultima barzelletta - o almeno l'ultima che è arrivata alle mie orecchie - che si riferisce alla costituzione del partito. Si tratta di un uomo che sta per entrare nel partito e i membri delle sezione gli elencano i suoi doveri: dovrà lavorare delle ore extra, guidare con l'esempio, utilizzare le ore del giorno per migliorare la sua preparazione culturale, andare tutte le domeniche al lavoro volontario, lavorare volontariamente tutti i giorni, scordarsi tutto ciò che è vanità, limitarsi a lavorare tutto il tempo e a essere attivo in tutti gli organismi di massa esistenti. Alla fine gli dicono: «Inoltre, come membro del partito, devi essere sempre pronto a dare la tua vita per la rivoluzione: sei disposto?» Allora l'uomo risponde: «Certo, se devo fare la vita che dite voi, che me ne faccio? Sarò lieto di darla». Perché queste cose? È la vecchia concezione quella espressa in questa barzelletta non se controrivoluzionaria o rivoluzionaria, certo è che ha un profondo contenuto controrivoluzionario. Per quale ragione? Proprio perché un lavoratore d'avanguardia, un quadro del partito dirigente della rivoluzione, tutti questi lavori che vengono considerati un sacrificio li sente con un interesse nuovo, come una parte del proprio dovere, però non come un dovere che gli viene imposto ma un suo dovere interiore, e lo compie con passione. E le cose più banali e più noiose, sotto la spinta dell'interesse, dello sforzo interiore dell'individuo e dell'approfondirsi della propria coscienza, si trasformano in cose importanti e sostanziali, in qualcosa che non si può tralasciare di fare senza sentirsi insoddisfatti: è questo ciò che chiamano sacrificio. Ma allora per un rivoluzionario il non sacrificarsi diventa il vero sacrificio; ciò vuoi dire che certi concetti e certe categorie mentali cominciano già a modificarsi. Il vero rivoluzionario, il membro del partito dirigente della rivoluzione, dovrà lavorare tutte le ore, tutti i minuti della sua vita, in questi anni di dura lotta che ci aspettano, con un interesse sempre rinnovato, sempre crescente e sempre vivo: questa è una qualità fondamentale. Ciò significa sentire la rivoluzione, ciò significa che l'uomo è rivoluzionario dentro di sé, che sente da rivoluzionario. E allora il concetto di sacrificio acquista un nuovo significato. Il militante del PURSC è un marxista, deve conoscere il marxismo e deve applicare conseguentemente, nella sua analisi, il materialismo dialettico per poter interpretare correttamente il mondo. Ma il mondo è grande; in esso ci sono strutture sociali molto differenti, si sono avvicendate varie civiltà, e addirittura in alcune regioni di questo mondo ci sono strati della società o popoli che vivono nelle condizioni più primitive che si conoscano: la società del comunismo tribale. Ed esiste, purtroppo, anche lo schiavismo, e in America, per esempio, accanto a molti residui di feudalesimo c'è il capitalismo e la sua ultima fase: l'imperialismo. Inoltre ci sono popoli che iniziano la costruzione del socialismo, e quelli - come l'Unione Sovietica - che si accingono a realizzare il comunismo. Ma anche quando certi paesi hanno lo stesso sistema sociale, siano a regime capitalista o invece impegnati nella costruzione del socialismo o di qualcos'altro, essi sono approdati alla loro fase storica percorrendo strade diverse e nelle condizioni peculiari di ciascuno. Per queste ragioni il marxismo è solamente una guida per l'azione. Si sono scoperte le grandi verità fondamentali, e partendo da esse, utilizzando il materialismo dialettico come arma, si va interpretando la realtà in ciascuna regione del mondo. Perciò nessuna costruzione sarà uguale, ognuna avrà caratteristiche peculiari inerenti alla propria formazione. E anche le caratteristiche della nostra rivoluzione sono peculiari. Queste caratteristiche non possono prescindere dalle grandi verità, non possono ignorare le verità assolute enunciate dal marxismo, verità non inventate, non date come dogmi, ma scoperte con l'analisi dello sviluppo della società. Però si presenteranno condizioni particolari, per cui i membri del PURSC dovranno essere creativi, dovranno conoscere la teoria e creare una prassi in accordo con la teoria e con le condizioni proprie del paese in cui ci è dato di vivere e lottare. Voglio dire che il compito della costruzione del socialismo a Cuba deve essere affrontato rifuggendo dal meccanicismo come dalla peste; il meccanicismo produce solo forme stereotipate, cellule clandestine, favoritismi, e tutta una serie di mali nell'organizzazione rivoluzionaria. Bisogna agire dialetticamente, fare affidamento sulle masse, esser sempre a contatto con esse, dirigerle attraverso l'esempio, utilizzare l'ideologia marxista, utilizzare il materialismo dialettico ed essere creativi in ogni momento. Detto ciò, quali sono i compiti più importanti dei membri del PURSC? Ve ne sono due fondamentali, due che si ripetono costantemente e che costituiscono le fondamenta di tutto lo sviluppo della società: la produzione dei beni per il popolo, e l'approfondimento delle coscienze. È superfluo starvi a spiegare perché è tanto importante la produzione, perché la produzione deve rappresentare sempre una delle maggiori preoccupazioni di un membro del partito. Se il socialismo non è una società di beneficenza, non è neppure un regime utopistico, fondato sulla bontà dell'uomo in quanto tale. Il socialismo è un regime al quali si arriva storicamente, e che si fonda sulla socializzazione dei mezzi di produzione, e sulla equa ripartizione di tutte le ricchezze della società, in una realtà in cui ci sia produzione socializzata. Vale a dire ciò che il capitalismo ha realizzato: le grandi fabbriche, le grandi aziende agricole, luoghi in cui il lavoro, il lavoro dell'uomo, veniva svolto in comunità, in società, ma il frutto del lavoro collettivo veniva raccolto individualmente dai capitalisti, dalla classe sfruttatrice, dai proprietari, secondo il diritto dei beni di produzione. Ora le cose sono cambiare, ma il dato fondamentale continua ad essere lo stesso: quello di una classe sociale, una struttura sociale, che arriva al potere e si basa necessariamente su quella anteriore. Il processo di costruzione del socialismo è il processo di sviluppo di tutta la nostra produzione. E perché la coscienza? Bene, la coscienza, al limite, è ancora più importante, ed è tanto importante per le caratteristiche nuove prodotte dai processi di sviluppo delle società di questo secolo. Quando Marx sviluppò la sua analisi dell'evoluzione della società, si conosceva ed esisteva una società primitiva e una società feudale, prima ancora una società schiavista, e si conosceva già la società capitalista. Marx analizzò il perché di ognuna, dimostrò che tutto dipendeva dalla produzione, che la coscienza dell'uomo era determinata dal contesto sociale in cui viveva, e questo contesto era dato dai rapporti di produzione. Però approfondendo l'analisi, Marx fece qualcosa di ancora più importante: dimostrò che storicamente il capitalismo doveva sparire e lasciare il campo a una nuova società, la società socialista. Più tardi Lenin, portando avanti l'analisi, arrivò a queste conclusioni: il passaggio da una società all'altra non è un passaggio meccanico, e le condizioni per questo passaggio possono essere accelerate al massimo attraverso alcuni catalizzatori, li potremmo chiamare così - non è una definizione di Lenin, ma mia però è sua l'idea centrale -. Vale a dire che se c'è una avanguardia del proletariato capace di fare proprie le fondamentali rivendicazioni di questo, e di avere chiara la direzione in cui muoversi per prendere il potere, per instaurare la nuova società, si può allora avanzare bruciando le tappe. Inoltre, la società socialista si può affermare anche in un solo paese, anche nelle condizioni del più accanito accerchiamento imperialista, come quello che ha dovuto affrontare I 'Unione Sovietica. E proprio per questi motivi si capisce perché la coscienza abbia un'enorme importanza. Noi stessi abbiamo verificato che lo sviluppo storico della società, in determinate condizioni, può essere accelerato e che il partito d'avanguardia è una delle armi fondamentali per accelerarlo. E sull'esempio che l'Unione Sovietica ci ha dato già quarantacinque anni fa, a Cuba abbiamo fatto lo stesso. Sotto la spinta del movimento d'avanguardia abbiamo potuto accelerare i tempi a bruciare tappe e definire il carattere socialista della nostra rivoluzione a due anni dal suo trionfo e perfino sancirlo istituzionalmente, quando di fatto, nella prassi, essa aveva già carattere socialista, perché ci eravamo impadroniti dei mezzi di produzione, perché stavamo andando verso il possesso totale di questi mezzi, perché stavamo eliminando progressivamente lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, e impostavamo la pianificazione di tutto il processo produttivo per distribuire correttamente ed equamente i prodotti tra tutti. Però questo processo di accelerazione sta lasciando molta gente per strada; voglio dire che la vecchia società e i princìpi su cui si basava pesano costantemente sulla coscienza degli uomini. Ed è per questo che si ripropone il problema dell'approfondimento della coscienza socialista. Nelle condizioni attuali del nostro paese e in quelle di molti altri paesi che hanno seguito esperienze analoghe, non si arriva al socialismo per l'esplosione delle strutture anteriori. Ossia, non si arriva al socialismo attraverso un cambiamento meccanico, perché si sono verificate tante condizioni oggettive per cui il passaggio al socialismo è ormai solo una questione formare. A Cuba no, a Cuba è stata l'avanguardia che ha dato coscienza e ha guidato il popolo, è stata la tenace opera di Fidel che ha diretto il nostro popolo, additandogli in ogni momento i compiti prioritari, dando una lezione di dignità, di spirito di sacrificio, di coraggio, che noi tutti abbiamo dovuto dare al mondo intero in questi quattro anni di rivoluzione. E così il popolo, a volte per un impulso emotivo, ha cominciato a partecipare al processo di costruzione del socialismo; però ci sono sempre quelli che sono rimasti indietro, e la nostra funzione non è quella di liquidare questi ritardatari, di schiacciarli e di obbligarli a seguire supinamente un'avanguardia armata, ma è quella di educarli, di portarli avanti, di far sì che ci seguano in virtù del nostro esempio, ciò che Fidel ha definito la coercizione morale. Chi non ha voglia di fare e non sente la necessità di fare, sarà trascinato dall'esempio dei suoi compagni migliori, che lavorano giorno per giorno con entusiasmo, con fervore, con allegria. L'esempio, il buon esempio come il cattivo esempio, è molto contagioso, e noi dobbiamo contagiare con i buoni esempi, lavorare nella coscienza della gente, dimostrare che cosa siamo capaci di fare, dimostrare che cosa può un rivoluzionario quando è al potere, quando è sicuro del suo obiettivo finale, quando ha fede nella giustezza dei suoi scopi e della linea che ha seguito, e quando è disposto, come lo è stato tutto il popolo cubano, a non cedere di un solo passo su ciò che era il nostro sacrosanto diritto. Dobbiamo amalgamare tutto ciò, spiegarlo e renderne intimamente convinto ognuno di quelli che non lo hanno capito, e anche quelli che ancora non lo sentono come una realtà interiore. Poco a poco dobbiamo riuscire a trasformarlo anche per questi in una necessità. Sarà un processo lungo e molto duro, però è proprio su questo che dobbiamo battere. Noi siamo accerchiati quasi come lo era l'Unione Sovietica in quegli anni terribili e meravigliosi della storia dell'umanità. Però l'Unione Sovietica esiste, esiste il campo dei paesi socialisti, un blocco immenso di forze che va sempre più coagulando nuove forze e nuovi popoli attorno all'idea del socialismo. In America noi siamo isolati; da una parte ci sono le manovre dell'OSA (in spagnolo: OEA, Organizzazione degli Stati Americani - ndt.), dall'altra si danno da fare gli Stati Uniti, preparano provocazioni in Guatemala, preparano provocazioni in ogni paese d'America; aerei cubani cadono in modo sospetto in territori il cui governo è nostro nemico, e saltano fuori lettere e rapporti informativi. E tutto fa parte dello stesso volto della grande cospirazione dell'imperialismo contro il popolo cubano. Per quale ragione? Perché, anche se il nostro regime ha dei difetti - e questo lo sappiamo - lungo il cammino percorso ci sono grandi vittorie ricche di insegnamenti per l'America, tanto che l'imperialismo ci teme, e forse teme più noi che altre importanti potenze mondiali. Le fondamenta dell'imperialismo sono in America, l'imperialismo statunitense, che è il più forte, è in America. L'America parla spagnolo, l'America capisce noi, l'America ci ammira e vede in noi l'immagine di quale può essere il futuro di tutti i suoi popoli, e si prepara a questa vittoria. Se ci sono guerriglie in America - e noi ne siamo a conoscenza e ne è a conoscenza il Pentagono - esse non sono affatto nostre creazioni, non possiamo farlo, non abbiamo forze disponibili, ma le salutiamo con autentica gioia. Partecipiamo con entusiasmo alle vittorie dei venezuelani, alla radicalizzazione della loro rivoluzione; ci riempiamo di entusiasmo quando veniamo a sapere che in Guatemala, in Colombia, in Perù, si sono accesi focolai rivoluzionari; ci rallegriamo quando le impalcature del potere imperialista cominciano a riportare crepe, ancora piccole, ma sistematiche, in ciascuno di questi punti. E questo, compagni, è molto ben visibile in America. È qualcosa che parla loro in spagnolo, nella loro lingua, e che spiega in termini chiari ciò che si deve fare per raggiungere la felicità, si chiama rivoluzione cubana. Per questo hanno veramente paura di noi. Non è una nostra stonatura, non è orgoglio infondato, né sono false pretese di un piccolo paese: è analisi obiettiva dei fatti. Tutti noi siamo responsabili del fatto che gli imperialisti ci temono e ci odiano. Questo deve essere il nostro motivo d'orgoglio: la paura e l'odio che hanno verso di noi! Deve essere un motivo d'orgoglio per noi che il signor Kennedy senta questa rivoluzione cubana come un terribile bubbone che non lo lascia dormire; o che tutti i fantocci d'America abbiano davanti agli occhi, come un'immagine del loro futuro, ciò che è accaduto ai fantocci di Cuba. Che capiscano la portata e il rigore della giustizia popolare quando conquista il potere libera da ostacoli. Questa è la nostra opera irreversibile e la nostra e la grande responsabilità di fronte all'America intera, e anche di fronte a tutto il mondo. Alla fine dell'anno scorso abbiamo dato una lezione di dignità che i nordamericani non avrebbero mai immaginato possibile, e con le nostre azioni continuiamo a darla. Questo è ciò che conta in termini che superano il nostro piccolo ambito e questo è anche il nostro più grande motivo d'orgoglio: il fatto che un cubano in qualsiasi angolo del mondo sia rispettato, ammirato, amato, e a volte sia temuto e odiato per ciò che rappresenta la rivoluzione, per come è stata condotta a fondo, per le conquiste che ha ottenuto. Voglio dire, compagni, che dobbiamo impegnarci a moltiplicare i nostri successi e a diminuire i nostri errori, ad approfondire la coscienza della masse e ad alimentare la produzione, a fare di più con le nostre forze, abituandoci al principio che anche nella produzione possiamo camminare da soli, come abbiamo già fatto in molti momenti difficili. L'aiuto dei paesi amici - un aiuto generoso e fraterno che ci è stato dato molte volte - deve servire a consolidarci e a rendere più sicura la rivoluzione, ma le nostre forze non devono fondarsi su un altro paese per quanto possa essere amico e disinteressato, perché non c'è vera forza se non nasce dalla coscienza della propria forza. Quando un popolo prende coscienza della propria forza, allora sì che la sua decisione di lotta, la decisione di continuare ad avanzare, è forte, allora può affrontare e tenere testa a qualsiasi nemico. L'abbiamo fatto, e in linea di massima possiamo essere orgogliosi dei risultati. Però, come voi avete analizzato e criticato l'operato dei vostri compagni, così anche noi dobbiamo analizzare con la massima severità e obiettività il nostro lavoro, ripeto: con la massima severità e obiettività, e criticarlo quando risulta povero, quando non risolve i problemi fondamentali, quando cade nel conformismo, nel meccanicismo, ogni volta che cessa di essere creativo e vivo. Questo è quanto si pretende da voi membri del Partito Unito della Rivoluzione e anche da voi che non appartenete ancora al partito. Noi pretendiamo che il popolo cubano marci tutto allo stesso passo, che la sua avanguardia lotti e cammini molto velocemente tra le difficoltà perché possa avanzare il reparto più forte, cioè tutto il popolo. Questo è l'obiettivo. I compagni del partito hanno dunque l'obbligo di essere l'avanguardia. Ricordate quello che vi ha detto Fidel: «... lì ci saranno i migliori, i Camilo, gli uomini fidati, gli uomini pronti al sacrificio e dallo spirito forte ...» Però tutto il popolo deve diventare come quei guerriglieri che incominciarono disorganizzanti, che avevano paura degli aerei, dei carri armati, dei soldati nemici, e finirono con l'avanzare in tutta Cuba distruggendo un esercito molto più potente che possedeva tutti i mezzi di distruzione, ma non aveva forza morale. E alla fine conquistammo la vittoria perché, anche se l'avanguardia poteva essere coraggiosa e decisa, un poco di più, era però l'intero Esercito Ribelle la vera forza del popolo. E ogni volta che cresceva la sua forza, il suo coraggio e la sua decisione nella lotta, il nemico cedeva, doveva abbandonare posizioni, andava perdendo la fiducia, andava disgregandosi fino a dissolversi totalmente. Questo è il nostro compito, può essere molto difficile o molto semplice, tutto dipende da come lo affronteremo, tutto dipende da come ci comporteremo di fronte alla realtà rivoluzionaria e da quello che saremo capaci di fare, liberi il più possibile dalle tare della società che è morta.