Francesco Guicciardini

CONSOLATORIA

 

Fatta di settembre 1527 a Finocchieto

tempore pestis.

Io non mi maraviglio, Francesco, benché io ti cognosca di animo fermo e virile, che tu ti truovi ripieno di grandissimo dispiacere, perché sono concorsi in uno tempo medesimo troppi accidenti a perturbarti; né è solo la roba in che tu patisci, ma di più la grandezza, la degnità, e quello che io credo che ti pesi sopra tutte le cose, l'onore. Hai per la ruina del pontefice perduto la presidenzia di Romagna, luogo che ti dava grandissima utilità e tanta riputazione, che ogni uomo grande e nato in maggiore grado che privato, se ne sarebbe onorato; hai perduto uno pontefice che t'aveva singulare affezione, ma molto maggiore confidenzia, e che voleva che ordinariamente tu stessi apresso a lui e consigliassi e trattassi tutte le faccende importante e segrete dello stato, e ne' tempi della guerra t'aveva proposto a eserciti con tanta autorità che maggiore non aveva riservata a sé. Donde oltre a consumare el tempo in cose onorevoli e che dilettano la natura tua, eri venuto e ti saresti conservato in notizia e riputazione apresso a tutti e' principi cristiani, e per tutta Italia cognosciuto e stimato tanto, che tanto non credo che tu avessi non dico mai sperato ma neanche ardito di desiderare. E da questa grandezza e riputazione ti venivano in mano grossissime facultà, lecitamente, onoratamente e sanza offesa o dispiacere di persona; e quello io so che tu stimavi assai, vedervi aperta la via di collocare nella tua patria le tue figliuole con migliori e più onorati partiti che vi fussino. Le quali perdite, in sé grandissime, fa ancora maggiore la causa per la quale tu l'hai perdute; perché non morte naturale del papa, non impedimento sopravenuto alla persona tua, non caso ordinario o che prima si fussi potuto pensare, t'ha tolto tanto grado, ma uno accidente atroce e miserabile, sendo quello povero e misero principe così infelicemente diventato prigione degli spagnuoli. In che bisogna che non solo ti offenda el danno tuo, ma forse non manco quello di Italia e di tutto el mondo; non solo lo interesse tuo, ma la compassione di quello infelice signore col quale hai grandissima obligazione, e per gli utili e per gli onori grandissimi che t'ha fatto, ma molto più per la fede eccessiva che ha avuto in te, per la quale t'ha tante volte posto in mano tutto lo stato suo, non ostante che tu non gli fussi né parente, né ne' tempi infelici di casa sua gli avessi serviti ed obligatili in cosa alcuna.

Ed in questo oltre al dispiacere che tu senti di tanta sua miseria, credo ti molesti non poco el ricordarti che la deliberazione del pigliare la guerra dalla quale sono nati tutti e' suoi mali, fu ancora consigliata e riscaldata da te: in modo che non meno ti debba muovere el parerti che anche tu n'abbia dato qualche causa, che faccia lo effetto stesso di tanta ruina; e se pure tu non avessi perduto altro che questi accidenti dependenti dal papato, credo che pure li tollereresti assai commodamente, considerando che erano cose avventizie e non naturali tue. Ma quando io veggo che tu sei percosso si può dire nel tuo proprio, ed in quello che depende dalla patria tua, non posso credere che el dispiacere tuo non sia infinito; perché io veggo che con grandissima iniquità ti è stata posta una gravezza di qualità che le facultà tue non la possono portare; e se si metterà in uso qualche volta, bisogna o che pagandola tu impoverisca, o che non la volendo pagare tu perda per modo di parlare la civilità e forse la patria, donde oltre alli altri incommodi ti si difficulta mirabilmente el maritare delle figliuole, cosa tanto stimata da te, ed in modo che quelli medesimi che altra volta l'hanno dimandate, offerendole ora tu loro, le rifiuteranno.

Veggo che per li umori che ora possono nella città tu ti truovi escluso da tutto el governo, e con poca speranza che questi romori, causati da errore o da malignità, s'abbino a purgare presto come molti credono; in modo che da uno estremo eccessivo di onori, di riputazione, di faccende grandissime e di notizia universale in che tu eri, ti truovi precipitato subito in uno altro estremo di uno vivere ozioso, abietto, privatissimo, sanza degnità, sanza faccende, inferiore nella tua città a ogni piccolo cittadino, e di sorte che non che altro, credo ti vergogni quando passano per questa forestieri che t'hanno visto in tanta grandezza, ed ora intendono che tu sia ridotto in grado sì basso e sì infelice. Né è di poco momento li inimici, che per volere fare el debito e per volere servire fedelmente al tuo padrone e satisfare all'onore tuo, tu ti hai fatti in molti luoghi di Italia, grandi e di qualità da poterti nuocere in molte occasione, massime se la necessità ti constrígnessi a andare fuora, dove non puoi andare più con guardie e con armati come hai fatto per el passato; in modo che della grandezza ed autorità che hai avuto, ti è restato el pericolo, e ti è restato quasi per necessità uno modo di vivere di più spesa che non conviene al grado presente ed alle facultà che tu hai.

Ma oltre a tutti e' dispiaceri detti di sopra, che certo sono grandi, perché io so quanto conto tu hai sempre tenuto dell'onore, e quanto per questo ti sei sempre conservato integro ed astinente della roba di altri, e procurate con tutte le opere ed azioni tue avere buono nome; perché io so quanto sempre hai amato la patria, e quanto capitale hai sempre fatto di avervi drento buona grazia e buona fama, e per questa cagione le grandezze e maneggi tuoi non mai t'hanno potuto spiccare da pensieri e dimostrazione di cittadino; sono certissimo che quello che ti duole insino al cuore, quello che ti cava l'anima, è el vedere che sanza alcuno fondamento di verità, sanza alcuna cagione, fu sparsa voce sì universale che tu abbi in questa guerra rubato e' danari publici, che tu abbia per avarizia o per malignità permesso che e' soldati faccino tanti danni in questo contado, che tu sia di animo tirannico ed inimico della libertà della città. La quale opinione non solo si è dimostrata con le parole, ma molto più con le opere, poi che in questa distribuzione della gravezza, e nelle elezione de' venti che avessino a prestare, sei stato messo al paragone o di persone vili e di nessuno rispetto, o di uomini corruttibili, usurpatori e di pessima fama. E così in luogo di quello buono nome e quella fama e benevolenzia singulare di integrità, di modestia e di amatore de' populi, che tu con tante fatiche e pericoli hai acquistato nelle provincie forestiere, ora nella patria tua alla quale sempre hai avuto la mira, ti truovi in concetto di animo non integro, non bene composto, né moderato, né amatore de' commodi publichi.

Quando io mi ricordo di queste cose e considero quanto torto ti sia fatto, e quanto male siano ricognosciute le tue buone opere, così mi aiuti Dio come per lo amore che io ti porto, io ho dolore, non voglio dire equale al tuo, ma certo come sentirei di cose proprie che mi pesassino assai; e lo mostrerrei con l'effetto se, benché con mia grandissima incommodità, io potessi fare opera alcuna che in qualche parte ti alleggerissi la causa di tanti dispiaceri. Ma poi che io non posso fare questo, mi sforzerò almanco con le parole darti quella medicina o quello lenitivo che io saprò; non perché io non intenda non potere né sapere dire cosa che tu meglio di me non cognosca, ma per fare lo officio dell'amico almeno con la buona volontà. se non potrò o non saprò con gli effetti.

E' dispiaceri che tu hai sono sanza dubbio grandissimi, e potentissime le ragione che ti fanno risentire; ma non sono, se tu bene consideri, alla fine minore quelle donde ha a nascere el conforto e la consolazione tua; dico ancora quelle che sono facilmente capace al senso degli uomini, né aliene dal vivere nostro commune e quotidiano el quale è delicato e non patisce rimedi o medicine troppo potenti, le quali chi potessi comportare, ed udire in questo luogo e' teologi o e' filosofi, si curerebbe facilissimamente molto maggiore infermità che non è la tua. Perché come tu proponessi la memoria dell'altra vita, a comparazione della quale questa è uno punto, e che Dio manda spesso le tribulazione agli uomini non per gastigargli ma per purgarli, e che chi per amore suo le tollera pazientemente ha da reputare felicità lo essere visitato da lui di qua con questi modi, perché mirabilmente approfittano di là: chi dico, si riducessi a memoria queste cose, sarebbe ne' tuoi dispiaceri con maggiore piacere che non avesti mai tu nelle tue felicità. Così, chi procedendo filosoficamente si ricordassi che questi beni della fortuna sono di nessuno momento, e da essere stimati da' savi come cosa vilissíma, e' quali chi perde, perde più presto una soma inutile e travagliosa, che cosa di alcuno valore, e che la felicità ed el sommo bene consiste solo nella virtù e ne' beni dello animo: chi dico, si ricordasse di questo, avendo perso quello che hai perduto tu, non gli parrebbe avere perduto niente, ma essere più leggiere e più scarico a seguitare el resto del cammino suo.

Sono queste cose verissime, e che se noi avessimo purgato gli animi, come ragionevolmente doverremo avere, medicherebbono tutte le nostre infermità, e ci terrebbono sempre in questo mondo contenti e felici; ed io non solo giudico degni di laude, ma ammirabili e beati quelli che si truovono disposti in modo che con queste contemplazioni si spicchino tanto dalle cose del mondo che non sentíno e non curino gli accidenti suoi. Ma ho anche per scusato chi dalla fragilità umana è impedito a levarsi tanto alto, e chi in ogni avversità che gli sopravenga si ricorda e senta di essere uomo; e come io desidero che tu sia in questa perfezione, così confesso io di esserne alieno: e però non volendo imitare certi medici che spesso danno allo infermo quelle medicine che per sé non piglierebbono, parlerò teco più bassamente e più secondo la natura degli uomini e del mondo.

Mi persuado che l'avere perduto le grandezze che tu avevi con la Chiesa, così per conto dell'uficio di Romagna, come di essere presso al papa, ti abbino dato poca molestia, e che per conto loro ti bisogni poca consolazione: non perché non fussino di quella importanza e degnità che io ho detto di sopra, ma perché io non ti cognosco sì imprudente né sì poco consideratore delle cose del mondo, che tu medesimo non le tenessi come cose aliene, e come cose che a ogni ora ti potessino essere tolte o caderti. Una mutazione della volontà del papa, che benché tu paressi bene appiccato, poteva pure nascere per varietà della natura sua, per le mutazione di corte, per molti altri accidenti, ti poteva ogni ora tôrre tutto quello luogo; al più lungo la morte sua te ne privava, la quale tu sapevi che poteva nascere a ogni momento. Avevi provata la morte di Leone nel maggiore corso delle prosperità e vittorie sue. tempo che tu pensavi sentire qualche frutto de' molti travagli che avevi durati per lui quella state; e se quella fu improvisa ed immatura, sapevi potere accadere el medesimo a questo altro. Però se bene tu desideravi che la vita sua ed el buono essere che tu avevi seco si allungassi el più che fussi possibile, nondimeno poi che tu sapevi non avere a perpetuarsi e potere perdere questo grado facilmente ed a ogni ora, e non venire però a perdere le cose tue proprie e naturali ma accidentali e molto estrinseche, sono certissimo non essere questo quello che ti cruccia e ti affligge, e che se tu non avessi perduto altro, che in pochissimi dì anzi in pochissime ore aresti dimenticato tutto questo danno.

Ma è bene degno di laude e molto pietoso el dispiacere che tu senti che le cose del papa abbino avuto fine sì miserabile, e che come tu m'hai detto molte volte, non ti truovi mai in sì allegro ragionamento e pensiero, che rappresentandotisi la memoria della sua prigione, non si interrompa e si converta in somma mestizia, non per la considerazione de' danni tuoi, ma della sua sì lacrimosa infelicità. Nondimanco questo solo non ti terrebbe in quello grande e continuo dispiacere che tu hai, né arebbe bisogno della consolazione mia né di altri; perché non toccando principalmente te, piglierebbe alla fine presto luogo, e col corso di poche settimane invecchierebbe questo dolore; perché dove el dispiacere nasce solo dalla compassione o dalla affezione di chi si duole, né ha fondamento di interesse o di cagione che ogni dì ti gravi o si faccia risentire, si viene facilmente scancellando da se medesimo. E però dico di nuovo che da altro nasce el punto del tuo dolore, che da essere privato di quelle cose le quali sapevi che erano aliene, non potevano essere perpetue, ed el tempo del perderle poteva nascere a ogni ora.

Consiste adunche el fondamento del dispiacere tuo dalla infamia ed odio che ti pare avere contratto apresso a' tuoi cittadini, e da essere ridotto in grado inferiore di gran lunga, non dico a quello che agli anni passati avevi avuto, ma a quello che hanno e' pari tuoi nella patria tua; perché ti senti percosso in quello tesoro che stimavi quanto la vita, in quelle cose che ti pareva che fussino proprie tue e dovessino essere perpetue. Dove el fondamento della consolazione mia consisterà in questo, che quello che sia che queste che tu chiami calamità abbino a durare lungamente o no, ti debbe essere assai e bastarti el sapere tu e cognoscere che quelle colpe e peccati che ti sono imputati sono falsi, e ne sei innocentissimo, ed hai la conscienzia purgatissima. Perché ed in questa guerra ed in tutti e' maneggi che tu hai avuti, la verità è che sei stato integerrimo de' danari publici e privati, e che di te si può dire gagliardamente quello che scrisse Tucidide di Pericle, che e' fu sanza dubio incorrotto dalla pecunia, anzi non fu mai uomo che con maggiore diligenzia, con maggiore parsimonia e con maggiore ardore si affaticassi perché non si spendessino inutilmente; e quello che in questa parte ti raddoppia la laude è che non solo e' maneggi tuoi sono stati lunghi e grandissimi, ma v'hai avuto la briglia larghissima, perché sono stati totalmente commessi alla fede tua, né mai te ne è stato riveduto conto, in modo che più che a altri ti si convengono quelle parole ch Paulo: qui potuit facere et non fecit, qui potuit transgredi et non est transgressus.

Manco si accosta alla verità che tu abbi permesso e' danni fatti nel nostro dominio, ne' quali non hai colpa né di voluntà né di negligenzia, anzi per el contrario ti sei affaticato e gridato quanto hai potuto per evitargli e sì veementemente che n'hai avuto inimicizie per le quali sei stato in pericolo quasi certissimo di essere amazzato. Sia adunche el fondamento ed una base solidissima della consolazione tua el sentirti la conscienzia monda, el sentirti innocentissimo da tutte le calunnie che ti sono date, el potere con allegro animo dire teco medesimo: io non ho mai tolto danaro di altri; io non ho mai permesso, anzi quanto è stato in me ho sanza rispetto sempre ovviato che non solo e' cittadini e sudditi della mia patria, ma né anche gli strani, gli alieni siano stati mai ingiuriati o soprafatti da alcuno né nella persona né nella roba. Di che essendo conscio, ti possono e debbono poco perturbare le imputazione e romori falsi; perché è certo vana e ridicula la querela di coloro che aggravano e' lamenti loro per dire di essere imputati a torto ed essere innocenti, come se più si debba dolere chi patisce a torto che chi patisce con ragione.

Confesso che in uno certo modo manco debbe lamentarsi della pena chi cognosce meritarla, e chi non può dire essergli fatto ingiustizia, e che ricognoscendo se medesimo e la conscienzia sua è necessitato a dire: io merito questo e peggio; ma quanto alla causa della pena colui che è innocente non può sentire dolore o dispiacere alcuno, e da altro canto chi è in delitto ha sanza comparazione maggiore tormento, maggiore cruciato da se medesimo e dalla sua conscienzia che non è lo alleggerimento che gli dà el cognoscere che non si può lamentare della pena; perché quelle sono le punture, quegli sono gli aculei, quello è el vermine che rode le viscere, quella è la fiamma che non lascia riposare, che nasce da se medesimo, che lo costrigne a confessare che da sé procede, dalle azioni ed opere sue, tutto el male che lui sente. Questa è quella ruota di Sisifo che non si ferma, non si riposa mai; questa bene in continua afflizione, in continuo fuoco chi ha solo el peccato sanza essere punito; quanto più chi ha l'uno e l'altro; anzi la pena estrinseca ed accidentale è piccola a comparazione di quella che continuamente dà el sentirsi sempre vessato e tormentato dalla conscienzia sua: non si può mandarla fuora sanza vergogna e sanza dispiacere, e quanto più si tiene occulta e più drento, tanto pá tribola, più rode, più arde.

Adunque poi che tu sei innocente e sanza colpa delle imputazione che ti sono date, tu manchi della principale e maggiore parte, anzi per dire meglio, della sustanzia del dispiacere che tu potresti avere; tu manchi di quello che difficilmente riceve consolazione, e resta quello che se tu ti vuoi racorre e considerare bene le cose, non ha quasi bisogno di consolazione. È come se in tempo di una pioggia grande ti trovassi in una campagna, ma provisto in modo di cappello, di stivali e di panni che l'acqua non può passare, e sanza toccartene una sola gocciola, non che le carne ma né anche le veste vicine a quelle, arrivato a casa non truovi alla fine bagnato altro che quegli abiti estrinsechi, e' quali levandoti da dosso, e la persona e l'altre veste tue restano in quello medesimo modo che sarebbono se mai non fussi piovuto. Non è se tu consideri bene percosso di te per queste false vociferazione, altro che cose estrinseche: tu resti quello medesimo così buono, così integro, così virtuoso, eri prima; t'ha percosso una calamità che non a te solo ma tante volte è accaduta a' tempi antichi e moderni a uomini di virtù, di prudenzia, di bontà e di moderazione singulare; anzi è proprio degli uomini rari ed eccellenti essere lacerati da questi venti che alla fine hanno poca altra origine che da invidia. Gli esempii sono infiniti e tanto noti che è superfluo nominare alcuno, e di quelli massime che essendo sempre vivuti santamente, avendo fatto innumerabili benefici alla patria, non solo sono stati lacerati da questo romore e calunniose parole, ma a alcuni tolta la roba, mandati in esilio e qualche volta dalli ingrati popoli e patrie privati della vita.

Che adunche ti lamenti, ti duoli se hai una spezie di infelicità che non a te primo né solo ma a infiniti uomini grandi e buoni è accaduta, e questa insíno a ora leggerissimamente? Perché, non tolte facultà, né mandato in esilio, non fattati alcuna grave nota o pena, né è in effetto altro che romore: perché le cose della gravezza ingiusta e dello essere stato astretto a prestare, sono più presto segni dello odio e della mala opinione che hanno generato negli uomini queste calunnie, che effetti. Che adunche ti duoli se t'ha tocco una calamità non nuova, non inaudita, ma usitata a venire a infiniti, ed a molti in questa spezie medesima con molto maggiore percossa che a te, a chi, a dire el vero, non ha bagnato si può dire altro che el cappello, gli stivali e la cappa? Non ti ricordi tu di essere nato uomo, sottoposto alle cose del mondo, a' morsi della fortuna come gli altri uomini?

La felicità grande e perpetua che tu hai avuto insíno a questa età non solo [non] ti doveva fare dimenticare di essere sottoposto a' casi umani, ma più presto riducertelo in memoria, e farti temere più di avere qualche colpo che quelli che hanno avuto la vita loro travagliata. Sanno pure insino a' fanciulli, insino a quelli che non hanno elementi di lettere, che le prosperità non durano, che la fortuna si muta; e tu che non sei però alieno dagli studi, che hai veduto tante cose, maneggiato tante faccende, ti maravigli, pigli per nuovo, ti risenti, non puoi sopportare se in spazio di tanti anni, se doppo tanti di che hai sentito allegri ed onorevoli, ti è venuta una piccola infelicità? La chiamo piccola a comparazione di quelle che sogliono accadere; perché ínsino a ora non è altro che un romore di volgo e di ignoranti, de' quali gli uomini savi sempre tennono pochissimo conto: e tu che sempre hai aspirato a questo nome ed a questa professione, vuoi nell'esperienzia avere el giudicio ed el senso diverso da loro?

Non puoi già dire di non avere previsto o questo o simile accidente, perché io mi ricordo pure averti molte volte nelle tue prosperità udito temere di tanta fortuna, e discorrere quanto la è solita a mutarsi, e quanto la non soglia essere perpetua a alcuno. E quando non ti avessi mai udito, non ti cognosco sì ignorante delle cose del mondo, che io non pensassi che tu non avessi sempre innanzi agli occhi, e massime che è proprio di chi ha fatto e fa assai faccende grande percuotere in questo medesimo perché come non succedono bene, che sempre non possono succedere, si scuoprono e' frutti della invidia, e viene loro dietro el romore e la infamia populare. Però che puoi lamentarti se avendo desiderato di maneggiare faccende grande ed onorevoli è bisognato che vi entri con la medesima condizione e sorte che sono entrati tutti gli altri? Anzi ti debbi più presto lodare che el corso delle faccende tue ha avuto maggiore e più lunga prosperità che non soglia avere communemente, perché rari o forse nessuno sono stati quelli che abbino avuto la felicità perpetua, pochissimi che l'abbino avuta più lunga di te, infiniti che o nel principio de' travagli loro o in pochi... non abbino sentito qualche intoppo della fortuna. A te insino a questo dì sono andate le cose felicissime, né avevi insino a ora avuto mai, io non dico uno colpo, ma né anche sentito ne' maneggi tuoi cosa che ti potessi dispiacere; ed ora quella avversità che ti è venuta, a comparazione di quelle che dà el mondo, di quelle che accaggiono tuttodì agli altri, è di qualità che hai più presto da ringraziare Dio che non te l'abbia data maggiore, che a lamentarti, da pregarlo che la si fermi qui e non ti venga maggiore colpo che da parerti questo troppo grave o troppo acerbo.

Considera, se si vinceva questa impresa, alla quale andasti con tanto ardore, e se l'aveva quella prosperità che da principio si credette, quanto era più quello che tu acquistavi di grandezza, di riputazione e di onore, che non è quello che tu hai perduto; e quanto è la diversità dall'uno all'altro, tanto ti paia che la fortuna t'abbia avuto di rispetto. E se el caso ha dato che la impresa sia perduta, il che potere accadere credo che considerassi da principio, e che con questo presupposito vi entrassi, ed el perdersi non poteva essere sanza tuo danno, hai più presto a restare obligato alla fortuna che abbia voluto el danno tuo essere piccolo, che a reputare per tua infelicità che si sia perduta quella impresa che non era tua, ma di tanti prìncipi, e dove tu non intervenivi per principale ma per instrumento, in modo che el vincersi o perdersi non aveva a dependere dalla buona o mala fortuna tua, ma dalla fortuna di papi, di imperadori, di re, e per dire meglio, del mondo, nel concorso e aggiramento della quale non è in considerazione la fortuna privata e di pari tuoi. Così non puoi dolerti di quello che è stato causa del male tuo, anzi debbi più presto ricognoscere che in tanta ruina, la quale non è nata per mala fortuna tua ma per infelicità di altri, tu abbia patito molto manco di quello che facilmente aresti potuto patire.

Considera quanto abbino sentito gli altri e quanto sia stato miserabile el caso di coloro che erano nel medesimo grado che tu apresso al medesimo principe, e che in questa faccenda ed impresa hanno avuto la medesima parte che tu; e di qui confessa che a comparazione loro el caso tuo è leggiere, poi che hai la persona salva, hai la libertà, hai le facultà integre e la conscienzia inlesa, e dell'onore non è in verità ed in sustanzia diminuito niente, se bene pare maculato qualche cosa nella opinione del volgo e degli ignoranti, ed è stato data occasione alla invidia di scoprire teco della sua malignità.

Né ti turbi quello che io dicevo in principio, che el ricordarti tu di essere stato uno di quegli che confortorono la guerra, dalla quale sono nate tutte le ruine, non può fare che non ti dia dispiacere e che non ti morda la conscienzia, perché non sei sanza colpa, che è quello fondamento in che consisteva el verbo principale della consolazione tua. Perché oltre che la deliberazione di fare la guerra, poi che si intese el re di Francia non volere osservare la capitulazione fatta con lo imperadore a Madril, ebbe poca anzi nessuna consulta; quando bene questo si potessi attribuire a te e te solo, ed el consiglio non fussi stato buono, te ne doverresti cruciare la conscienzia se l'avessi consigliato per ambizione o per malignità; ma essendo stato errore di giudicio, el quale in simili cose tanto incerte ed importanti accade spesso ed a più savi e più esperti di te, non ti debbe né può questo ragionevolmente cruciare o affliggere, perché in quelle cose s'ha a rimordere la conscienzia dove cognosce colpa di voluntà.

Benché da questo affanno e te [e] gli altri che avessino avuto quello parere, libera abondantemente la natura del caso: perché ognuno che considererà particularmente le ragione che sono in questa materia, sarà constretto a confessare che atteso e' mali termini che erano usati al papa, el cammino della monarchia di Italia a che si vedeva andare Cesare, la opportunità grande che pareva che avessi el papa per avere seco el re di Francia e' viniziani, e la inclinazione a questa parte del re di Inghilterra; la debolezza che si mostrava negli imperiali per avere in Italia poca gente, essere sanza danari e co' populi dello stato di Milano inimicissimi, e che le arme non si pigliorono né per ambizione né per altro fine che per liberarsi da questo pericolo; chi considererà, dico, queste ragione, sarà sforzato a confessare che rare volte fu per alcuno principe presa impresa né si giusta né si necessaria, né con maggiore speranza della vittoria. Né si gridava allora altro per ognuno e non manco per e' savi, che contro alla timidità ed irresoluzione del papa che pareva che andassi più lentamente che non si doveva a questa deliberazione; nella quale se lo evento è stato diverso dal giudicio, non per questo si debbe dare colpa a chi avessi consigliato la guerra. poi che le ragione erano tale che lo persuadevano a ogni savio: altrimenti a troppo dura condizione sarebbono sottoposti e' consiglieri de' principi, se fussono obligati a portare in consiglio non solo discorsi e considerazione umane, ma ancora o giudicii di astrologi, o pronostici di spiriti, o profezie di frati.

Non sei adunche in colpa se al consiglio che tu avessi dato della guerra non ha corrisposto lo evento; anzi meriti laude e non piccola, perché come sa chi è stato vicino alle azioni tue, hai quanto ti è stato possibile aiutato che lo effetto non sia stato diverso dalla ragione; e tanto che se gli altri che hanno avuto carico nella guerra avessino fatto nel grado loro quanto hai fatto tu nel tuo, o se el papa poi che era entrato nel mare avessi nel navigare seguitato e' ricordi tuoi, forse che le cose arebbono avuto altro fine di quello che hanno avuto. Non ci è adunche colpa tua né nel consiglio poi che l'hai dato ragionevole, né nello evento poi che di quello che era in potestà tua non gli sei mancato; e però ritrovandoti da ogni parte innocente e sanza errore, ti debbi anche ragionevolmente trovare sanza dispiacere. Sanza che, tu puoi essere certo che quella mala fama che è divulgata di te circa la integrità e danni de' soldati, in breve tempo si purgherà e ne sarà cognosciuta la verità, ed a te interverrà come a tutti gli altri che hanno avuto a torto simili carichi, che el tempo per se medesimo sanza altro aiuto gli ha consumati e portati via; massime che in te non hanno avuto né colore, né fondamento, né verisimile alcuno.

Sogliono qualche volta e' carichi essere falsi, ma avere seco qualche indizio, qualche riscontro, qualche apparenzia che sono creduti ragionevolmente anche da' savi; e questi a purgarsi hanno bisogno di qualche giustificazione e di più tempo, ma ne' tuoi non è niente simili: sono semplici, nudi e sanza colore: perché chi non sa quanto poco sia verisimile che tu abbia consentito che el paese nostro sia danneggiato, e voluto sanza utile tuo acquistare questo odio e questa infamia? E quanto a' danari spesi in questa guerra, apparisce ne' libri e si sa per infinite vie che non sono passati per tua mano; e se bene da te sia stato commesso lo spendergli, s'ha a intendere da altri se siano spesi o no; le persone che gli hanno maneggiati sono in essere, sono stati deputati dal papa, ed el conto che n'hanno a rendere ha a essere sanza alcuna infamia o laude tua.

Vedi quanto poco colore ha questo carico; e dubiti che per se medesimo s'abbia presto a purgare? Sanza che, non è spenta però negli uomini la antica memoria della integrità tua; la quale se bene si è avuta a cognoscere ne' paesi forestieri ed in quelli è stata singularmente celebrata, pure ne è anche risonata la fama in questa città, che ora a questo rumore è alquanto suffocata; ma quanto el carico andrà diminuendo, tanto quella ritornerà allo essere suo, e la verità aiutata da lei farà tanto più spegnere el carico che non ha appoggio o colore alcuno. Ed e' quali io sono certissimo, che più sono stati quelli che l'hanno detto, che quelli che l'hanno creduto, ma el dispiacere fresco de' danni ricevuti dagli uomini nostri che non sono usi a sentirne, fu causa che molti per la passione dissono quello che venne loro alla bocca; altri che non avevano questo dolore lo fomentorono per invidia, e nella moltitudine fu creduto facilmente, ma con la medesima facilità si spegnerà. Gli uomini prudenti e non passionati non lo credettono, ed è intervenuto come interverrebbe di quello mantello che io dissi di sopra, che essendo bagnato si darebbe a credere facilmente a chi fussi discosto che fussi macchiato da altro che da acqua, chi è vicino cognoscerebbe la verità; ma asciutto che sia in spazio di qualche dì, e chi è discosto e chi è presso vede che non vi è restata macchia alcuna e che la fu acqua. Così la moltitudine che considera le cose da..., avendo sentito dire che è olio e non acqua, l'ha creduto; e' savi che considerano da presso non vi hanno dato fede, e come el caso non sarà fresco, cognoscerà ognuno che è stata acqua, e che el mantello resterà netto e purgato come fussi mai. Mi sono disteso volentieri in persuaderti che questa infamia passerà, perché se bene trovandoti la conscienzia netta, tu non doverresti stimarla, pure so che a chi è tenero dell'onore, malvolentieri comporta el sentirlo maculato etiam nella opinione degli ignoranti.

Non voglio già durare la fatica medesima in persuaderti che el sospetto che ha el popolo di te per reputarti amico de' Medici, passerà, e che verrà tempo, forse più presto che tu non credi, che tu sarai in buono concetto ed opinione; perché questo modo di consolarti quando bene fussi vero mi pare troppo effemminato; e mi pare ragionevole, se tu hai quella grandezza di animo e quella virilità ed altre parte che io credo, che se non t'ha a essere fatto maggiore male che di non essere mai adoperato per la cagione predetta, che tu lo debba comportare sanza una minima molestia. Credo bene, anzi tengo per certo, che se la città arà vita e non affoghi in questa tempesta grande che ora si mostra, che non passerà molto tempo che non solo non sarai rifiutato, ma che agli uomini parrà forse avere fatto perdita di non si essere valuto in tempi tanto strani della virtù ed esperienzia tua la quale è impossibile che in tanta carestia di uomini non sia cognosciuta; ed anche credo che el modo del vivere tuo sarà tale che congiunto con la memoria de' tempi passati, farà facilmente credere agli uomini che tu non abbia lo animo alieno da uno vivere libero, e che t'abbino sempre a piacere più quelli governi che siano più a beneficio ed utile della città; o almanco che tu non sia mai in tempo alcuno per favorire o fomentare chi cercassi mutazione. Credo questo, ma lo voglio porre da parte e non ci fare fondamento; perché, come ho detto, mi pare ragionevole che anche sanza questo ti debbi contentare, e che tantì libri che tu hai letti, tante ìstorie che tu hai scorse, tante faccende che tu hai maneggiate, t'abbino in modo ammaestrato e fatto lo animo sedato e pacifico, che la vita tua e' fini tuoi siano per pigliare pìù presto legge e regola dalla verità e ragione delle cose che dalle vane opinione degli uomini.

Io confesso essere molti che lodono lo ozio e la tranquillità, e se gli mostrano con le parole affezionatissimi, ma che in fatto pochissimi sono quelli che quando hanno occasione dì fare faccende con onore o con utile, non le abbraccino più volentìeri che el riposo; anzi si vede tuttodì che ancora quelli che si sono ridotti a vita appartata e quieta, quasi tutti malcontenti d'avere lasciate le faccende e la ambizione, subito che si rappresenti loro qualche spíraglio di grandezza, vi si gettano sanza vergogna alcuna di abbandonare la tanto lodata quiete. Donde è necessario concludere che questi tali si siano vòlti alla quiete non per amore di Dio, non per stanchezza delle cose del mondo e della fortuna, non per vera o ferma elezione, ma o per necessità o per sdegno o per pazzia; e nondímanco io lo dico di nuovo che a me pare che tu debba contentarti in questa vita, e se non piacerti più che l'altra, almanco non dispiacerti tanto che el trovarti escluso da quella t'abbía a parere infelicità o calamità. Perché el giudicio mio è che si debba non biasimare ma più presto favorire la ambizione di coloro che non avendo mai fatto faccende, desiderano di farne per avere occasione di mostrare lo ingegno, le virtù sua e le dote che gli ha dato la natura o che s'ha acquistato accidentalmente, parendo loro che se una volta non fanno questo, avere a passare la vita come persone inutili né nate per beneficio di altri che suo medesimo.

Non può cadere in te questo desiderio, perché hai avuto grandissima facultà, e l'hai fatto con ottimo successo, di dimostrare in maneggi grandissimi el tuo valore, ed in maggiore e più veduto campo che non pareva potessi accadere a uno che non fussi nato in altro grado di te, o che non avessi fatto altra professione che quella che hai fatta tu. Però se desideravi che si cognoscessi che tu eri incorruttibile, e che non danari, non amicizie, non prieghi, non rispetti di potenti bastavano a piegarti dalla via retta e debita, n'hai fatto tanti e sì publichi paragoni che io non credo che in questa parte tu possa desiderare più. Se avevi caro essere cognosciuto per uomo virile e coraggioso e di animo presente ne' travaglì e' pericoli grandi in che ti sei trovato, e' campi, le ossídione delle città dove tu eri, l'hanno fatto cognoscere e credere pure troppo chiaramente. Dimanda tutti e' luoghi dove sei stato, e' popoli che hai governato, gli eserciti dove hai avuto tanta autorità; confesseranno che tu sei uomo di ingegno, di giudicio resoluto nelle deliberazione, abondante di partiti ed espeditissimo nelle azione. E se bene sapranno anche dare conto quali siano e' difetti tuoi, perché nessuno nacque mai perfetto, pure ti celebreranno nelle cose principali e più sustanziali; e se bene tutto è stato fuora della patria, nondimeno e per el grido di molti e per avere pure le faccende della Chiesa avuto sempre o uno interesse medesimo, o qualche connessità con la città, quella opinione che è stata fuora di te è pervenuta ancora piena ed abondante insino a noi. Non hai dunche causa giusta di desiderare più le faccende per questo conto, anzi più tosto d'aborrirle per cavare dell'onde e della tempesta e conducere in porto ed assicurare la nave tua, carico di buono concetto e di laude rare degli uomini.

Per un'altra ragione è laudabilissimo el desiderio di travagliare, quando l'uomo cognoscendo le sue buone qualità, si persuade o per la condizione de' tempi che corrono o per altro rispetto, potere essere utile alla patria o agli altri, e mosso da bontà di natura desidera farlo; e questo non credo che ti cruci, perché quando bene tu presummessi di te più che degli altri, non è el vivere di Firenze di sorte che uno cittadino solo possi essere di momento grande alle cose; e pure quando questo fussi, assai hai satisfatto allo instinto che ti muove con lo essere disposto e parato a farlo quando n'abbia occasione o quando la patria ti ricerchi; né ti può dare dispiacere alcuno o molto leggiere o molto commune, se el non gli fare tu questo bene manca da lei o da quelli che sarebbono beneficati, che o non lo credono o non lo vogliono.

Può muovere chi desidera faccende un'altra ragione, la quale non è laudabile come le superiori, pure non è anche dannabile, e questo è lo appetito degli onori, non dico della buona fama, della buona opinione e della gloria di che è detto di sopra, ma di non avere passato la vita sanza magistrati grandi; né può cadere in te questo, perché n'hai avuti tanti e di tanta qualità ed in età giovane, che si può dire che sono forse centinaia di anni che della patria nostra non uscì cittadino più onorato di te. Desiderano altri faccende per appetito di guadagnare, e questo oltre a essere fine basso, non credo ti dia affanno, perché se Dio ti conserva le facoltà che hai, sono al grado tuo tante che bastano; ed io mi ricordo averti molte volte udito dire che ci fine delle fatiche e travagli tuoi non era le ricchezze, perché sapevi non avere a guadagnarne mai tante che sempre a Firenze non fussino molti cittadini che sanza virtù, sanza qualità rare ne avessino molto più di te; e però che tu eri più vòlto al fine dell'onore, nel quale potevi sperare manco compagni. e che avessino a aggiugnervi con più virtù.

Sono uomini di un'altra sorte che desiderano le faccende non tanto per gli effetti che seguitano da esse, quanto perché pigliano piacere e si nutriscono del travagliare, e da questi non sei forse alieno tu, perché mi è parso sempre comprendere che el fine per se stesso ti piaccia e che la natura t'abbi inclinato a questo; né è forse maraviglia né anche da lamentarsi se la dà agli uomini inclinazione di quelle cose a che gli ha creati atti, anzi sarebbe quasi ingiuria che l'avessi fatto uno inabile a una cosa e tamen desideroso di quella. Ed in questo mi occorre dirti che le faccende di quella sorte che noi ragioniamo, cioè di stati e di governi, hanno seco tante fatiche, tanti dispiaceri e tanti pericoli, che chi non v'ha drento altro fine né vì considera altro frutto drento che del satìsfare a questa sua inclinazione, vi truovi sanza comparazione maggiore fastidio che contento, o almanco non vi è tanta differenzia, che trovandosene escluso dalla fortuna abbia causa di averne molta ansietà. Considera bene questo passo e vedrai che è verissimo, che chi nelle faccende non tiene conto di alcuno degli altri fini per li quali le sogliono desiderarsi, troverrà questo solo del dilettarsi di farle, tanto semplice, tanto asciutto, tanto digiuno che poco affanno gli darà el mancarne.

Resta l'ultimo fine che può più che tutti gli altri apresso agli animi generosi, agli ingegni nobili; e questo è proprio la ambizione, cioè el desiderio di essere stimato ed onorato dagli uomini, di mantenere fresca la sua riputazione, ed essere quasi mostrato a dito; come si dice di Demostene che si rallegrava quando passando per la via sentiva la vecchierella che tornava dalla fonte per la acqua, dire con la voce bassa alle vicine: quello è Demostene. In effetto el maneggiare faccende di stato ed avere grandezza ti fa in uno certo modo adorare dagli altri. e però forse è escusabile questo appetito; perché lo essere in riverenzia appresso agli altri uomini non si può dìre che non sia cosa bella e beata, né in altro pare che ci possiamo assimigliare a Dio; nondimeno non mi pare anche giusto che questo ti domìní, perché se tu consideri quante fatiche, travagli, sospetti e pericoli sono in questa vita, e da altro canto quanta facilità, quanto riposo, quanta sicurezza e contento di animo sia nella vita ociosa e tranquilla, ti parrà che di gran lunga sia da proponere questa all'altra, o almanco che non vi sia tale differenzia che allegramente non debbi vivere in quella che la sorte ti apresenta. Piglino e' finì vani e le superficie delle cose quegli che sanza lettere o sanza esperienzia non hanno occhio che penetri drento, e però si lasciano abbagliare da quello splendore che porta seco lo stato di quella grandezza; ma [tu] che hai provato per tanti versi che cosa è mondo, che hai da tante cose che haì lette e che hai veduto, potuto cognoscere quanta sia la varietà della fortuna, che hai tocco con mano che tutto el bene che è nelle grandezze è quello che apparisce di fuora, ma che sotto quella coperta è pieno di pericoli, di sdegni, di affanni e di inquietudine di animo, non ti debbi muovere da quelle cose vane che muovono gli altri, ma solo dalle ragione vere, solide e fondate delle cose.

Ricordomi pure averti udito dire molte volte ne' tempi che tu chíamavi felici, che tu avevi desiderato come tutti gli altri uomini l'onore e l'utile, e che per grazia di Dio e buona sorte ti era molte volte succeduto sopra el disegno; e nondimeno non vi avevi trovato drento alcuna di quelle satisfazione che da principio avevi immaginato; ragione, che come tu usassi dire, chi la considerassi bene, doverrebbe bastare a estinguere assai della sete degli uomini; però se ìn quella vita non sono come è verissimo quegli contenti che gli ìgnoranti credono, che ha ella però in sé che tanto si debba desiderare? È bello, io voglio ammetterlo, poi che così è el commune gusto degli uomini, lo essere reputato e risguardato dagli altri, che delle parole e pareri tuoi si faccia conto e lo essere de' principali che abbino autorità nella patria sua; ma chi consìdera bene, non è manco bello vivere libero dalle cupidità, dependere da se medesimo e non dalle opinione degli uomini; partire ed usare el tempo a suo modo, riposare a arbitrio tuo, vivere sanza offendere o fare male a persona, non essere sottoposto o almeno molto manco che gli altri alle mutazione della fortuna, non pigliare dispiacere degli augumenti degli altri, usare a tua posta la città, a tua posta la villa, sentirsi lo animo quieto e contento; cose che tutte mancano a chi si maneggia nella vita ambiziosa. Dove se quello onore, o per parlare così, quella adorazione ha similitudine con Dio, non gli è manco simile chi ha uno stato di qualità che possa vivere sicuro e pieno di quiete, e contento di quella tranquillità essere disprezzatore di molte leggerezze, di molti vani affanni e perturbazione degli uomini.

E certo tu potresti discrepare, da questa opinione e parole mie, se io ti figurassi in uno grado abietto e privatissimo, e come persona le condizione e qualità di chi fussino incognite: perché se bene questo sia grado che quando con la conscienzia retta vi è la tranquillità della mente dovessi bastare a uno animo purgatissimo, io non sento in me questa perfezione né la ricerco in te; ma dico che el caso tuo è molto diverso, perché le faccende grande che tu hai travagliato pel passato, e la riputazione che hai acquistata con esse, e la opinione delle tue buone qualità, quale io non voglio raccontare per non parere adulatore, fanno che ancora che tu viva appartato dalle faccende, non viverai sanza qualche estimazione e riputazione, ed essendo oltre a questo cinto di parenti, e parenti onorati, come sei, sarai sempre nella memoria degli uomini, e di te sarà tenuto qualche conto; in modo che ed el maritare delle figliuole e le altre faccende che noi consideravamo di sopra, non sarà con tante difficultà, ed el tuo non si chiamerà semplicemente ocio, ma, considerato questo, le lettere e notizia delle cose che tu hai, e che saprai bene dispensare ed accommodare el tempo tuo, si chiamerà più presto ocio con degnità: vita che a giudicio degli antichi scrittori è così desiderabile come el vivere nelle faccende sanza pericolo, ma di gran lunga anteposta alle faccende con pericolo, che è la vita nella quale tu insino a ora sei vivuto.

Sarai adunche ocioso ma con degnità: la quale ti recherà la memoria delle cose passate, la riputazione che hai acquistata col lungo e pericoloso travagliare, la opinione che sarà di te, ed in ultimo el consumare el tempo ora alla città, ora alla villa, ora in solitudine, ora in conversazione di uomini, e sempre con pensieri, opere e memoria degne di te e della passata tua vita; o io mi inganno, o sarà uno stato el tuo desiderabile, perché sarà quieto, sicuro ed onorevole. Né sarà minore laude l'accommodarsi bene in questo, che sia stato quella delle faccende; anzi mi pare che alla riputazione tua si appartenga, poi che hai dato conto di te nel travagliare ed acquistato riputazione in quella vita, avere occasione di potere dare conto nello ocio, e mostrare che tu sia atto e sappia così bene ordinarti nel non fare come nel fare.

Dicono alcuni savi che la vita nostra è simile a una commedia, nella quale a dare laude a coloro che vi recitano, non si attende tanto che persona ciascuno sostenga, quanto se porta bene la persona che ha: perché a ognuno tocca a fare la persona che gli è assegnata, e quello che è proprio suo è el modo del farla. Così la persona che sostegnamo nel mondo è quella che ci è data dalla fortuna, ma quello che è laudato in noi è el modo con che noi viviamo nel grado o nella sorte nostra; e so nelle commedie è degno di laude chi rapresenta bene una persona, quanto sarà più lodato chi ne rapresenterà bene dua, massime di spezie diversa! Così se tu consideri bene, non ti toglie la riputazione lo essere passato dalle faccende allo ocio, anzi te la raddoppia se tu saprai usarla bene; e se in quella persona che tu hai insino a ora rappresentata è stata la tua rara laude, sarà rarissima a chi considererà che n'abbia usato egregiamente dua.

Non hai tu letto di Scipione Africano che ridottosi in esilio per non vedere el conspetto della ingrata patria, fu in tanta esistimazione apresso a ognuno che insino a' ladroni andorono a vederlo e fargli reverenzia? Perché lo ocio non spegne la memoria delle virtù e delle cose passate, non oscura le laude che gli uomini hanno acquistate. Non sai tu che Diocleziano deposto lo imperio trovò tanto contento in quello suo orto ed in quella sua agricultura, che richiamato allo imperio non vi volse tornare, come vita misera ed infelice a comparazione della quiete in che si godeva? Sono pieni e' libri delle laude della tranquillità e dello ocio onesto, né io chiamo in questa parte ocio el non fare niente, ma el non essere obligato per ambizione o faccenda alcuna; attendere quando vuole alle lettere, quando alla agricultura, conversare e ragionare virtuosamente con gli amici, né si alienare al tutto dalla vita civile, ma esservi drento libero, sicuro e con degnità: vita certo da preporre a quella de' re, né io mi distendo a laudarla con quelle parole magnifiche di che sono piene le scritture, perché se gli effetti non te la faranno piacere, se non l'hai in queste poche settimane cominciata a gustare, invano ti si imprimerebbe colle parole.

Ma a giudicio mio o tu debbi reputare felicità che ti sia venuta occasione di vivere così, o se non hai lo animo sì purgato, almeno non ti debbe parere tanto migliore quella che questa, che però ti truovi malcontento: perché le cose del mondo hanno questa condizione che le non sono perfette da ogni parte, né si truova vita alcuna che non gli manchi qualche cosa di importanza, ma migliore dell'altra è quella alla quale mancono meno cose e meno importanti. E la tua se tu consideri è di queste, perché da quello splendore in fuora che è più presto vano che altro, non veggo cosa alcuna che importi, che manchi a questa tua vita, ma vedevo bene mancartene molte ne' negocii, le quali non apparivano ma erano; e pel contrario a questa pare più presto che manchi, che in verità sia così. Considera più oltre in che grado tu nascesti e se aresti avuto per grandissima felicità conseguire la metà di quello che hai conseguito; ed essendoti succeduto molto più di quello che mai sperasti, vedi se ti puoi chiamare infelice, o se a lamentartene meriteresti nome di ingrato. Considera che se gli onori tanti che tu hai avuti non fussino concorsi in dieci o dodici anni, come sono, ma t'avessino accompagnato per tutta la vita, che non si potrebbe dire che tu non fussi vivuto molto onorato e felice, e poi fai el conto se l'avergli avuto più presto, ed essersi accumulato l'uno sopra l'altro, è stata infelicità o felicità. Dirai certo, né potrai dire altrimenti, che è stata somma felicità, né potersi dire che siano finiti presto, ma che siano venuti presto quegli che ti sarebbe parso assai se fussino venuti tardi: sarebbe come se uno operaio che ha in tutto uno dì a fare una opera, si lamentassi d'averla finita a mezzodì, e che gli avanzassi vacuo el resto del dì, come uno mercatante che desiderassi guadagnare in trenta anni verbigrazia trentamila ducati, e la buona sorte gli dessi che gli guadagnassi in dieci.

Però a me pare che né le infamie avute a torto ti debbino cruciare, perché trovandoti innocentissimo manca quella cagione che era la principale a arrecarti dolore, e perché secondo la natura delle cose tu hai a tenere per certo che la si purgherà presto, e resterai in quello concetto di integrità e virtù che meritano le opere ed azioni tue. Manco ti debbe dare affanno l'avere consigliato la guerra che ha avuto cattivo successo, perché oltre che per la liberazione del re la era deliberata sanza el consiglio tuo, se fussi stato errore sarebbe stato di giudicio e non di voluntà: ma el consiglio secondo la occorrenzia delle cose fu buono, né el consultare è obligato agli effetti; e massime che anche in questi tu hai per la parte tua fatto tanto, che se gli altri avessino fatto el simile, non sarebbono le cose dove sono. Né ti tormenti d'avere perduto quello che ottenevi della Chiesa, perché erano cose aliene e che tu sapevi potere perdersi ogni dì; anzi t'hai da contentare e reputare guadagno che sono durate molto più e maggiore che ragionevolmente non sperasti da principio. Né ti paia essere infelice se ancora in Firenze sei alienato dalle faccende e dal governo, perché quando bene anche questo durassi continuamente, il che non è credibile, tu che sei vivuto in esse lungamente, ed a chi sono accadute molte cose prospere, sai che non vi è drento quel contento e satisfazione di animo che molti credono. N'hai cavato facultà tali che se Dio te le conserva, potrai vivere onestamente secondo el costume della tua patria, ed in esse hai guadagnato quello che era da stimare più di tutto, buono nome, buona fama e di integrità e di virtù, e memoria gloriosa di te.

Né questa ambizione di essere stimato ed onorato, e di essere tenuto di quelli che governano, è da stimare tanto, sendo piena di fatiche, di dispiaceri e di pericoli, che non sia da tenere molto più conto di quello riposo, di quello contento e sicurtà di animo che è nella tranquillità ed onesto ocio; massime che el tuo essendo accompagnato da lettere, da notizie di cose, da riputazione causata dalla buona opinione di te e dalla memoria delle cose fatte, sarà proprio ocio con degnità. E per questo e per parenti, ed altre buone qualità che hai nella patria, non sarà la vita tua abietta ed incognita, né al tutto sepulta o negletta; ma se non in azione, almanco in luce, in notizia ed in memoria degli uomini, non aliena da ogni conversazione civile, ma non obligata a faccende; la quale se ti dispiacerà, sarà a mio giudicio come di uno che liberato di servitù suspiri alla vita passata, il che non gli farà fare la ragione, ma l'abito che ha preso di servire.

Le quali ragione perché mi pare che siano abastanza, e perché sono più secondo el gusto della nostra fragilità, io non ti riduco in memoria la autorità de' filosofi che non tennono mai conto alcuno di questi beni della fortuna, per essere alieni e troppo sottoposti a ogni mutazione, e perché quando bene durassino non vi si truova drento quiete e tranquillità di animo, che è el frutto principale delle felicità; non la memoria della legge cristiana la quale ci ricorda che abbiamo a morire, che questa vita a comparazione della altra è uno punto, che la felicità ed infelicità nostra s'ha a considerare dalla condizione che per le opere nostre areno di là, che le tribulazione nel mondo sono spesso desiderabile perché sono visitazione di Dio a chi le riceve con forte animo, e mezzo a conseguire quella eterna felicità. E così se tu consideri questa misura e come cristiano e come filosofo ed uomo del mondo, troverrai o che questa vita è più desiderabile o almanco non tanto peggiore che meriti querela, ed oltre che è così debita e conveniente, consiste ancora in questo l'onore e riputazione tua, che tu ti ci disponghi ed accommodi, in modo che non paia uomo che nascessi ieri né che non abbi provato niente delle cose del mondo, ma che abbia a essere cognosciuto da ognuno, persona piena di notizia di lettere, piena di virtù, e finalmente piena di animo e di esperienzia.

Francesco Guicciardini

ORATIO ACCUSATORIA

Non si doveva pregare più Dio di cosa alcuna, giudici, nessuna in questo tempo poteva essere più a proposito della republica, che esserci data occasione che questa nuova legge dell'accusare, ordinata con quello ardore che voi sapete di coloro che favoriscono la nostra libertà, fussi ne' suoi princìpi confermata con qualche notabile esempio; la quale poi che si è offerta più opportuna ancora e maggiore che non aremo saputo immaginare, non può essere dubio a persona che non consiglio ed opera alcuna di uomini, ma la divina voluntà e disposizione ce l'ha mandata. Perché veduto con quanto sforzo si erano opposti questi cittadini grandi e che vogliono tenere soggiogati gli altri, perché sì santa legge non si ordinassi, era già quasi opinione universale di tutta la città, che quello che con tante arte sue non avevano potuto ottenere direttamente appresso a molti che la non si vincessi. l'avessino a conseguire per indiretto apresso a pochi, provedendo che la esecuzione sua restassi vana con operare tanto con favori e con minacci ancora, che mai da' giudici nessuno potente fussi condannato.

Alla quale opinione non so se più vituperosa o perniziosa alla republica mi sono arditamente opposto io, anzi per dire più el vero non io, ma lo onnipotente e sommo Dio, manifesto protettore della nostra città, avendomi messo in animo di chiamare in giudicio con inestimabile iubilazione di tutto questo popolo, non uno cittadino incolpato di oscuri e leggeri errori, non di qualità sì piccole che e la pena sua facessi poco utile alla republica, e la assoluzione poco danno; ma messer Francesco Guicciardini, uomo rubatore de' danari publici, saccheggiatore del nostro contado, uomo che ha esosa la vita privata, desideroso del ritorno de' Medici, amatore delle tirannide, occupatore del vostro Palazzo, inimico capitalissimo della commune libertà, e finalmente pieno di sì gravi, di sì noti e di sì odiosi peccati che non è possibile che sia assoluto, e nondimeno sì potente che el condannarlo abbia a essere di grandissima utilità sì per levare via ed estirpare questa peste della republica, sì molto più per lo esempio e per chiarire al tutto ognuno che in questi nuovi giudici ha a potere più, come è conveniente, la verità, la religione e la severità de' giudici che qualunque altro rispetto o corruttele.

A questa impresa se non m'avessi spinto lo amore della republica, ed el desiderio grande che io ho di vedere bene assicurata la nostra libertà, ed el cognoscere che uno de' vivi fondamenti che la possi avere è el terrore ed el freno di questa legge, siate certi, giudici, che nessuno altro rispetto mi arebbe mosso; perché né con lui ho particulare inimicizia, anzi da' teneri anni ho avuto seco conversazione e benivolenzia, né le condizione mie sono i tali che io non abbia a tenere conto grande di tanti inimici che mi nasceranno da questa accusazione, né la natura mia come può sapere ognuno, è stata inclinata mai a offendere altri, né a pigliare piacere delle incommodità di persona, né è tanta la laude che io spero se sarà condannato, perché questo faranno per se medesimo, sanza alcuna industria dello accusatore, e' suoi peccati sì enormi, sì pericolosi e sì chiari, quanto sarebbe el biasimo se fussi assoluto; perché più resta negli uomini la memoria di quello che è molesto che di quello che piace, e sempre dove le imprese succedono male è più avuto lo occhio allo evento che al consiglio.

Ma non mi lascia la natura del caso avere questa paura; perché se in messer Francesco fussi solo el peccato della ambizione ed el pericolo che da' suoi cattivi fini porta la libertà della città, ma el resto della sua vita non fussi maculato da peccati gravissimi, o se per el contrario e' costumi fussino corrotti, ma lo animo e le condizione aliene da turbare lo stato della republica, io dubiterei forse che o la integrità degli altri costumi lo difendessi da' carichi della ambizione, o che el non essere lui formidoloso alla libertà facessi che a scusare gli altri peccati valessino più che la giustizia, gli immoderati favori ed estraordinari mezzi che voi vedete che usano gli amici e parenti suoi. Ma concorrendo in lui tutte queste cose ed in modo che non si possi facilmente discernere quale sia maggiore o lo odio o el pericolo, nessuno è che abbia mai dubitato quali abbino a essere le vostre sentenzie, nessuno che non l'abbia tenuto per condannato el dì medesimo che fu chiamato in giudicio. Perché per cominciare da' peccati della avarizia e delle rapine e sacchi fatti al paese, e' quali io vi metterò in modo innanzi agli occhi, che più sarà maraviglia che questi giudici, che questo popolo ti possa guardare, ti possa udire, che non sarebbe se tutta la città non potendo sopportare tante sceleratezze e che una peste sì pestifera stessi tra noi, ti corressi furiosamente a casa o facessi sentire a te, alle facultà ed alle figliuole tue giustamente quelli medesimi mali che per tua colpa hanno sentito ingiustamente tanti altri; io dico che messer Francesco Guicciardini ha rubato in questa guerra somma infinita di danari nella nostra comunità; ha per potergli rubare concesso a' nostri soldati che vivino a discrezione nel nostro paese, che non vuole dire altro che avergli consentito che rubassino e saccheggiassino ogni cosa come di inimici; e quella autorità che gli era stata data per difendere e conservare lo stato nostro l'abbia usata a metterlo in preda. Credo che el medesimo abbia fatto in quello della Chiesa; ma io non mi querelo delle ingiurie di altri, perché le nostre sono sì grandi che abbiamo da fare pure troppo a risentirci de' nostri mali. Non parlo calunniosamente, non accusatoriamente, perché la cosa che ha tanti testimoni, tante chiarezze che non si può nascondere, non si può sfuggire. Non dice questo uno solo, non dua, non tre, non quattro, non sei, non dieci; non persone sospette, non inimiche, non persone che non avessino avuto da temere di darti calunnie false; ma lo dicono cento, dugento, trecento, cinquecento, mille uomini: lo dice finalmente uno esercito intero, uno esercito beneficato da te, uno esercito che stava a obedienzia tua, uno esercito che arebbe avuto timore di te a accusarti a torto, che arebbe sperato da te a scusarti falsamente. Lo dicono tante provincie intere: la Romagna suddita a noi, el Mugello, el Casentino, Val di Pesa, el Valdarno, l'Aretino, el Cortonese: diconlo tutti quelli che abitano intorno a queste città, le nostre ville, e' nostri borghi; direbbonlo se sapessino parlare gli uccelli, le pietre, gli arbori, direbbonlo le mura e le torre nostre dalle quali si sentivano e' pianti de' poveri contadini, le stride delle meschine fanciulle.

Esaminerannosi moltissimi de' vostri cittadini, persone degnissime di fede, e' quali udirete testificare che non una volta, né dua, né tre, ma infinite hanno in diversi luoghi sentito dire a tutto lo esercito che non erano pagati, e che però avevano avuto licenzia di vivere a discrezione; e nondimeno vi si mostrerrà ne' libri che lui medesimo produce, che è messo ogni mese a uscita la paga loro, (leggi la copia delle partite). Quello medesimo che dicono e' cittadini vostri, diranno e' vostri contadini, e' cortonesi, e' romagnoli, gli aretini, infiniti vostri sudditi; il che sento che ancora dicono e' piacentini, e' parmigiani, e' bolognesi e tutta la Romagna della Chiesa; ne' quali luoghi come nel paese nostro sono state infinite le rapine, moltissimi gli incendi, non pochi gli omicìdi, violate innumerabili donne di ogni età e qualità, vecchie, giovane, fanciulle, maritate, vedove, vergini. Quante castella e terre vostre sono state saccheggiate con maggiore crudeltà che non arebbono fatto gli inimici!

Io vi priego, popolo, che udiate pazientemente, e che udendo tante indegnità, tante iniquità, tanti vostri danni, non vi concitiate a furore, non lapidiate questo morbo: contentiatevi, poi che la cosa è qui, che sia gastigato da' giudici; perché se bene sarebbe stato forse più utile e più secondo la degnità di questa città e più terrore degli altri, innanzi che fussi accusato averlo a furore di popolo esterminato, averlo abbruciato in casa, averlo per eterna memoria tagliato a pezzi in sulle porte di questo palazzo, la autorità del quale ha violato in tanti modi; quivi a' piedi di quella Iudith, acciò che uno medesimo luogo fussi memoria dell'onore di chi ha conservato la patria, e del supplicio di chi l'ha oppressa; pure ora che la causa è introdotta, che el caso è in giudicio, sarebbe forse di malo esempio amazzarlo: mentre dice la causa, mentre che è innanzi a' giudici, lasciate vi prego correre el giudicio. Avete giudici uomini prudenti, uomini virili, integri, amatori quanto si può della nostra libertà: non possono errare per non cognoscere quanto importi questa condannazione; non sono per temere minacci vani, non per lasciarsi corrompere a' prieghi o altri mezzi; sanno la vostra voluntà; non è pericolo che la giustizia sia violata, non che della salute commune sia tenuto poco conto, non finalmente che se a loro non è mancato chi accusi, che se a me non manca materia di accusare, che a voi ed alla republica manchino giudici.

Io vi dico di nuovo che per la inaudita avarizia di messer Francesco è stato distrutto el paese vostro, sono state distrutte tante provincie, ripieno ogni cosa di rapine, di incendi, di violazione di donne, di vergine, di omicìdi, saccheggiate tante vostre castella da vostri soldati con più crudeltà che non arebbono fatto gli inimici. Testimonio di quello che io dico è Barberino, el Borgo a San Lorenzo e Decomano, testimonio el Pontasieve, testimonio San Casciano, testimonio quelle ricche e belle castella di Valdarno e quasi simile a città, Fighine, San Giovanni e Montevarchi, trattate con tanta impietà, con tanta crudeltà che ebbono invidia a Laterina, a Quarata, alla Chiassa ed agli altri luoghi dove stettono gli spagnuoli. Feciono cento volte peggio a' sudditi nostri e' nostri soldati chiamati, per chi ogni mese davamo le paghe a messer Francesco, che non feciono gli inimici. Non parlo del consumamento de' grani e delle biade; non parlo de' vini de' quali quelli che avanzavano alla ebrietà militare, erano, sfondate le botte, sparsi per le volte e per le cantine che erano per tutto come laghi; non parlo delle bestie, delle quali quelle che non potevano mangiare erano condotte via a vendersi in altre provincie, ed infinite ne erano lasciate morte per e' campi in preda a' lupi: non parlo né mi lamento di queste cose.

Sia una licenzia militare, quando el paese è dato a discrezione, non solo in quello che si mangia, ma ancora in tutto quello che si può mangiare; abbino questo privilegio più che le altre le discrezione di messer Francesco; ma le masserizie, le robe mobili delle case, di che le nostre ville ed e' nostri palazzi erano forniti, le mercatantie di che quelle terre massime del Valdarno erano piene, andavano ancora loro sotto la medesima discrezione: non restò per le case e per le botteghe dove loro furono, cosa alcuna di qualunque sorte che si potessi portare via; dicevano essere loro date in pagamento. Né solo quello che si poteva portare, ma le bellezze ed ornamenti de' vostri palazzi rompevano, distruggevano, rovinavano. Già gli incendi quanti furono per tutto el paese! Vedevansi per tutto abruciare le case, sentivansi e' romori delle cose che si rompevano e fracassavano, combattevansi per tutto le castella che non volevano aprire, le torre forti, le tenute, praticavasi ogni esempio di avarizia, di libidine, di crudeltà, in che ebbono maggiore facultà, perché nessuno era fuggito, ognuno o almanco la più parte gli aveva aspettati come amici. E chi arebbe creduto altrimenti di un esercito nostro, menato da uno nostro cittadino? Chi arebbe pensato che uno figliuolo di Piero Guicciardini fussi una sentina di tante sceleratezze, che di uno padre tanto buono, tanto costumato, tanto catolico fussi uscita una pianta sì pestifera? Quanti furono gli sforzamenti delle donne, quante le bastonate e ferite degli uomini, quanti gli omicìdi? Erano per tutto presi e' vostri contadini, e' vostri sudditi, e' vostri fattori: erano constretti a ricomperarsi, a pagare la taglia a' nostri medesimi.

Ma che mi dolgo io de' contadini, de' sudditi? Volessi Dio che tanta crudeltà si fussi saziata in loro, non fussi passata più oltre. E' nostri cittadini erano fatti prigioni, erano taglieggiati, erano tormentati, e' nostri cittadini che avevano impegnato el suo, che s'avevano cavato el boccone di bocca per pagare gli accatti e l'altre gravezze perché e' soldati avessino danari, e' nostri cittadini che quando andavano per e' nostri eserciti solevano essere alloggiati, essere carezzati, essere onorati da tutto el campo; ora da' loro soldati medesimi, da quegli per chi avevano provisto le paghe, da quelli che avevano chiamati, che avevano alloggiati insino nelle nostre viscere, erano spogliati, erano assassinati, erano presi, erano legati, erano tormentati. Dimandate e' soldati perché consumarono e' vostri grani, e' vostri vini, le vostre bestie: vi diranno che per non essere pagati era necessario vivessino di quello che trovavano; dimandateglí perché saccheggiorono e venderono le masserizie e le mercatantie, perché feciono e' prigioni: vi diranno che perché pure bisogna al soldato altro che mangiare, gli era dato licenzia da messer Francesco di fare questo; dimandategli perché sforzorono le donne, perché abruciorono tante case, perché amazzorono tanti uomini, perché fracassorono e rovinorono tanti ornamenti, perché feciono tanti mali sanza alcuna loro utilità: vi diranno a una voce che vedendo che messer Francesco non aveva alcuno rispetto, alcuna umanità, alcuna pietà alla sua patria ed a' suoi cittadini, credevano portassi loro odio e gli avessi per inimici, e però quanto peggio facevano, tanto più pensavano di fare cosa che gli fussi grata.

O ribalderia, o sceleratezza inestimabile, o impudenzia singolare, o incredibile pazienzia e dolcezza del popolo fiorentino! Tu doppo avere fatto tanti mali, offeso in tanti modi e sì atrocemente ognuno in publico ed in privato, doppo averci fatto peggio che non feciono mai gli inimici, doppo averci dato a sacco per tôrci e' nostri danari, doppo l'averci assassinati ed amazzati con le arme nostre, con le arme che noi t'avavamo dato per nostra difesa, hai ardire tornare nella città, andare alla signoria, venire ogni dì con faccia piena di audacia in publico; chiamato in giudicio hai ardire di comparire, hai ardire di sperare di essere assoluto; e questo popolo è sì dolce, sì buono e sì paziente che non ti lacera? Credevo che non ti bastassi l'animo di entrare in Montevarchi o in Fighine, ed io ti veggo ogni dì in Palagio ed in piazza: veggoti ogni dì innanzi a' giudici con tanta fronte, con tanta impudenzia come se tu fussi cittadino e non crudelissimo inimico di questa città, come se tu fussi defensore della patria e non sceleratissimo predone e corsale, come se tu fussi conservatore di questa libertà e non uno immanissimo e pestifero tiranno.

Ma non è maraviglia, giudici, che dove abitano tante sceleraggine non sia faccia, non sia vergogna, non vi sia segno alcuno benché minimo di animo modesto, di animo composto ed ordinato, di animo simile a quello degli altri; anzi sarebbe da maravigliarsi se fussi in contrario, perché non può essere né rispetto né vergogna dove è uno recettaculo, una sentina di sì enormi e dannosissimi peccati; e come dicono questi savi che mal volentieri si può avere una virtù che non se n'abbia molte, così uno vizio può difficilmente essere solo, e quanto uno peccato è maggiore, tanto meno può essere sanza molti e gravi compagni. E certo, giudici, quando io considero quanti e quanto atroci delitti concorrono in uno fatto medesimo, non so trovare né vocabulo che lo esprimi, né immaginare supplicio che basti a punirlo: perché non solo è suo peccato quello che ha fatto egli, ma non manco quello che lui ha permesso ed è stato causa, e molto più quello che è stato di suo ordine, di sua commissione.

Direno che sia furto per avere rubato e' danari delle paghe? Ci sono ancora tante rapine fatte per forza e publicamente da' soldati, ci sono le violazione di tante donne, ci sono tanti omicìdi. Direno che sia avarizia? Ci è in compagnia tanti esempli di lussuria e di crudeltà, ci è il sacrilegio, perché non manco sono andate a bottino le chiese ed e' luoghi pii che e' profani. Direno che sia uno peccato che abbia tre teste come dicono e' poeti di Cerbero, lussuria avarizia e crudeltà? Ci è congiunto el tradimento: saccheggiato sì impiamente, sì sceleratamente tutto el nostro paese, assassinato tanti nostri cittadini con quella autorità, con quelle arme che t'avevano confidato per sua difesa. Direno che sia parricidio? Oh, e' non è stata offesa la patria sola, ma el publico, el privato, e' sudditi, gli amici, e' vicini. Non ci è nome che basti, non Demostene, non Cicerone lo saprebbono fabricare; è uno peccato che ha più capi che l'Idra, uno morbo, una fiamma, uno fuoco, uno inferno; è uno peccato che non cento mannaie, non cento forche, non tutte le pene insieme che si possono dare agli altri peccati, sarebbono bastanti a punirlo. E tu ancora ardisci difenderti, ancora procuri la assoluzione? Quanto meglio faresti, quanto saresti più laudato a rimuoverti dal giudicio, a non comparire più qua, a non rinnovare ogni dì tante acerbe piaghe, a tôrti da te medesimo la sentenzia: mostrerresti pure non essere acciecato totalmente, d'avere ancora qualche vestigio di vergogna, d'avere qualche stimulo di conscienzia, e dove non puoi diminuire la pena, non cercheresti di accrescere più la indignazione, non di concitare più lo odio.

Perché io ti domando: con che speranza vieni tu a difenderti, in che confidi? Speri tu nella eloquenzia tua? Maggiore sono le tue sceleratezze che si possino scusare o negare. Speri tu di potere allegare qualche beneficio fatto a questa città? Oh tu sei uno esemplo di tutti e' mali che può fare uno cittadino alla patria. Speri tu nella nostra buona natura, nella dolcezza di questo popolo e di questi giudici? Troppo sono fresche le ingiurie che tu hai fatto in universale ed in particulare a tutti; troppo sono grande a dimenticarsele; troppo è el pericolo ed el danno che s'arebbe del perdonarti. Nessuno è di questi giudici, nessuno è in tanto concorso e moltitudine d'uomini che non sia stato atrocemente offeso da te o per te; a chi saccheggiata la roba, a chi abruciata la casa, chi fatto prigione, chi tormentato; quelli che hanno patito manco, hanno per e' furti e rapine tue pagato tanto di gravezza, che è bisognato o che patischino nelle cose necessarie, o che consumino el capitale che avevano disegnato per le dote delle figliuole, o che vi provedino con stocchi e trabalzi. Dirai che speri ne' danari e mezzi tuoi? So bene che hai rubato tanto che aresti modo a corrompere dieci giudici, dua città intere, ma sono giudici troppo buoni, troppo integri, troppo amatori della libertà; cognoscono quello che non hai cognosciuto tu, quanto più vale l'onore che e' danari.

Speri tu impaurirgli o spaventargli? Ti veggo bene el volto pieno di audacia, ti veggo pieno tutto di superbia e di stizza; ti pare avere gli eserciti teco, ti pare che abbiamo tuttavia paura che tu non ci dia un altro sacco. So bene che queste sono le voglie tue, che questi sono e' tuoi desiderii; ma è passato el tempo tuo: hai a vivere privato, hai a vivere abietto, hai a vivere odioso a ognuno, sanza forze, sanza autorità, sanza grazia, peggio veduto che una fiera, peggio voluto che una biscia; sanza che, quando bene tutte queste cose potessino tornare, sono e' giudici sì animosi e sì virili che non per questo mancheranno di fare quello che sanza eterna infamia non possono fare el contrario. Speri tu nel favore e riputazione de' parenti, nello aiuto di tanti amici, ne' diguazzamenti che per te fanno tutti e' partigiani de' Medici? Non vedi tu infelice che non è più el tempo che si spendino queste monete? Che la città è libera, non più sotto e' tiranni? Che dominano le legge e la giustizia, non più gli appetiti de' privati? Che gli amici de' Medici, per la memoria di quelli tempi e di quegli scelerati fini, affaticandosi per te ti offendono e ti nuocono? Che e' parenti tuoi in tanto atroci peccati, in tanto odio universale, in tante grida di tutti, non solo non ti possono giovare, ma se fussono de' giudici tutti e' Guicciardini e Salviati sarebbono constretti a condannarti? In che speri tu adunche? Udiamo per l'amore di Dio queste sue egregie difese.

Allega che tutti e' danari che si sono spesi in questa guerra sono andati in mano di Alessandro del Caccia, e che nessuno n'ha ricevuto lui, e che per e' libri di Alessandro apparisce che e' danari sono stati spesi ne' soldati e negli altri bisogni, e che a' libri e scritture si debbe credere più che alle parole degli uomini, più alle persone proprie che a quelle che non sono intervenute nel negocio; difesa certo notabile e conforme alla impudenzia tua, perché se la verità non constassi per altra via io confesso che la necessità ci sforzerebbe a credere a' libri e ci staremo a quegli non tanto per la fede che noi gli prestassimo, quanto perché non aremo el modo di fare altrimenti. Ma dove la verità è manifestissima, dove sono le pruove sì chiare ed evidenti, non bisogna che lui mi meni alle conietture. Dico che messer Francesco ha rubato e' danari nostri, e vi do testimoni non uno, né dua, non a decine, non a centinaia, ma a migliaia: testimoni di ogni sorte, di ogni qualità e di ogni nazione, e testimoni che non avevano interesse a dirlo, più presto potevano avere rispetto a tacerlo; in contrario non veggo se non uno testimonio, Alessandro del Caccia. Chi ha ricevuto e' nostri danari? Alessandro del Caccia. Chi dice che e' danari nostri sono stati bene spesi? Alessandro del Caccia. Chi che messer Francesco non gli ha avuti? Alessandro del Caccia. Chi ha scritto in su questi libri, in su questi vangeli? Alessandro del Caccia.

Tutto questo giuoco è segnato come una caccia. Dunche in una causa privata, in una causa minima non è creduto uno testimonio solo, quando bene non vi siano altre pruove in contrario, e si ammetterà uno testimonio solo in una causa publica, in una causa di tanta importanza e dove in contrario sono le migliaia de' testimoni, in modo che se noi vogliamo attendere el numero, che comparazione è da uno esercito a uno uomo? Se la degnità delle persone, che sono quelle cose che si considerano ne' testimoni, sarà bene cosa grande che in uno esercito intero, tra tante nobiltà, tra tanti signori, tra tanti capitani non siano testimoni di maggiore degnità che Alessandro del Caccia. El quale se tutte le altre cose concorressino, è sospetto in questo caso, perché non è da credere che abbia consentito che un altro rubi, che anche lui non voglia essere in parte della preda; e si crederrà a uno testimonio che scusando messer Francesco scusa sé, che non può accusare lui che non accusi sé? Si crederrà alle scritture tenute per mano di chi è stato compagno al furto? Come sia da maravigliarsi che chi non è stato ritenuto né dalla vergogna, né dalla paura, né dalla conscienzia a fare tanto assassinamento, non gli sia bastato l'animo a fare uno libro falso!

Dimmi Alessandro del Caccia, tu che sei mercatante, che sei uso a maneggiare danari, che sai quanto importano queste cose, parevat'egli onesto che una somma infinita di danari, tante centinaia di migliaia di ducati si maneggiassino così sobriamente, così asciuttamente ed in modo che se n'avessi a prestare fede a te solo? Come non si accompagnava el detto tuo con le ricevute di chi gli ha avuti, con le fede delle terze persone, con tante chiarezze come facilmente si poteva, che non si lasciassi luogo da dubitarne? Quello che e' mercatanti cauti fanno nelle centinaia di ducati, non ti pareva conveniente doversi fare in sì grossa quantità? Quello che tu eri solito fare negli interessi mediocri di Iacopo Salviati, non ti pareva debito farsi nello stato della tua patria? Avevavi accecati tutt'a dua tanto la avarizia ed el peccato, che voi credessi che uno furto sì smisurato e che toccava a tanti, non avessi a venire a luce? Credevi voi che in questa città fussisi poco ingegno, sì poco discorso, sì poca esperienzia che questi conti, che per loro non hanno lume alcuno ed in contrario hanno tante ripruove, vi fussino ammessi? Sono certo non ci stimate però sì poco che lo credessi; e se avessi pensato averne a rendere el conto qui, saresti stati o più vergognosi a fare el male o più ingegnosi a dargli colore. Ma la cosa giace qui, el punto è questo: credesti, poi che la guerra si maneggiava in nome del papa, poi che eri in campo come ministri suoi, averne a dare conto a Roma, dove le cose vanno alla grossa, dove si corrompe ognuno, dove el papa sarebbe stato come per el passato cosi liberale de' danari di altri, come sempre è stato stretto de' suoi, dove la autorità di messer Francesco arebbe serrato la bocca a ognuno, dove el favore di Iacopo Salviati arebbe difeso Alessandro. E chi sa anche se Iacopo è a parte di questo furto, perché la preda è sì grossa che a pena si può credere che messer Francesco solo, benché abbia lo stomaco grande, l'abbia smaltita, che una rete sola l'abbia tenuta; né lui si stima sì poco che a Alessandro solo avessi voluto dare dieci soldi per lira. Questo è verisimile: avevano fatto tutt'a dua la lega intorno al papa; Iacopo aveva procurato di farlo venire a Roma, l'uno rimetteva la palla in mano all'altro; è credibile che come erano compagni alla ambizione, fussino ancora compagni alle prede.

Vedete, giudici, come tuttavia si chiariscono più le cose, e come cercando uno delitto se ne truova dua, cercando uno ladro se ne truovono parecchi: col furto veggiamo la falsità de' libri, con messer Francesco ladro vediamo ladro Alessandro del Caccia, scorgiamo qualche pedata di Iacopo Salviati, siamo in luogo che tutto verrà in luce: così vuole la divina giustizia, cosi vogliono e' peccati vostri. Strignete pure alla restituzione messer Francesco, come è conveniente, sendo lui el principale che si vede, sendo quello che aveva autorità di dispensare el danaro, quello a chi toccava a fare pagare e' soldati, che aveva a commettere tutte le spese: vedrete che per non volere pagare la parte di altri, sarà sforzato a cavare fuora el libro segreto, a scoprire e' compagni, a pregarvi che voi riscotiate da ognuno la parte sua. Allegherà che nel tempo che ha governato le terre della Chiesa è stata predicata la sua integrità, e che non è credibile che se ha cercato buono nome nelle terre di altri, l'abbia voluto cattivo nella patria; produrrà testimoni, fede, lettere di quelle comunità, e vorrà che noi crediamo più alle cose da lontano e che ci sono e' monti in mezzo, che a quelle che abbiamo innanzi agli occhi.

Io non so di che qualità tu sia stato nelle terre di altri, né mi curo di cercarlo, ma dico bene che sei stato tristo quivi. Non è miracolo che tu abbia continuato nel male, perché chi comincia a farne abito va sempre peggiorando; se sei stato quivi buono, tanto minore scusa meriti, tanto più sei degno di odio, sendoti dato al male non in età giovane, non quando eri povero, che arebbe pure qualche compassione, ma quando eri già ricco, quando eri in su guadagni grossissimi, quando avevi già passato quaranta anni, in modo che non si può averti né misericordia né perdono; e se in tale età, in tale esperienzia hai cominciato a diventare tristo, né ti sei curato di perdere el nome di buono, quanto più facilmente ora e con quanto minore rispetto, pure che n'avessi occasione, continueresti nel male! Rimuovi adunche questi tuoi testimoni lombardi e romagnuoli, queste tue carte mendicate dalle comunità, perché né fo difficultà di accettare né durerei fatica di riprovarle. So bene come si vive in coteste città, so che quegli uomini che non ebbono mai né libertà né imperio, cognoscono solo lo interesse loro, ed el fare piacere a più potenti di loro; non hanno nelle cose loro gravità, non vergogna, non conscienzia; sono non manco servili con l'animo che con la necessità; una raccomandazione in Lombardia di uno conte, uno priego in Romagna di uno governatore, uno cenno di uno vescovo non che di uno cardinale, gli farebbe ogni dì fare mille sagramenti falsi; e quello che fanno a casa loro e che si sanno per ognuno, che conto credete che tenghino di farlo negli interessi di altri, ed in luogo dove pensano che non sia ripruova? Non fui mai io in Lombardia né in Romagna, ma non sono però sì povero di amici, né ha alla fine sì poche forze la verità, che se la importanza della causa consistessi in questo, non mi fussi dato l'animo affogarti nelle lettere e ne' testimoni, ma per essere cose leggiere e di nessuno momento, mi pare perdere queste poche parole che io ci consumo drento, e mi incresce che tu abbia perduto la spesa e la fatica per condurre in qua tanti suggelli.

È adunche il furto chiaro ma non già la quantità, perché la non ha regola, non ha misura, non ha certezza; tanto ha rubato quanto ha voluto; pensate dunche quanto è stato; non vi aggiugne già lo arbitrio mio, non lo capisce la immaginazione, come s'ha dunche a liquidare? Giudicherete che quello che non potrà fare constare legittimamente d'avere speso, tanto abbia a restituire, perché chi è debitore alla entrata è obligato a provare la uscita. Si farebbe così in ogni uomo buono, perché non è giusto che la negligenzia faccia male a altri che a sé; quanto più si debbe fare in uno che s'ha certezza che sia tristo. Se questo modo di procedere non vi piacerà, giudici, le legge hanno provisto per altra via: vogliono che ogni volta che el danno è certo, ma la quantità incerta, si stia al giuramento dello attore, né può lamentarsi di questo rigore chi con le ribalderie sue è stato causa che bisogni usare questo rigore. Avete udito, giudici, le rapine ed e' mali causati dalla avarizia sua; non tutti, perché era cosa infinita ed impossibile, ma quegli che io v'ho saputo proporre. Udite ora e' peccati della ambizione ed e' pericoli che se non sì provedessi porterebbe da lui la nostra libertà.

Io dico che in questa città non è cittadino alcuno che abbia ricevuto tanti benefici da' Medici quanto ha lui; nessuno che della ruina loro abbia perduto più che lui; nessuno che del ritorno e grandezza loro fussi per guadagnare più; nessuno finalmente a chi s'abbia a credere che per molte ragione dispiaccia più la vita privata; perché gli altri tutti o hanno avuto da' Medici manco di lui, o se alcuno ha avuto più, non è stato dato a lui ma al parentado, a qualche antica servitù, a qualche beneficio fatto loro nel tempo delle sue infelicità. Quelli che hanno avuto o danari o benefici o altra utilità, se le tengono, né l'hanno perduto per la ruina loro, né sono certi d'avere a cavare utilità del ritorno loro; e ciò che hanno avuto non è stato per modo che gli abbia dato causa o necessità di spiccarsi con lo animo o colle opere dalla civiltà. Ma costui non aveva co' Medici congiunzione alcuna di sangue, non alcuno vinculo o dependenzia se non una generale, che con loro aveva avuto anticamente la casa sua, la quale per molti anni e vari accidenti che erano occorsi, era già quasi fuora della memoria degli uomini; e nondimeno ha avuto da loro undici continui anni, magistrati ed amministrazione onoratissime e grandissime, di che ha cavato guadagno ed utilità inestimabile e tanta riputazione e grandezza che si può dire che sono già molti anni e forse qualche età, che non uscì di Firenze cittadino che stessi fuora maggiore e più onorato di lui. Né gli ha avuti per tempo determinato, ma con certissima speranza d'avergli a tenere durante la vita del pontefice, apresso a chi era in tanto grado, che gli fussi concesso governare per sustituti una provincia grande ed importante come è la Romagna, avessi in tempo di guerra la cura di tutti gli eserciti ed arme sue, e nella pace fussi eletto a stargli apresso per consultore ed espeditore di tutte le faccende maggiore. Luoghi di tanta grandezza e di tanto profitto che non si può porre termine a questi guadagni uno, dua o tre migliaia di ducati l'anno, ma sono somme incerte ed infinite; e la riputazione non è minore, perché chi è sì grande apresso a uno papa è in notizia di tutta Italia, è osservato da tutta la corte, adorato da tutto lo stato della Chiesa, e finalmente è ancora grande e riputato apresso a tutti e' prìncipi del mondo; e per essere apresso a uno papa che aveva usurpato el governo di questa città, ci aveva così abundante quella autorità e grandezza, che lui medesimo voleva, ed era in potestà sua disporre per e' parenti ed amici suoi e per chi gli pareva, delli onori ed utili che ci sono. Perché come poteva negare tali cose el papa a uno che avessi in mano tutti e' segreti e tutto lo stato suo? e come quegli che erano qua vicari suoi, poi che la indignità in che era allora questa povera città mi sforza usare questo vocabulo, potevano fare di non consentire ogni cosa a uno che era di continuo agli orecchi ed in tanto credito con quello principe, da chi dependeva tutto el bene e la speranza loro?

Tutte queste cose adunche tanto utile, tanto grande, tanto onorevole ha perduto messer Francesco per la ruina de' Medici; tutte e forse maggiore spererebbe recuperare per la esaltazione loro; ma mentre che stanno depressi, come desiderano tutti buoni, è restato sanza guadagni, sanza potenzia, sanza autorità, fuora della memoria ed esistimazione de' prìncipi, e qui pari a tutti voi a chi gli pareva potere comandare, ed a molti de' quali si sarebbe quasi sdegnato di parlare. E dove soleva dominare a nobile e magnifiche città, dove negli eserciti era obedito da' principali signori e gentiluomini d'Italia, dove già undici anni è stata la casa, la vita, la spesa e la corte sua non da privato ma da principe, ora gli sono mancati e' guadagni, gli è mancata la autorità, sta sottoposto alle legge ed alla esistimazione degli uomini, e bisogna ancora che aspro gli paia che viva in casa e fuora in dimostrazione ed in effetti così privatamente, così abiettamente come fa ciascuno di noi.

Non crediate, giudici, che quelle città che lui ha governato siano povere e debole come sono quelle del vostro dominio; non crediate che chi le governa per la Chiesa vi stia con poca corte, con poco braccio o con la autorità limitata come stanno e' vostri rettori; e' quali per avere poco salario, per vivere obligati alle legge vostre, per avere vicina la città dove e' sudditi ogni di hanno ricorso, si può quasi dire che in fatti ed in apparenzia siano poco meglio che privati. Ma immaginatevi città grande, abundanti, ricche, piene di nobilità, piene di conti e di baroni, dove e' governatori hanno gli emolumenti ordinari ed estraordinari grandissimi, dove hanno la autorità molto maggiore: non sottoposta a legge o regola alcuna, è tutta in arbitrio loro. Per essere el papa lontano ed occupato in cose molto maggiore, non possono avere e' sudditi ricorso a lui se non con grandissima spesa e difficultà, e con pochissimo profitto; in modo che reputano per manco male sopportare da' governatori le ingiurie che gli sono fatte, che cercando el remedio perdere tempo e danari, e provocarsi più chi di nuovo gli può ingiuriare; e però uno governatore ed è e pare signore di quelle città.

E certo se voi avessi veduto, giudici, messer Francesco in Romagna, come credo che qui siano presenti molti che l'hanno veduto, con la casa piena di arazzi, di argenti, di servidori, con el concorso di tutta la provincia, che dal papa in fuora, quale rimetteva totalmente ogni cosa a lui, non cognosceva altro superiore, con una guardia intorno di più di cento lanzchenech, con alabardieri, con altre guardie di cavalli andare per la città in mezzo sempre di centinaia di persone, non cavalcare mai con manco di cento o centocinquanta cavalli, affogare nelle signorie, ne' titoli, nello illustrissimo signore, non l'aresti ricognosciuto per vostro cittadino, per simile a voi; ma considerata la grandezza delle faccende, la autorità smisurata, el dominio e governo grandissimo, la corte e la pompa, vi sarebbe parso più presto equale a ogni duca che a altro principe. Così quando era negli eserciti, non vi immaginate vedere uno vostro commissario, che per non essere e' campi nostri più grossi, né la autorità della città maggiore di quello che la sia, e per molti altri rispetti, può parere grande negli occhi di ognuno, ma non supremo: non era così lui, trovandosi con tutta la autorità in mano di sì grande principe come era uno papa, capo sempre e principale delle leghe in eserciti grossissimi, e dove erano tutti e' grandi capitani e signori di Italia, tanti gentiluomini, tanta nobilità; dove avendo grandissima occasione di fare utilità e riputazione a molti, era non solo onorato ma quasi adorato.

Infiniti erano e' concorsi, gli spacci, le faccende, le lettere delli imbasciadori, [de] prìncipi e de' duchi, insino del re di Francia, che gli venivano. Già lui con le dimostrazione, co' pensieri, con le voglie, con tutte le azione non sapeva più di privato; già le parole, e' modi, la alterezza, el volere essere ubidito ed inteso a cenni, non erano altrimenti che di uno che fussi nato e vivuto sempre da principe, e che sempre avessi a vivere principe e morire. Fastidiva il titolo di commissario come inferiore alla grandezza sua: faceva chiamarsi luogotenente, che non è altro che dire di essere el medesimo che el papa. E crediamo che chi ha perduto tanto, non sia malcontento della ruina de' Medici? Chi spera recuperare tanto, non desideri dì e notte la grandezza loro? Chi è uso tanti anni a vivere così, possa stare sotto la vita privata, possa fermare el capo sotto uno de' nostri cappucci? Uno di noi se esce de' signori, sta uno mese innanzi che possa assettarsi alla vita di prima; e nondimeno è officio di dua mesi preso da noi con animo di lasciarlo; è limitato, accompagnato, e che a dire el vero ha di signore poco altro che 'l nome. E noi crediamo che uno che già undici anni continui ha avuto tanta utilità, tanta riputazione, tanta grandezza, tanta pompa ed onori, e nella quale ha sempre pensato e sperato più quasi perpetuarla che finirla, possa sopportare pazientemente la vita privata, possa vedersi spogliato di tutte quelle cose che lo facevano differente dagli altri, possa sopportare che noi mediocri cittadini gli siamo pari, parliamo delle cose della città, o seco o sanza lui come di cosa commune; non si vergogni d'averci per compagni ne' magistrati, possa tollerare d'avere a essere vegghiato e giudicato da' nostri pari, d'avere a essere finalmente condannato da voi?

Non è così, giudici, non è. Non solo tutti e' suoi pensieri e disegni non hanno altro fine che ritornare a quello che ha perduto; ma chi potessi sapere la verità, tutti e' sogni della notte non sono pieni di altro che di guardie, di staffette, di governi, di eserciti, di signori e di tiranni. E certo, come io sono naturalmente inclinato più a pensare e desiderare el bene, che a interpretare male, se io non vedessi nel resto della vita sua manifesti effetti, se io non lo vedessi avarissimo, io mi lascerei facilmente persuadere che avessi lo animo quieto, e che essendosi goduto modestamente tanti anni quello bene che la fortuna gli aveva dato, ora si accommodassi facilmente a quello che succede, come prudente che è, e finalmente come buono non tenessi più conto delle particularità sue e degli oblighi che ha co' tiranni, che del bene universale e della libertà della sua patria. Ma quando mi rivolgo nella mente le opere sue e la vita passata, e ricognosco e' costumi e cattivi fini suoi, e quello che sempre è stata la natura sua, la ragione mi vince, e mi bisogna, ancora che io non voglia, acconsentire e confessare che lui non desidera e pensa a altro che potere satisfare alle cupidità sue, e ritornare in quella vita dove pensa che consista la felicità.

Ricordomi averlo cognosciuto e conversato seco quando era giovanetto: non si potrebbe dire quanto era inquieto, quando desideroso di governare gli altri compagni suoi, ed essere sempre el primo fra tutti, nelle compagnie o come diciamo noi nelle buche, pieno di sètte e di praticuzze, seminatore di discordie e di scandoli. Che io non finga queste cose vi farò constare, giudici, perché de' compagni nostri vivono molti degnissimi di fede, quali mi rendo certo che esaminati non negheranno la verità, e vi diranno più oltre che tra noi tutti era tanto nota questa sua inquiete ed ambizione, che alcuni de' nostri lo chiamavano Alcibiade, volendo denotare uno spirito cupido, inquieto ed autore di cose nuove; il che, o fortuna della nostra città, non solo è stato prudente ed oculato iudicio, ma più presto profezia, perché non di minori mali è stato costui causa a Firenze che fussi Alcibiade a Atene. Chi adunche in sì tenera età dimostra e scuopre questa natura, che si può credere che abbia a essere nel resto della vita? Non dice quello proverbio vulgato che el buono di si cognosce da mattina? E ragionevolmente, perché ognuno nella età matura sa meglio coprire e simulare gli umori suoi; il che quegli che sono sì giovani non sanno fare, ma tutto quello che hanno insino nelle viscere, insino nel cuore apparisce sanza alcuno riservo. E se nella età sì tenera, nella quale è quasi miracolo che sentissi el gusto della potenzia e degli onori, fu tale, che possiamo noi credere che sia stato poi e che sia ora, avendo ed eletto modo di vita ed avuto fortuna atta a destare la ambizione in ogni freddo e molle spirito, nonché in uno che da se medesimo ne ardessi?

Difficile è repugnare alla natura, giudici, difficile spegnere quelli abiti che sono infissi nelle ossa, che t'hanno accompagnato col latte e con la cuna. Chi per necessità o per accidente piglia vita contraria, a pena con lungo tempo mortifica la inclinazione naturale; ma chi piglia vita conforme, e vi ha drento successo, la nutrisce e la accresce ogni giorno, in modo che se era per natura verbigrazia ambizioso, diventa per natura e per accidente ambiziosissimo. Non avete voi udito di Cesare, in chi ancora fanciullo furono cognosciuti quelli semi, el frutto de' quali fu poi la ruína della patria? Non so parlare per molto tempo degli anni che seguirono a quella età, perché andò fuora di Firenze a studio, ma la ragione vi forza a credere che quale avete inteso essere stato el principio suo, quale vedete essere stato di poi el suo progresso, tale sia stato questo tempo della assenzia sua; perché sempre e' mezzi corrispondono e participano della natura degli estremi.

Tornato da studio, insino al tempo che andò in Spagna, se bene visse principalmente attento alla sua facultà della legge, donde sperava cavare l'utile e l'onore, pure in quelle discordie che erano allora nella città tra el gonfaloniere e quelli cittadini principali, che in nome biasimavano la troppa autorità che pigliava el gonfaloniere, ma in fatto non potevano tollerare el governo populare, dette qualche segno dell'animo ed inquietudine sua, ma in modo che potette apparire solo a chi lo considerò più da presso: dall'universale della città e da chi non conversava seco non fu cognosciuto, perché per la età non interveniva ne' magistrati e consulte publiche, e la apparenzia del vivere suo pareva piena di gravità e di modestia. Nondimanco ancora che fussi povero, prese per moglie con poca dota e quasi contro alla voluntà del padre una figliuola di Alamanno Salviati, che allora era uno di quelli che più che gli altri si mostrava contro al gonfaIoniere; il che non fece per altro che per cominciare a mescolarsi nelle sedizione e guadagnarsi el favore degli amici de' Medici; e si sarebbe scoperto più questo suo pensiero se la autorità del padre, al quale volessi Dio che lui fussi simile, che era uomo alienissimo da questi modi, non l'avessi constretto a procedere più reservatamente che non arebbe fatto, in modo che per questo e per la brevità del tempo che non fu più di tre o quattro anni, per la professione del dottore nella quale secondo la età aveva buono credito, per la grazia e riputazione del padre, per el numero de' parenti, per la presenzia, per e' costumi che parevano pieni di prudenzia e bontà, fu eletto in 28 anni con favore grande degli ottanta, imbasciadore in Spagna, e fattogli più onore che mai fussi fatto a giovane alcuno della nostra città. E certo da questi semi della ambizione in fuora, che allora erano noti a pochi, erano le qualità sue da tirarsi drieto credito, perché è copioso di quelle parte che sono necessarie alle faccende. Né crediate che se non ne fussi stato bene dotato, fussi sì giovane salito facilmente a tanto onore; e però è tanto più pericoloso questo suo appetito di grandezza, perché se fussi accompagnato da ignavia e tardità di ingegno, forse lo riprenderemo, ma sanza dubio non ne temeremo; ma dove concorrono tante parte quante sono in lui, è imprudenzia farsene beffe o disprezzarlo.

La imbasceria di Spagna, dove era al ritorno de' Medici, ha fatto parlare molti, di sorte che se io l'avessi chiamato in giudicio per odio o per fine mio particulare, e non per affezione mera della republica, piglierei questa occasione, procederei da accusatore, lo officio del quale è non solo accrescere le cose vere ma colorire le dubie, fomentare tutte le suspizione, né lasciare intentata cosa alcuna per la quale possa darsi carico o molestia allo accusato; ma perché io non procedo da accusatore né cerco la vittoria ma el bene publico, mi dispiacerebbe che e' peccati non veri fussino accettati per veri; però proporrò la cosa nudamente come è, e le conietture che ci sono, non pigliando carico di affermare quello che non so, né di confortare e' giudici a crederne se non quello a che gli indurrà la verità stessa della cosa.

Hanno, giudici, detto molti che benché fussi mandato in Spagna dalla republica e per la libertà della città, nondimeno che apresso a quello re favorì la tornata de' Medici, e che fu in gran parte causa di indurlo a mandare lo esercito suo a rimettergli. Le conietture che loro allegano, perché di simile cosa non si può avere certezza, sono molte: che quando in quella corte venne la nuova del ritorno loro, el re si rallegrò con lui publicamente come con amico de' Medici, il che sentirete dire da testimoni; dove vedendolo imbasciadore mandato dalla città, aveva a credere el contrario se non l'avessi prima sentito loro fautore; che doppo el ritorno loro ve lo lasciorono circa a uno anno, che pareva male verisimile non essendo confidato loro; che finalmente tornato di Spagna, ancora che mai non avessi veduto e' Medici né fatto altra cosa per loro, fu da loro accarezzato ed onorato con tanta dimostrazione, che a qualunque noto ed interessato con loro non sarebbe stato fatto più segni di benivolenzia e di fede. Conietture che certo paiono potenti, ma io non le accresco, non le riscaldo, non voglio che vaglino più che conforti la verità.

Ma quando questa imputazione fussi vera, di che io mi rimetto alla verità ed alle prudenzie vostre, non potrebbe nessuna orazione dimostrare abbastanza quanto fussi grande questa sceleratezza; nessuno benché acerbissimo supplicio potrebbe essere pari a tanta iniquità, a tanto enorme ribalderia, a tanto inaudito tradimento. Perché se nessuno eccesso che possino fare gli uomini è maggiore che essere operatore di tôrre la libertà della sua patria, perché contiene in sé tanti tristi effetti quanti non si possono immaginare nonché esprimere, quanto si aggrava per le circunstanzie, avendo fatto questo uno di chi la città si era fidata, uno che aveva accettato di essere suo ministro, uno che contro a lei ed in pernicie sua abbia usato quel nome, quella autorità di che lei con somma confidenzia l'aveva vestito ed onorato per beneficio suo! Non lo chiamo tradimento, non assassinamento, non parricidio, perché sono minori vocabuli che non si conviene.

Ma sia quello che si voglia, io non posso sanza grandissima indignazione ricordarmi della sua singulare ingratitudine, ed anche non maravigliarmi del suo corrotto gusto e giudicio; che avendo in sì giovane età conseguito dalla patria sua con commune consenso di coloro che secondo le legge n'avevano autorità, tanto onore che mai più dalla città libera fu dato a uno sì giovane, e del quale e' vecchi sogliono onorarsi grandemente, e potendo da questo principio essere certo che non gli mancherebbono tutti e' primi gradi e quella autorità che può avere uno cittadino nella republica; dimenticato di tanto beneficio, di tanta affezione che gli era stata dimostrata, di tanta fede che era stata avuta in lui, e di prudenzia e di bontà, abbi potuto diventare amico e ministro delle tirannide, e sostenuto di essere ancora lui instrumento ed aiutare di tenere el piede in sul collo alla patria sua, ed a quella patria con la quale aveva tutte le obligazione commune che hanno gli altri cittadini e particularmente questa sì rara, di sì rara demostrazione ed onore che gli era stato fatto; che abbia tenuto più conto e stimato più quello favore e grandezza che gli potevano dare in Firenze e' tiranni (che non si può avere sanza indegnità, sanza pericolo, sanza continuo ed acerrimo stimulo della conscienzia) che non stimato ed apprezzato quegli onori ed autorità che poteva conseguire dalla città libera, che sono sicuri, sono gloriosi, ed a chi non ha corrotto lo stomaco, con infinita satisfazione dell'animo.

Non posso certo ricordarmene sanza dispiacere, perché se bene ho ora in odio e' vizi tuoi, se bene ho paura del pericolo che portiamo tutti da te, non però voglio male da te; anzi ricordandomi che tutti siamo uomini, che siamo cittadini di una medesima patria, e della conversazione che in quelli primi tempi ebbi teco, ho dolore, t'ho compassione che la natura tua e gli abiti cattivi abbino potuto tanto in te, che quelle dote che tu hai di lettere, di ingegno, di eloquenzia, le quali io confesso che sono molte e grande, tu l'abbia volte a cattivo cammino; e dove avevi facultà di essere uno de' rari ornamenti della nostra città, di essere glorioso e di autorità grata a ognuno, e vivere con benivolenzia singulare apresso a' tuoi cittadini, abbia più presto, per appetito male misurato ed erroneo, voluto essere. instrumento di offendere ed oscurare el nome della patria, farsi inimico a tutti e' cittadini, odioso si può dire a se medesimo, e finalmente detestabile nella memoria degli uomini. Ma passiamo alle altre cose sue.

Tornato di Spagna fu ricevuto da Lorenzo de' Medici quale non aveva mai veduto, che allora era venuto al governo nostro, con grandissime carezze e con tanto onore e dimostrazione di confidenzia, che non sanza ragione accrebbe el sospetto a quegli che avevano dubitato che mentre che era imbasciadore non avessi venduto e tradito la nostra libertà. Fu fatto subito de' diciassette, che erano tutti de' più intimi e più onorati amici loro; ebbe tutti e' gradi che poteva avere per la età; fu chiamato alle pratiche strette dove intervenivano pochissimi, e nessuno che non avessi più di lui almanco dodici o quindici anni; né desiderò cosa per e' fratelli, parenti ed amici che non ottenessi. Quale fussi allora el vivere suo, e con che mezzi si conservassi nella benivolenzia e favore del tiranno, non si può sapere particularmente, perché per l'ordinario le azione di quelli tempi non appariscono come ora ne' consigli e publicamente: sono cose che girano in privato per le camere ed in pochi, ma si può cognoscere benissimo per gli effetti. Perché l'averlo accettato negli intimi quando tornò di Spagna, si potrebbe dire che fussi proceduto da essersi ingannati; ma el continuare nell'onorarlo, lo accrescere ogni dì segni di amore e benevolenzia, mostra manifestamente che lo trovorono amico ed utile alla tirannide, che è quello solo che el tiranno osserva; el quale non studia in altro se non chiarirsi dello animo degli uomini, ed adoperar quegli che truova confidati e desiderosi della sua grandezza: così è necessario dire che trovassino lui. Però non solo mentre che stette in Firenze gli feciono quegli onori e piaceri che voi avete inteso, ma non molto poi, non lo dimandando né vi pensando lui, lo mandorono governatore di Modena: a che concorsono tutti e quegli di Roma e quelli di Firenze, perché per le arte medesime era grato a tutti ed in spezie madonna Alfonsina, donna come sappiamo tutti avarissima ed ambiziosissima, la quale fu quella che lo propose, ed a chi fu sempre molto grato. Che se è vero quello che è verissimo, che ogni simile ama el suo simile, vi può mostrare abastanza che ancora lui fussi infetto di ambizione e di avarizia, della quale quella donna fu una fonte ed uno esemplo.

Da questo principio fu come uno corso degli onori e grandezza sua, perché diventò ogni dì più grato e più confidente a' tiranni; in modo che ebbe poco di poi el governo di Reggio, ebbe quello di Parma, fu mandato commissario generale con suprema autorità nella guerra contro a' franzesi; ebbe la presidenzia di Romagna, ed in ultimo fu chiamato dal papa a Roma perché stessi apresso a lui come consultore e secretario suo, donde fu poi mandato luogotenente suo in questa pestifera guerra, con tanta potestà, con tanta riputazione che parve che uscissi fuora non uno instrumento, non uno ministro del papa, ma uno compagno, un fratello, uno altro se medesimo. Le quali cose sì grande e sì rare non si può credere che gli avessino date da principio ed accresciute ogni di doppo l'averlo provato, se non l'avessino trovato confidentissimo e tutto loro, tutto tirannico: massime che se uno di loro solo gli avessi fatto questi favori, si potrebbe dubitare che fussi proceduto da qualche falsa opinione, da qualche similitudine di natura, da qualche conformità di influsso; ma quando io veggo che è stato grato, che è stato accetto, che è stato confidatissimo a tutti, a Leone, a Clemente, a Giuliano, a Lorenzo, insino a madonna Alfonsina, donna come sapete propriissima ed inumanissima, non debbo già credere che tutti si siano ingannati, che tutti avessino qualche inclinazione simile alle sue, che tutti fussino nati sotto una medesima stella di lui. La conformità di natura, lo influsso è l'averlo trovato amatore delle tirannide, inimico della libertà della sua patria; questo è stato el vinculo, questa è stata la coniunzione, questo è stato el mezzo di approvarti, di farti tanto grato a loro; della quale se tu fussi mancato, saresti mancato della principale parte, del primo fondamento che negli uomini desiderano e cercano e' tiranni; e non avendo quello che loro vogliono e stimano più che altro, non saresti stato loro tanto grato, tanto accetto, non saresti stato un altro se medesimo.

Sento, giudici, quello che lui risponderà in questo luogo per offuscare una cosa chiarissima: che forse ricercavano appetito tirannico in quelli che adoperavano in Firenze, ma che lui gli serviva di fuora in cose dependenti dalla Chiesa, le quali appartenevano a loro come a prìncipi, non come a tiranni; narrerà la integrità, la fede, la sufficienzia sua, e' pericoli corsi molte volte, e cercherà tirare a sua laude e suo onore quello che è eterna sua macula, eterno suo vituperio.

Io vi confesso, giudici, che questa difesa mi spaventerebbe, mi farebbe vacillare lo animo, perché la è, prima facie, verisimile e magnifica; ma mi conforta la prudenzia vostra, la notizia che io so che voi avete delle cose, el cognoscervi tali che non vi lascerete ingannare dagli estrinsechi, ma vorrete penetrare insino alle midolle. Non è nessuno di sì poca notizia del mondo, di sì poca esperienzia, che non sappia che, come ancora io accennai poco fa, la prima cosa che ama e che ricerca uno tiranno in uno suo cittadino è el cognoscerlo amatore e confidato allo stato suo, e cerca con ogni diligenzia, con ogni industria chiarirsi e scoprire se ha questo animo o no; e ragionevolmente, perché essendo el suo primo fondamento, el suo primo obietto el conservare la tirannide, bisogna che questi siano e' suoi primi pensieri, la sua prima cura. Leggete in Cornelio Tacito scrittore gravissimo, che Augusto insino al dì che morì, insino al punto che spirava l'anima, ancora che per la vecchiaia ed infirmità avessi già consumato el corpo e lo spirito, lasciò per ricordo a Tiberio successore suo, chi erano quegli di chi non doveva fidarsi. Però impossibile è che gli sia grato o che vòlti riputazione a uno cittadino el quale non creda che sia amico suo, che sia desideroso di mantenere la sua tirannide; perché come bene disse Salamone a quello scolare secondo la novella di colui, sono reciproche queste cose, l'amore e la opinione di essere amato; né può uno tiranno fare grande e riputato uno se non l'ha per amico, se non pensa d'aversene a valere, se crede che gli abbia a essere contrario; perché in una città solita a essere libera non si può considerare mezzo alcuno: ciascuno di necessità o ama la libertà o ama el tiranno, e chi ama l'uno, bisogna che odii l'altro.

Né è buona o vera distinzione dalle cose di Firenze a quelle della Chiesa, perché se tu gli avessi veduto malvolentieri grandi a Firenze, aresti avuto anche per male la grandezza del pontificato; e se tu amavi quella, amavi anche di necessità questa altra, perché erano congiunte e connesse in modo insieme, che non potevano ruinare nell'una che non ruinassino nella altra. E se loro non avessino bene cognosciuto e fatto paragone dello animo tuo, t'arebbono intrattenuto in Firenze come uno altro tuo pari; ma che necessità avevano di adoperartisi estraordinariamente, massime che tu sei seculare ed uxorato, ed e' luoghi dove loro t'hanno posto erano tutti debiti e soliti darsi a prelati? Dirai la carestia degli uomini virtuosi e sufficienti come tu; moderata certo difesa e degna dirsi in tanto concorso di uomini, acciò che questi più giovani imparino da te parlare modesto e conveniente a cittadini; ma è bene debito che la ambizione sia accompagnata dalla arroganzia, né ci possiamo sdegnare e maravigliare che dove sono tante altre macule, sia ancora la superbia; anzi se la è, come è veramente, madre della ambizione, è molto onesto che noi la vediamo insieme con la figliuola.

Ho confessato e confesso di nuovo che le dote tue sono rare, e che tu hai qualità da fare faccende, in modo che se el papa non avessi facultà di eleggere ministri se non di una città sola, potrebbe forse passare questa risposta; benché né anche sanza difficultà perché io t'ho per uomo virtuoso, non già per miracoloso. Ma potendo el papa ed essendo consueto eleggere ministri di ogni qualità e di ogni nazione, ed avendo sempre intorno infiniti che cercano queste cose, troppo presummi di te medesimo, troppo credi che noi ti stimiamo, se pensi darci a credere che la necessità l'abbi indotto a disprezzare e' prieghi e le ambizione di tanti che erano in corte, e venire a cavare da' libelli e di uno studio te che eri lontano dagli occhi suoi, che pensavi a ogni altra cosa, che eri sanza notizia e pratica alcuna di governi e di cose di Chiesa. Però rimuovi, lieva via, ti priego, questa difesa come vana, come arrogante, come più atta a dimostrare la tua natura e la immoderata opinione che hai di te, che a darci indizio alcuno di virtù o diminuire in parte alcuna questa suspizione.

Ma perché consumo io tanto tempo, perché cerco io sanza bisogno tanto di conietture, come se manchi la facultà di allegare effetti, esperienzie certe ed inescusabile, e non una sola, ma più? Dimmi, non si sa egli che doppo la morte di Lorenzo, el cardinale de' Medici che oggi è papa, sendosi fermo al governo di Firenze, volle che tu restassi qui, con lasciarti e' governi in mano e tenervi per sostituto Luigi tuo fratello? Non ti voleva già qua per niente: non per adoperarti nelle cose della Chiesa e del papato, ma per ministro a mantenere la sua potenzia, per uno in chi potessi riposare e' segreti della tirannide. Si sa bene el fondamento che faceva di te; sono penetrati benché fussino occulte gli ordini delle intelligenzie che s'avevano a fare; sàssi bene el disegno che aveva di fare parentado teco; e se non ti fermasti non fu perché quello che io ho detto non sia vero, ma perché succedendo la guerra ti volle adoperare in quello che importava più allo stato suo. Poi la morte del papa ed altri accidenti ed in ultimo la elezione sua al papato variorono tutti questi pensieri. Ma dimmi più oltre, nella stanza tua di Roma non intendevi tu e non maneggiavi tu le faccende di Firenze come quelle di fuora? Perché quivi non si deliberava niente di importanza, ma tutto si riferiva a Roma, e di quivi veniva la legge in ogni cosa benché minima. Dunche come puoi tu negare che el papa non abbia con -fidato in te così intrinsicamente delle cose di Firenze come di quelle di fuora? E come possiamo noi credere che avendoti lui maneggiato tanti anni in faccende sì grandi ed in tanto diverse, che non abbia avuto mille volte occasione e facultà di cognoscerti insino alle piante de' piedi, e che t'abbia eletto per instrumento confidantissimo alla tirannide, perché con mille paragoni t'ha cognosciuto e veduto tale?

Ma vegnano finalmente a quello che abbiamo veduto tutti noi, che ha per testimonio tutta questa città, a quello che allora guardamo con gli occhi pieni di lacrime, con l'animo pieno di desperazione, ora ce ne ricordiamo con inestimabile desiderio di vendetta. Chi fu quello che el dì di san Marco ci tolse el nostro Palazzo? Chi fu quello che ci spogliò della recuperata libertà? O di da non se ne ricordare mai sanza pianto! O fatto da fame una memoria, uno esemplo che duri quanto dureranno le prietre e la memoria di questa città! O cittadino, se tu meriti questo nome, più detestabile, più pernizioso alla nostra republica che non fu mai né Alcibiade a Atene, né Silla o Cesare a Roma! Loro oppressono una libertà invecchiata e che moriva, tu opprimesti la nostra el dì medesimo che la nasceva e risuscitava; loro mossi da qualche ingiuria e da qualche pericolo e dagli sdegni che avevano con gli altri concorrenti loro, cercorono di farsi capi della loro città; tu non ingiuriato da nessuno, onorato e chiamato da tutti, vendesti per schiavi, rimettesti in servitù la patria, te ed ognuno; loro accompagnati da parte della città e da molti se bene cattivi cittadini, pure cittadini, oppressono l'altra; tu solo di tutta questa patria rimettesti el giogo in sul collo a ognuno.

Non era uomo in questa città di ogni qualità ed età, che non fussi corso al Palazzo insino a' più stretti e più intrinsechi amici de' Medici, o non volendo discrepare da quello che facevano gli altri, o non avendo ardire di opporsegli; el sommo magistrato, del quale era capo tuo fratello co' modi legittimi ed ordinari della città gli aveva dichiarati rubelli; era una allegrezza di ognuno in se medesimo, una congratulazione fra tutti inestimabile; e' vecchi per smisurato gaudio piagnevano, e' giovani saltavano, nessuno capeva in se medesimo. Sentivansi voce di tutti: abbiamo pure recuperata la nostra libertà, abbiamo pure riavuto l'anima, siamo pure vivi, siamo pure liberi, non siamo più in servitù, non siamo più schiavi, siamo usciti delle tenebre, siamo usciti di Egitto. O dì lieto, o dì giocondo, o dì di eterna memoria, nel quale Dio ha pure finalmente visitato el popolo suo!

In questi romori, in questi concorsi, in questi ed altri maggiori segni di letizia, sendo e' soldati già dispersi, e' Medici a cavallo per fuggire, el marchese di Saluzzo di animo di lasciare correre el duca di Urbino di dare la spinta; tu solo fermasti la ruina, tu rimettesti animo a' tiranni, tu ristrignesti e' soldati, pregasti quelli signori, e tutti insieme, ma tu come capitano, tu come la ruìna di tutti, ne venisti alla piazza; né potendo quello innocente popolo disarmato, atto più alle mercatantie ed alla pace che a combattere, opporsi a tanto impeto, resistere a tanto furore, combattere con uomini armati e persone militari, lo cacciasti di piazza, ve ne facesti signori. Né dando requie a tanta ribalderia, cominciasti subito a fare trarre al palazzo; a quello palazzo nel quale consiste la maiestà di questa città, a quello palazzo che è armario delle legge, recettaculo di tutti e' consigli publici, che è difesa e fondamento della libertà e gloria nostra, a quello palazzo a' cenni del quale non soleva essere cittadino alcuno sì grande e sì superbo che non ubidissi, che non si umiliassi; alla voce del quale solevano inginocchiarsi gli uomini, tremare insino alle pietre; la riverenzia di chi farebbe inginocchiare ancora te, farebbeti tremare, se tu fussi cittadino, se pure uno uomo, non una fiera, uno monstro, se in te non fussi più durezza che in una prieta, più impietà che in una tigre, più invidia che in uno Lucifero; ed el quale non ti bastò avere circundato, non averlo combattuto, che con scelerato pensiero, con effetto ancora più scelerato, con fraude, con insidie, con tradimento cavasti dalle mani nostre.

Ricordatevi quando, ottenuto da noi di potere venire a parlarci, venne su col signor Federigo; proposeci tanti pericoli, la ruina nostra e di tutta la città sì manifesta: tante gente d'arme, tante artiglierie, tante fanterie; el popolo parte dissipato, parte avere preso le arme per e' Medici; empiè falsamente ogni cosa di minacci e di terrore; el volto era tutto ardente, gli occhi pieni di arroganzia, le parole piene di furore, lo spirito tutto fiamma e tutto fuoco; credavamo fussi la pietà della città, el desiderio di liberarci dal pericolo; pensavamo si ricordassi di essere fiorentino, fussi conforme di animo a' fratelli, a' cognati, a tanti parenti, a tutta la nobilità della città che era quivi. Avevamogli, doppo el tumulto levato, scritte lettere pregandolo che venissi a soccorrere la sua patria, che menassi alla salute nostra gli eserciti pagati da no