CRITOLAO DI FASELIDE
A cura di Diego Fusaro
Critolao di Faselide diresse verosimilmente il Peripato – la scuola filosofica originariamente fondata da Aristotele – subito dopo Aristone di Ceo, a sua volta succeduto a Licone. Critolao volle, almeno nelle intenzioni, mantenersi fedele all’insegnamento originario del maestro Aristotele, insuperabile fondatore del Peripato: suo proposito era semplicemente quello di ergersi a custode dell’originario verbo aristotelico, nella convinzione che già lì fosse racchiusa la verità. In realtà, Critolao non tenne fede ai propri progetti e, più o meno consapevolmente, finì per accostarsi allo Stoicismo. È vero, Critolao propugnò strenuamente – senza alcuna innovazione – la tesi sostenuta a suo tempo da Aristotele secondo cui il mondo e il genere umano sarebbero eterni, ma ciò non di meno si allontanò da Aristotele, avvicinandosi allo Stoicismo, nella misura in cui sostenne che l’anima era materiale e che la psyché doveva essere identificata con la “quinta substantia”, cioè con l’etere. In questo modo, l’aristotelismo veniva abbandonato in favore dello stoicismo, secondo un movimento peraltro già compiuto, seppur in modo diverso, da Licone. Come si ricorderà, l’avvicinamento di Licone allo Stoicismo fu soprattutto un avvicinamento etico, in quanto Licone fece sua l’idea stoica dell’“autosufficienza” del saggio. Critolao, come abbiamo appena visto, si avvicinò allo Stoicismo per quel che riguarda le teorie sull’anima. Ma anche in sede etica non rimase insensibile alle teorie stoiche: in particolare – andando anche in ciò contro le tesi di Aristotele – sostenne apertamente la tesi secondo cui il piacere è un male e che, inoltre, è un male che si contraddistingue per il fatto che può generare molti altri mali. Ben traspare, da questa posizione, un’influenza del rigorismo etico (fortemente antiepicureo e antiedonistico) degli Stoici. Critolao tentò, inoltre, di compatibilizzare tra loro – con risultati discutibili – lo Stoicismo e l’Aristotelismo dal punto di vista della teoria dei beni: Critolao ribadì la dottrina peripatetica secondo cui vi sono tre classi di beni, ma – avvicinandosi ancora allo Stoicismo – sostenne che i “beni esteriori” e i “beni del corpo” (pur essendo, per l’appunto, beni e non “indifferenti”) sono incommensurabilmente inferiori alla “virtù”, vale a dire ai “beni dell’anima”. In questa maniera, l’Aristotelismo veniva “stoicizzato”: ponendo su un’immaginaria “bilancia” i beni del corpo e quelli dell’anima, Critolao riconosceva apertamente il maggior peso dei secondi, svalutando i primi. Secondo la preziosa testimonianza di Cicerone (Tusc. disput., V 17, 50):
“E qui io mi domando il valore che può avere la famosa bilancia di Critolao. Pone, Critolao, su un piatto i beni spirituali, sull’altro quelli fisici ed esteriori: il piatto dei beni spirituali, egli dice, s’abbasserà talmente che neppure la terra e il mare riuscirebbero, col loro peso, a ristabilire l’equilibrio” .
Questa, che voleva essere una soluzione compromissoria, in grado di sposare tra loro le tesi etiche dell’Aristotelismo e dello Stoicismo, si sarebbe presto rivelata una via impercorribile, soprattutto se si considera che lo Stoicismo non poteva accettare in alcun modo l’etichetta di “bene” attribuita a qualcosa che non fosse la virtù.