CONTACT (1997) |
Di Andrea Pesce
“Finalmente un film di fantascienza davvero credibile !”. E’ questo il commento più ricorrente sul film Contact di Robert Zemeckis. Commento che, al di là dell’evidente ossimoro tra fantascienza e credibilità (intesa probabilmente come “verità scientifica”), ci può far tranquillamente etichettare il film in questione come “neo-realista fantascientiifico”. Tutta la prima parte della storia, infatti, è un credibile resoconto delle ricerche della NASA che, con il programma S.E.T.I. (Search of Extra Terrestrial Intelligence), dal 1992, scandaglia il cosmo, con l’uso di radio telescopi, alla ricerca di segnali provenienti da civiltà aliene. Parte delle riprese sono state effettuate ad Arecibo (Puertorico) dove si trova il più grande radio telescopio del mondo e al “Very Large Arrey” a Socorro in Nuovo Messico, dove è sito un radio telescopio costituito da 27 dischi parabolici, ciascuno del diametro di 25 metri. Queste antenne possono essere spostate su binari fino a formare, nella loro massima estensione, una enorme ipsilon in grado di ascoltare segnali dalle parti più remote del cosmo. Torniamo alla trama del film di Robert Zemeckis, girato nel 1997. La protagonista Ellie Arroway (Jodie Foster) è impegnata, con grande precisione e caparbietà, proprio in queste ricerche. Dopo essere stati “sfrattati” da Arecibo, Ellie e la sua équipe, si spostano a Socorro, dove un giorno giunge alle antenne il tanto atteso messaggio alieno, che proviene dalla “vicina” stella Vega. In esso, oltre alla trasmissione radio, è contenuta anche un’immagine televisiva che, con gran stupore di scienziati e politici, raffigura Adolf Hitler durante un suo discorso pubblico. La cosa è quasi subito spiegata: si tratta del discorso inaugurale che Hitler tenne a Berlino nel 1936, in occasione dell’apertura dei giochi dell’olimpiade tedesca. Quella fu la prima trasmissione televisiva, di una certa potenza, ad essere “spedita” nello spazio, che ci viene restituita, dai Vegani, integrata di preziose informazioni per la costruzione di una macchina capace di far viaggiare un nostro rappresentante fino al loro sistema solare. E’ interessante notare che l’immagine (un po’ perturbante) di Hitler non è casuale. Zemeckis e lo sceneggiatore Carl Sagan (autore nel 1985 del best seller “Contact”), pare vogliano comunicarci che soltanto la notizia di un contatto extraterrestre potrebbe superare la portata (chiaramente non intenzionale come invece fu per le vittime dell’olocausto) catastrofica del nazismo, con uno sconvolgimento planetario senza precedenti. Tra le ipotesi, quella più estremista, sostiene che se un eventuale messaggio alieno giungesse sulla Terra, avrebbe come future conseguenze la disintegrazione della società umana. Ma siamo ancora nel campo delle ipotesi. Tuttavia, nel film, vengono affrontati temi che val la pena di esaminare in dettaglio. Dopo lo straordinario prologo, con lo zoom-indietro più lungo (è il caso di dire in termini di spazio) della storia del cinema, ci si rende immediatamente conto della vastità con cui dovremo fare i conti per comunicare attraverso gli spazi interplanetari e galattici. Eppure, come sosteneva il padre di Ellie (vero maieuta della bambina, con la sua passione astrofilica), se non ci fossero altre civiltà lassù, sarebbe un inutile spreco di spazio. Proprio a proposito del padre di Ellie, è azzardabile un’analogia, frutto forse di una banale coincidenza, tra il comportamento di Ellie Arroway e quello di un altro personaggio centrale nell’attività attoriale di Jodie Foster: Clarice Starling de “Il silenzio degli inoocenti”. Infatti, dopo l’incontro d’amore con il teologo Palmer Joss (Matthew McConaughey), Ellie esce di casa per recarsi all’osservatorio alquanto turbata. I due avevano appena trattato l’argomento della morte del padre di Ellie quando aveva nove anni. In questa sequenza Ellie guarda, in soggettiva, la volta celeste, ma al ritorno dell’inquadratura sul soggetto, ci troviamo di fronte Ellie bambina, che rivive i drammatici istanti della morte del genitore. Ciò avviene in modo del tutto simile a come ha fatto notare Francesco Falaschi a proposito de Il silenzio degli innocenti: “Si tratta di una “soggettiva inversa” che monta prima il guardato (B) e poi il guardante (A).” (…) “Clarice, turbata dal primo incontro con Lecter, si dirige verso la sua automobile, inquadrata in soggettiva, con un carrello in avanti. Poi vediamo Clarice avanzare, poi di nuovo l’auto in soggettiva. L’alternarsi continua, ma alla coppia auto-Clarice si sostituisce quella Clarice bambina-auto del padre che arriva a casa. Il flashback viene quindi introdotto con le modalità tipiche della “soggettiva inversa” (oggetto guardato-guardante-oggetto guardato) (B-A-B), ma ne infrange i codici più tradizionali non basandosi su di una contiguità spazio temporale: l’immagine del presente viene accostata a quella del passato. (…) Una simile equivalenza tra presente e passato (di ascendenza chiaramente psicoanalitica) si trova anche nella scena della camera ardente della sesta vittima”. Al di là del’aspetto puramente “tecnico” (che potrebbe essere soltanto un omaggio al capolavoro di Demme), l’atteggiamento da detectives delle due eroine, nei rispettivi film, è molto simile. Se ne Il silenzio degli innocenti Clarice si addentrava nei meandri oscuri della patologia mentale di Jamie Gumb (Buffalo Bill), guidata dal dottor Lecter, ora, in Contact, l’attenzione di Ellie si è spostata dal “microcosmo psichico” del film di Demme al “macrocosmo degli spazi intergalattici”, sotto la guida del misterioso mr. Hadden, protettore delle scienze (interpretato da un grande John Hurt), corrispettivo cosmico del “maieuta” Lecter-Hopkins. Attraverso questo “Mister x”, Ellie viene a conoscenza della reale indicazione contenuta nel messaggio: una dettagliata guida per la costruzione della macchina succitata. Ma, in definitiva, in che cosa consiste questa macchina? Uscendo per un poco dall’ambito della finzione cinematografica, il primo scienziato che portò in sede pratica la costruzione di una macchina del tempo fu nel 1973 Frank Tipler. Egli pubblicò sull’autorevole rivista “Phisical Review D” un articolo in cui spiegava che se si riuscisse a produrre una “singolarità nuda”, rotante ad altissima velocità, si realizzerebbero le condizioni di distorsione spazio-temporali necessarie alla navigazione nel tempo. Ma ciò che ha più attinenza con Contact, sono i viaggi attraverso i cunicoli spazio-temporali che, secondo le equazioni della “Relatività generale” di Einstein, potrebbero collegare un buco nero in una parte dello spazio tempo, con un buco bianco, che permetterebbe l’uscita di una ipotetica astronave, in un altro punto dello spazio-tempo. Carl Sagan autore del libro “Contact”, voleva servirsi appunto di un buco nero per il viaggio della protagonista, ma dopo avere interpellato il fisico teorico Kip Thorne, si corresse ed utilizzò il succitato cunicolo. Thorne gli spiegò che la protagonista del libro non avrebbe potuto utilizzare un buco nero per il suo viaggio ma, con i dovuti strumenti, si sarebbe potuta servire di un cunicolo spazio-temporale. Il problema è che i cunicoli tendono, una volta aperti, a richiudersi dopo un tempo infinitesimo. Giunse allora alla conclusione che si sarebbero potute utilizzare delle “Stringhe cosmiche”, per mantenere aperto il cunicolo. Le stringhe cosmiche sono un residuo del big bang che si estenderebbero per tutto l’universo, sotto forma di tubi di energia, molto più sottili di un atomo. Esse conterrebbero la densità di energia che l’universo aveva durante i primissimi milionesimi di secondo dopo la creazione e, nonostante il piccolo diametro, conterrebbero l’equivalente di 10 bilioni di tonnellate di massa. E’ necessario sottolineare che la mancanza di prove empiriche, sull’esistenza delle “super stringhe”, rende grande lo scetticismo nella comunità scientifica. Oltre all’aspetto “tecnico”, a proposito della costruzione della macchina per i viaggi spazio-temporali, il film pone, con forza, la “vexata quaestio” sul mai assopito conflitto tra scienza e religione. In particolare lo scontro avviene tra la protagonista Ellie Arroway e il suo amico, nonché amante, padre Palmer Joss. Il film qui raggiunge, trattando temi così importanti per un’opera concepita per il grande pubblico, il suo apice. L’aspetto teologico non deve essere infatti trascurato. Le implicazioni filosofiche sulla scoperta di vita intelligente extraterrestre, pongono seri problemi che la chiesa cattolica, in primis, deve affrontare. Il cosmologo Edward A. Milne pone una sconcertante riflessione: “L’intervento più significativo di Dio nel processo storico, secondo la visione cristiana, è stato l’Incarnazione. Si è trattato di un evento unico, o di qualcosa che si è ripetuto su ognuno degli innumerevoli pianeti? Qualunque cristiano si ritrarrebbe con orrore davanti a una tale conclusione. Non riusciamo a immaginare che il Figlio di Dio abbia sofferto per gli abitanti di ciascuno di una miriade di pianeti. Qualunque cristiano rifiuterebbe questa conclusione avallando la supposizione che, in effetti, il nostro pianeta è unico. Che ne sarebbe, allora, dei possibili abitanti di altri pianeti, se l’Incarnazione si fosse verificata solo sul nostro? Qui siamo in alto mare, anzi in un mare di grandi misteri”. Siamo dunque gli eletti o Cristo è disceso su ogni pianeta sotto forma di “omino verde”? Anche Carl G. Jung affrontò il problema nel suo saggio “Su cose che si vedono in cielo”, da un altro punto di vista che investirebbe gli alieni di un ruolo angelico nei nostri confronti: “Gli alieni svolgono il ruolo tradizionale degli angeli, agendo da intermediari tra Dio e l’umanità e indicando in modo criptico la strada verso una conoscenza occulta dell’universo e dell’esistenza umana”. Sembra una frase scritta a proposito di questo film. Stanley Kubrick, a chi gli pose la domanda sulla relazione tra Dio e la sua opera 2001: Odissea nello spazio rispose: “Il concetto di Dio sta al cuore di 2001, ma non quello delle immagini tradizionali e antropomorfiche di Dio. (…) Si potrebbe costruire un’affascinante e interessante definizione “scientifica” di Dio, se si accetta il fatto che ci sono circa cento miliardi di stelle nella sola nostra galassia, che ogni stella può essere un sole che dà vita e che esistono circa cento miliardi di galassie nel solo universo visibile. Le qualità che potrebbero avere entità extraterrestri sviluppate fino all’incorporeità, sono molto simili a quelle che si usa attribuire a Dio”. Ed è inevitabile un parallelismo tra 2001 e Contact proprio sul piano della dimostrazione visiva dell’alieno. In 2001 il monolito nero, come hanno osservato Roberto Lasagna e Saverio Zumbo nel loro saggio su Kubrick , assume la forma di “contenitore privilegiato per infinite interpretazioni e insieme elemento inaccessibile ad ogni tentativo ermeneutico di limitarne il senso”. In Contact, coerentemente, l’unico “incontro ravvicinato” viene, forse grazie alla mente più avanzata dei Vegani, antropomorfizzato (nella fattispecie sotto le sembianze del defunto padre di Ellie). Il fisico John Wheeler sostiene che la realtà fisica del nostro universo dipende dalla presenza di osservatori intelligenti consapevoli della sua presenza. Ragionamento, questo, direttamente collegato al “Principio antropico forte” il quale dice che l’universo deve avere proprietà tali da permettere alla vita di svilupparsi in una qualche fase della sua storia. Forse a causa della nostra innata tendenza “narcisistica” nel complicarci la vita, il “contatto” potrebbe già essere avvenuto in un modo così elementare che neppure lo abbiamo lontanamente immaginato.