SUL  COMPENDIUM  MUSICAE  DI CARTESIO

 

di  Roberto  Taioli

 

 

             

                         LA GENESI STORICA DEL COMPENDIUM

 

       Il trattatello sulla musica è la prima opera compiuta che il giovane Cartesio ha    redatto, in testimonianza della viva  amicizia che in quel momento lo  legava al  più maturo amico, lo scienziato olandese Isaac Beckman. Infatti Cartesio dopo aver studiato giurisprudenza a Poitiers, si trasferì nelle Province unite per arruolarsi volontario in uno dei reggimenti francesi comandati dal principe protestante Maurizio  di Nassau.

      Secondo quanto si legge nel prezioso Journal  che lo scienziato olandese teneva regolarmente con grande precisione, l’incontro tra i due studiosi ebbe luogo il 10 novembre 1618 e non in forma casuale, perché in una cittadina come Breda era allora  molto intenso e frequente se non addirittura frenetico lo scambio di notizie culturali e scientifiche, di esperienze e di studi.

      Che Isaac Beeckman  abbia rivestito un grande ruolo nella formazione del giovane Cartesio, è ammesso dal Nostro nelle primissime lettere indirizzate all’amico e in particolare in quella del 23 aprile 1619 in un passaggio emblematico che riportiamo:

 

Infatti, voi siete davvero il solo ad avere spronato un pigro a richiamare un sapere già quasi tutto svanito dalla memoria ed a volgerne l’intelligenza, che si era allontanata dalle occupazioni serie, verso cose più grandi. Per questo, se dovesse venir fuori da me qualcosa di non disprezzabile, potrete a buon diritto rivendicarlo come interamente vostro. Da parte mia, non mancherò di mettervene da parte, sia perché ve ne dilettiate, sia perchè lo correggiate, come avete fatto molto di recente a proposito di ciò che avevo scritto sull’arte della navigazione. Come se foste un indovino, mi avete infatti messo a parte della cosa; tale è, infatti, la vostra invenzione relativa alla Luna, che pure ritenevo, ma erroneamente, potesse venire semplificata con alcuni strumenti.1

 

      A dire il vero il passo epistolare menzionato, oltre al  riconoscimento dei meriti dell’amico nell’averlo risvegliato dal torpore intellettuale, contiene un argomento incautamente inserito da Cartesio, che diverrà di là ad alcuni anni, oggetto di polemica e  divisione tra i due. Infatti Cartesio, preso dall’elogio verso il maestro, non esista ad attribuire a Beeckman una sorta di  paternità intellettuale dei suoi  futuri scritti, come avverrà proprio riguardo al Compendium.

      Su questa linea di allineamento verso l’amico più titolato ed esperto può anche essere letta la conclusione del trattatello musicale, ove ancora una volta Cartesio riconosce i meriti dell’interlocutore, affidandogli l’opera senza esitazione:

 

Ormai scorgo la terra, mi affretto verso il lido; molto qui ometto per brevità, molto per dimenticanza, ma di certo ancor più per ignoranza. Lascio tuttavia venir fuori fino a voi quesrto parto del mio ingegno, così informe, e quasi come un piccolo di orsa | appena messo al mondo, perché sia un ricordo della nostra amicizia profonda, e un pegno certissimo del mio amore per voi; ma a questa condizione, se credete: che, al riparo per sempre nell’ombra della vostra biblioteca o del vostro studio, esso non sia consegnato al giudizio di altri. I quali, come voi invece farete, ne sono sicuro, non distoglierebbero gli occhi benevoli dalle sue parti monche verso quelle nelle quali non nego certo che siano delineati al vivo alcuni tratti del mio ingegno; e non saprebbero che esso è stato composto tumultuosamente e solo per voi, qui, in mezzo all’ignoranza dei militari, da un uomo ozioso e libero, che pensa e fa cose completamente diverse.2

 

       Tuttavia anche se queste lettere  e questi riscontri non esistessero, basterebbe leggere alcuni passi del   Journal di Beeckman per rendersi conto che il genere di ricerche che conduceva lo studioso olandese (tra cui quelle in campo musicale) rappresentavano un paradigma culturale che il giovane filosofo non avrebbe potuto conoscere senza restarne vivamente interessato. Ciò lo si coglie tra l’altro da tutta una serie di problemi che i due amici affrontarono nei loro  dibattiti e di cui è rimasta  traccia nelle lettere, tra le quali quella della determinazione dei tempi della caduta dei gravi, ove la reciproca inerenza tra fisica e matematica era particolarmente evidente.

      Nel 1618  l’esercito agli ordini del Principe Nassau non era impegnato in grandi imprese  militari, poiché era ancora in vigore la  tregua  di dodici nella guerra contro la Spagna. Cartesio, arruolatosi come volontario nell’esercito,  si trovava inattivo nel presidio di Breda,   attendendo ai propri amati studi e a comporre il trattatelo  musicale in omaggio al suo amico, che mostrava anch’egli interesse per le questioni musicali.

      Per la data di composizione del trattatello, sicuramente Cartesio lo iniziò nel novembre del 1618 e lo  ultimò il 31 dicembre dello stesso anno, così da poterlo inviare il 1 gennaio del 1619 all’amico a mo’ di  strenna augurale per il nuovo anno.

      Lo studioso olandese trattenne per sé il manoscritto musicale per 11 anni, fino a quando non dovette renderlo all’amico a seguito della aspra disputa che li aveva divisi che riecheggia fragorosamente nella lettera di  Cartesio del 17 ottobre 1630, con toni di rancore incomprensibili al tempo di inizio della loro relazione intellettuale:

 

Guardate infatti quanto siete ingiusto: volete essere l’unico proprietario e non volete che altri si attribuiscano non solo quel che sanno e che  mai hanno appreso da voi, ma, addirittura, proprio ciò che voi stesso confessate di avere appreso da loro. Scrivete infatti che l’algebra che vi ho dato non è più mia; la stessa cosa in altra circostanza avete scritto sulla musica. Volete dunque, presumo, che queste scienze si cancellino dalla mia memoria, perché ormai sono vostre: per qual motivo, infatti, mi avreste chiesto gli autografi (dal momento che siete già in possesso delle copie, mentre io non ne ho alcuna), se non perché col tempo potessi dimenticarmi delle cose in essi contenute, e di cui più non  mi occupo, e perché foste voi il solo a possederle? Ma sicuramente avete scritto ciò per burla; so infatti quanto sappiate essere elegante e faceto: non volete dunque che sui creda  seriamente che sia  vostro se non quel che siete stato il primo a trovare. Perciò nel vostro manoscritto annotate la data in cui avete pensato  ciascuna cosa, perché non capiti mai nessuno tanto impudente da voler attribuire a sé quel che abbia sognato una notte  dopo di voi. Mi pare tuttavia che così non custodiate con la massima prudenza i vostri  beni: che  accadrebbe infatti, se si dubitasse dell’attendibilità del manoscritto? Non sarebbe più sicuro addurre testimoni o confermare su un registro ufficiale? Ma vi dirò la verità, di certe ricchezze come queste, che temono i ladri, e debbono essere sorvegliate con tanta cura, vi rendono infelici piuttosto che beato; né, credetemi, vi rammaricherebbe di perderle insieme alla malattia.3

 

Cartesio portò con sé il manoscritto a Stoccolma, come risulta alla  lettera R   dell’inventario dello Chanut (“otto foglietti scritto sulla musica, 1618”).  Per  diverse strade e traversie il  manoscritto pervenne poi nelle mani di Padre Nicolais Poisson, Superiore presso il Collegio degli Oratoriali a Vendome,che lo tradurrà dal latino e lo pubblicherà.

Un’altra copia del manoscritto finì poi all’attenzione di un altro grande amico di  Cartesio, Costantino Huygens padre, anch‘esso appassionato di musica, mentre sappiamo che una trascrizione  del testo si trova nelle pagine del Journal di Beeckman, come se lo studioso olandese volesse in qualche modo   appropriarsi del lavoro che – come abbiamo visto – fu fonte della polemica tra i  due.

 

DALLA TEORIA DELLA CONSONANZA ALLA TEORIA MUSICALE DEL RITMO

       Dal punto di vista filosofico e scientifico  nonché strettamente musicale, il Compendium cartesiano eredita una lunga storia musicologica  che affonda le sue radici nella Grecia  antica e  si connette alla scuola  pitagorica, alla scoperta del numero a fondamento della musica, all’idea che il  suono sia un rapporto trasferibile in una cifra numerica.  Se il suono è  rappresentabile in un rapporto numerico, la musica altro non è che la disciplina del numero sonoro, come peraltro emergeva anche dal tessuto  musicale del medioevo e del rinascimento, ove le speculazioni matematiche ed astronomiche non erano estranee a relazioni musicali.

     Cartesio parte dalla teoria della consonanza musicale sistemata dal veneto Gioseffo Zarlino nel tardo rinascimento (Zarlino è l’unico musicologo espressamente citato, seppur  una volta sola, nel Compendium) e la  assume  criticamente come  un contributo ineludibile senza tuttavia restarne   prigioniero, ma mira ad elaborare una  originale teoria musicologica imperniata sulla scoperta e la ricerca del ritmo come  moderna forma del tempo nell’universo musicale.

Il rtimo è una forma del tempo e si dà nel tempo che tuttavia non può considerarsi solo nella sua dimensione fisica ed  lineare,   uniforme e quantitativa.:

 

Il  tempo nei suoni deve consistere di parti uguali, perché sono, di tutte, le più facilmente percepite dal senso, in base alla quarta premessa; oppure di parti che siano | in proporzione doppia o tripla; ma non si deve procedere oltre, poiché queste parti sono, di tutte, le più facilente distinte dall’udito, in base alla quinta  e sesta premessa.  Se poi le misure fossero più diseguali, l’udito non potrebbe se non a fatica riconoscere le loro differenze, come risulta per esperienza. Se infatti, per esempio, volessi porre cinque note uguali contro una, allora non si potrebbe cantare senza la più grande difficoltà.4

 

      La concezione del ritmo elaborata da Cartesio prevede come  fondamento una dimensione del  tempo interno proveniente dal trattato De musica di S. Agostino, la cui lettura non era estranea certamente a Cartesio.. Infatti,  se è pur vero che il tempo si dà e si scandisce nel tempo esterno della sensibilità e della quantità,  gli effetti dello stesso non sono uniformi ma  variano e si modificano venendo a contatto con lo spirito del soggetto  che lo percepisce tramite l’udito e lo fa suo.

     Questa sistemazione del  ritmo come tempo interiore non  viene organicamente trattata da Cartesio nelle pagine del trattatelo,  ma l’autore ne  semina le tracce e qua e là fornisce elementi per  percepirla come un nuovo orizzonte teorico che porta il pensatore francese oltre le acquisizioni di  Zarlino.  Il suono è l’oggetto della  musica (come  la carne l’involucro dell’uomo) e nella musica si manifesta nel  succedersi del ritmo, nel variare della sua  intensità,  nel celarsi o  rivelarsi secondo una complessa dialettica di variazioni, sfumature, tonalità, significati.

       Il suono è una dimensione totalizzante,  ma non tutte le forme di suono accedono alla dimensione del ritmo. Non basta che un suono accada, perché il suono musicale non si identifica nel mero suono fisico del quale, dice Cartesio, è bene che se ne occupino i fisici.:

 

 

Ma, ammesso questo, e poiché, come abbiamo detto, all’inizio di  ogni misura il suono è emesso con più forza e più distintamente, va detto anche che esso scuote con più forza i nostri  spiriti dai quali siamo eccitati al movimento. Segue da ciò che anche le bestie possono ballare a tempo, se glielo si insegna e le si abitua, perché  per questo è necessario il solo impulso naturale.5

 

 

PRAENOTANDA

 

        Nei sei punti di Praenotanda, in forma linguistica schematica e quasi  come una serie di appunti da fissare per non smarrire il senso di un ragionamento, Cartesio enumera alcuni punti chiave della sua ricerca. L’insieme dei punti di Praenotanda non è quindi  sistematico né organico ma ricco di suggestioni e spunti. I primi  due  punti  rivestono quasi lo stile di una dichiarazione metodologica:

 

 

 

 

1       Tutti i sensi sono capaci di un qualche piacere.

2       Per questo piacere si richiede una certa proporzione dell’oggetto con il senso stesso. Accade per questo, ad esempio, che il fragore degli schioppi o dei tuoni non sembra atto alla musica, certo perché lederebbe l’orecchio, come l’eccessivo splendore del sole in fronte lede gli occhi.6

            

          La via della  sensibilità è qui collegata all’avvertimento del piacere o, come  Cartesio scrive  nell’esordio del  trattato, del diletto che è il fine della musica. La valorizzazione dei sensi non pare tuttavia fine a se stessa ma finalizzata a individuare il senso della musica nel suo offrirsi all’udito umano. Dobbiamo partire da questo importante riconoscimento della dimensione sensibile ma non ridurre – come del resto Cartesio non fa – la musica alla sua base meramente fisica. Questa riduzione sarebbe infatti fuorviante perché il mondo non è un oggetto inerte ma una comunità di soggetti attivi e dotati di una  modalità interiore,  attraverso la quale il ritmo si manifesta ora lento, ora accelerato trasformandosi in stati d’animo di pace, quiete, oppure azione, dinamismo, tumulto.

      L’oggetto musicale, il suono è un oggetto discreto,  nel senso che non può darsi in forma univoca ma modulata, articolata, quasi  frantumandosi e spezzandosi e tendente ad una matematizzazione. La musica lo rende infatti in un rapporto numerico in proporzione.. Dice  Cartesio in alcuni brevi passaggi di Praenotanda

 

Diciamo meno differenti tra loro le parti dell’intero oggetto tra le quali c’è maggiore proporzione.

 

La proporzione deve essere aritmetica e non geometrica. La ragione è che in essa non ci sono tante cose da notare, dal momento che le differenze sono ovunque uguali e perciò il senso si affatica tanto a percepire distintamente tutto ciò che è in essa.7

 

       Va inoltre rilevato che la riflessione cartesiana indica nella varietà del ritmo una meta cui tendere, in modo che la curiosità e la vivacità dell’ascoltatore vengano sollecitate e gratificate. Questa attenzione  alla sfera dell’ascolto e della piacevolezza del ritmo, di cui parleremo più diffusamente, è una novità nella consuetudine dei trattati musicali del tempo che si muovevano su una dimensione prettamente scientifica. Ciò rende il  trattato di Cartesio  attraversato e  permeato di una inflessione umanistica seppur non esplicitamente formulata.

 

 

SEGUENDO LE NOTE DI ZARLINO: LE REGOLE DELLA COMPOSIZIONE E I MODI

 

      La presenza  di Zarlino (chiamato ai suoi tempi il Principe dei Musici) nel trattato musicale di Cartesio non si riduce alla mera citazione del nome che compare una sola volta nell’elaborato. Sappiamo che Cartesio venne a conoscenza degli studi musicali di Zarlino probabilmente durante il suo soggiorno di studio presso il Collegio dei Gesuiti a La Fléche. Tuttavia l’influenza del teorico tardo- rinascimentale è ben presente nelle formulazioni cartesiane, soprattutto per quanto riguarda la visione matematica della musica che già Zarlino aveva configurato e rafforzato in linea con la tradizione pitagorica.. A Zarlino  si deve peraltro una sorta di riforma e rimodulazione della teoria musicale antica (passata anche dal filtro di Severino Boezio) con la sostituzione del quaternario di origine pitagorica e l’immissione del senario, la relazione da 1 a 6 da cui nasceranno le nuove consonanze di terza e sesta maggiore. Passaggio questo di non poco conto e non ignoto  a Cartesio e che è ben ravvisabile  nella musicologia barocca.

        Assumendo questa impostazione, Cartesio nel suo trattato giunge ad una  formulazione dei  criteri di composizione  e dei modi mettendo a fuoco tre principi fondativi.:

 

1.    tutti i suoni emessi contemporaneamente debbono costituire una consonanza

2.    una medesima voce deve procedere in successione  soltanto per gradi e per consonanze

3.    non siano mai ammessi il tritono e la falsa quinta neppure in relazione.

 

        Ma anche la relazione dei modi procede in modo nuovo. La successione dei modi (nella tradizione musicale occidentale il termine modo indica un determinato sistema  organizzato di intervalli e l’ordine e la classificazione secondo i quali si organizzano nella successione di toni e semitoni che costituiscono una scala) deve soddisfare l’esigenza di armonia e di gradevolezza  richiesta dall’udito, cosicché al temine di  una composizione l’udito deve sentirsi appagato in modo da non attendere nient’altro e da comprendere che il brano si è concluso.

     L’insieme dei modi deve disegnare una totalità in cui gli elementi interni che la compongono non paiono isolati e scissi e l’ascoltatore avverta  quel senso di appagamento e di soddisfazione che la musica può trasmettere.

 

LA NATURA DEL PIACERE

 

     Premessa la natura sensibile del piacere che Cartesio sancisce  nelle prime pagine del trattato, intesa come unica sorgente  di percettibilità data in dotazione all’uomo, occorre esaminare più da vicino questo assunto per non restare prigionieri di un principio empiristico che sembra esulare in ultima analisi dalle riflessioni del filosofo. Non tutti i sensi peraltro servono per Cartesio allo stesso modo alla causa della musica e non tutti sono omologabili nella loro funzione di recettori di esperienze. L’udito in particolare è il senso che più nella musica è sollecitato ed è verso di esso che Cartesio indirizza le sue considerazioni.

     L’udito deve infatti essere educato, affinato e rigenerato, perché il suono musicale possa  raggiungerlo e tramite esso produrre un mutamento, l’emersione di uno stato d’animo nel soggetto che ascolta.  Diletto ed emozioni formano per Cartesio una coppia che non può essere scissa, delectare et movere sono cadenze di uno stesso movimento che  dall’esterno raggiunge l’interno,. dando luogo ad una nuova  rielaborazione, questa volta non più determinata dal mero agente fisico.

      Un ritmo infatti non accade per tutti allo stesso modo e la serie delle sue cadenze, la scale della sua maggiore o minore intensità, non è percepita univocamente. Un ritmo si dà nel  tempo ma per sfumature, segni, tracce che i sensi interni  (lo spirito)  avvertono in  modalità proprie e non catalogabili, in emozioni irripetibili.

      Si deve così poter pensare che la natura sensibile per Cartesio non  basti da sola per generare il diletto e che questo non possa essere  inteso in  senso meramente acustico. Esso infatti non va inteso in senso meramente empiristico come sollecitazione che proviene dall’esterno e raggiungendo il soggetto lo lascia inerte e insensibile.  Le pagine del Compendium cartesiano contengono accenni rilevanti alla natura attiva del soggetto e dell’ascoltatore che non si limita ad una mera recezione.  Il soggetto attivo significa che esso  dispone di una soggettività creatrice capace, mediante l’affinamento e l’educazione dell’udito, di scremare l’armonico dal disarmonico, il tenue dall’intenso, il lento dal veloce  e così via.

     In  particolare esiste nel soggetto-ascoltatore un  tessuto e fitto ordito di emozioni che, opportunamente sollecitate dall’avvento del suono musicale,  determinano una sfera di azioni-reazioni, stati d’animo, moti che  pur sorgendo da una base sensibile, non si risolvono in essa pienamente.

      Questa sfera dell’emozione nel trattatello Cartesio non la descrive  compiutamente, né dà ad essa una organica sistemazione teorica procedendo per allusioni, suggestioni, in modo quasi schematico, proprio di un pensiero che è in corso.

      Il procedimento cartesiano nasce dalla sensibilità ineludibile inscritta nell’uomo mediante i sensi  fisici che gli sono stati attribuiti e perviene all’interno (nello spirito), per quanto riguarda la musica in particolare, attraverso l’udito che produce l’ascolto, l’attenzione  e l’interiorizzazione del suono fisico che in sé e per sé  a Cartesio non interessa.  Esterno ed interno non sono  quindi due modalità contrapposte e  antitetiche, ma destinate  ad incontrarsi mediante un rapporto di enteropatia. L’ascolto infatti, che Cartesio molto valorizza ed è questa una indubbia  innovazione  da lui  introdotta, è una forma di relazione e richiede una attenzione (un tendere) che è  insieme attiva e passiva.   Passività ed attività sono quindi inscritte nello stesso ascoltatore che non si trova  mai in una situazione di totale inerzia e non è mai mero recettore.

      Il gusto è allora un tendere dell’ascolto che scremando il suono ritmico che gli perviene, lo trasforma interiorizzandolo in significato, in stato di piacevolezza, armonia, benessere ed altro ancora, in una successione emotiva che non ha fine.

      L’emozione pare così  in Cartesio andar perdendo connotazioni di labilità e fragilità generalmente attribuite alla parola nel senso comune, acquisendo lo statuto estetico ed etico di affinamento della sensibilità, di educazione al gusto, al bello. La valenza estetica nel trattatello cartesiano non è mai conclamata apertamente ma sempre sottesa, anche nelle  analisi più rigorosamente astratte e tecniche che l’autore compie. Essa funge da filo sotterraneo che tiene  insieme le riflessioni, cucendo le varie parti del discorso, cosicché il tecnicismo linguistico non pare mai come un ordine disanimato e spento.

                  Sentiamo allora  Cartesio sulle e emozioni:

 

Per quanto attiene ai diversi affetti che, con la diversità di misure, la musica può eccitare, in generale dico che la misura più lenta eccita in noi anche i moti d’animo più lenti, quali sono il languore, la tristezza, il timore, la superbia ecc., quella più veloce, per contro, anche gli affetti più veloci, qual è la gioia, ecc.  E lo stesso dicasi dei due generi di battuta: la quadrata, ossia quella che si suddivide sempre in due parti uguali, è più lenta della ternaria, quella che consta di tre parti uguali. La ragione è che quest’ultima occupa maggiormente il senso, dal momento che in essa ci sono più cose a cui fare attenzione – vale a dire tre membri -,mentre nell’altra soltanto due. Ma una disquisizione più esatta su questo argomento dipende da un’accurata conoscenza dei moti dell’animo, sui quali non aggiungo altro.8

 

 

      Cartesio si ferma qui, non senza  tuttavia aver osservato come segue:

 

Non ometterò tuttavia che tanta è la forza del tempo in musica, che esso, anche da solo,  | può di per sé procurare un certo piacere: come risulta nel tamburo, strumento di guerra nel quale non si considera nient’altro che la misura, la quale perciò – ritengo – può lì trovarsi a constare non solo di due o tre parti, ma fors’anche di cinque o sette, e più ancora. E poiché infatti, in tale strumento, il senso non ha nient’altro a cui rivolgere la sua attenzione che il tempo, | in quest’ultimo può esservi una maggiore diversità, in modo che esso occupi maggiormente il senso.9

 

      L’uso  del termine piacere nel contesto della riflessione cartesiana (il diletto) di cui  si parla nell’esordio del trattato, non va interpretato in senso meramente empirico, poiché lo stesso Cartesio  lo connette al mondo  variegato dei moti dell’animo.

 

IL COMPENDIUM  TRA CONTINUITA’ E NOVITA’

 

      L’impianto complessivo del Compendium cartesiano si innerva nel solco della tradizione  musicologica occidentale che partendo dalla radice pitagorica attraverso il Medioevo (Boezio) e il Rinascimento (Zarlino), è  confluita ai tempi di Cartesio nel suo elaborato. Questa operetta giovanile, pur con tutti i limiti che lo stesso Cartesio riconosce presenti nel suo scritto (la brevità, la schematicità ecc.), non si discosta dal quel profilo. Anche la questione delle consonanze ereditata da Zarlino è affrontata da Cartesio in sostanziale continuità con il musicologo veneto.

     Più rilevanti ci paiono le novità che il Compendium contiene,  seppur non tutte esplicitate e portate ad evidenza. La dimensione dell’ascolto, la posizione dell’ascoltatore e del fruitore,  di quello che potenzialmente diverrà il pubblico, è senza dubbio da Cartesio fortemente sottolineata, mentre pare assente nei trattati musicologici  della tradizione occidentale antica e più vicina ai tempi  del pensatore francese. L’ascolto possiamo dire che rappresenti sotto questo aspetto la novità più eclatante introdotta dal giovane Cartesio nella sua elaborazione. Questa dimensione  è poi quella dell’attenzione  e del  ruolo del pubblico nella fruizione dell’arte, questione che ai tempi di  Cartesio  non era certamente  centrale come diverrà nei secoli successivi  a partire  dal Settecento con l’illuminismo.

      Anche l’analisi del tempo musicale come tempo interiore, già presente in Boezio    nel medioevo e risalente alla concezione del tempo di S . Agostino  elaborata nelle Confessioni, riemerge in Cartesio nelle riflessioni sul ritmo come tempo e nella modulazione del tempo ritmico a contatto con il mondo delle emozioni, della soggettività, sembrano foriere di ulteriori e più articolati sviluppi per es. nella novecentesca analisi della concezione fenomenologica  del tempo come tempo interiore da parte di Edmund Husserl.  Il Compendium  pare così porsi al  crocevia tra tradizione e modernità, contenendo elementi che lo connettono all’una e all’altra, in una sintesi ancora aperta.

     Da ultimo si vorrebbe ricordare una  poco nota composizione di Cartesio destinata alla versione musicale e  che il filosofo, ormai anziano,   stese a Stoccolma, pare su commissione della regina  Cristina, che tra l’altro  voleva così celebrare l’avvento della pace di Westfalia.  Si tratta del Balletto danzato al Castello Reale di Stoccolma nel giorno della  nascita di Sua Maestà, elaborato nel 1649  in forma di testo poetico e successivamente da altri musicato per la rappresentazione a corte.

     Il contenuto del poemetto in realtà è prettamente politico, teso ad esaltare l’avvento della pace ed è imperniato sul rivestimento mitologico attraverso l’intervento di Dei, Muse ed altre figure classicheggianti. La qualità  dei versi cartesiani non parve già all’epoca  eccelsa (a tal conto si ricorda il non benevolo

 

 

giudizio di Albert Thibaudet in un articolo del tempo), mentre diverso e più favorevole fu l’accoglienza del pubblico che lesse nel poemetto e nella rappresentazione a balletto la gioia e l’entusiasmo per la raggiunta pace.

      Si legga in tal senso qualche strofa  ove, al di là  degli orpelli mitologici, si intravede il  rasserenamento degli animi per la fine della guerra:

 

Ora che la Pace è fatta

E che Marte si è  ritirato,

Pallade può servirsi di me

Per riparare in pochi anni

Tutte le piazze rovinate

Negli stati  sottomessi alla sua legge.

 

Ed io ho delle ottime ragioni

Per assicurare che le mie canzoni

Non le saranno inutili

Infatti come Amfione un tempo,

Con i soli accordi della mia voce

Ho il potere di costruire città.’10



1 R. Descartes, Descartes a Beeckman, Breda, 23 Aprile 1619, in  R. Descartes, Tutte le lettere 1619- 1650, a cura di Giulia Belgioioso, Bompiani, Milano, 2009, p. 11.

2 R, Descartes,  Compendio di musica, in R. Descartes, Opere postume 1650- 2009, a cura di Giulia Belgioioso, Milano, Bompiani, 2009, p. 99, d’ora in poi riportato con la sigla CP.

3 R. Descartes, Descartes a Beeckman, Amsterdam, 17 0ttobre 1630, in R. Descartes, Tutte le lettere 1619- 1650, cit., pp. 159-161.

4 CP, p. 35.

5 p. 39

6 p.35.

7 p. 53.

8 p. 39.

9 p. 39

10 R. Descartes,  Versi del balletto  della nascita della pace, in R. Descartes, Opere postume  1650/ 2009, cit., p. 1429.


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