CHARLES DARWIN
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VITA E OPERE
A cura di R. Cattania
Charles Darwin
nacque il 12 febbraio 1809 a Shrewsbury, cittadina vicina a Birmingham.
Indirizzato dal padre agli studi di medicina, egli focalizzò ben presto i
propri interessi sulla storia naturale e venne a conoscenza delle idee che
iniziavano a circolare in zoologia e botanica, in particolare la teoria di Jean
Baptiste Lamarck, che però non lo colpì in modo particolare. Alla fine del
1827, a causa dei deludenti risultati scolastici, il padre decise che Charles
si sarebbe dedicato alla vita ecclesiastica e lo mandò a Cambridge per
proseguire gli studi; qui frequentò lezioni di botanica, iniziò a collezionare
e classificare insetti e apprese le prime conoscenze di geologia, partecipando
a una breve spedizione geologica nel Galles del Nord. Il 21 dicembre 1831
s'imbarcò come naturalista sul brigantino Beagle, attrezzato per compiere
ricerche scientifiche e rilevazioni geografiche: il viaggio intorno al mondo
durerà fino al 2 ottobre 1836. Nel corso di questo viaggio, Darwin raccolse
un'ingente quantità di materiale e compì numerose osservazioni: a ogni tappa
scendeva a terra e conduceva esplorazioni all'interno, raccoglieva e catalogava
campioni di specie animali e vegetali, di cui descriveva le abitudini. Nel 1839
pubblicherà, con il titolo Viaggio di un naturalista intorno al mondo,
il diario di queste esplorazioni; ma già al ritorno in Inghilterra i resoconti
che aveva inviato ai suoi corrispondenti lo avevano fatto conoscere negli
ambienti scientifici.
Fu nel corso del viaggio sul Beagle e negli anni immediatamente successivi che
Darwin, sulla base delle osservazioni compiute, giunse alla conclusione che le
specie si modificano gradualmente; gli anni successivi saranno dedicati
all'elaborazione della teoria dell'evoluzione, con un intenso lavoro di
riflessioni e osservazioni. Particolare rilievo ebbe l'attività di raccolta di
dati, tesa alla documentazione dei diversi aspetti della teoria, quali la
distribuzione geografica delle specie, le leggi della variazione, la divergenza
dei caratteri, l'estinzione delle specie meno adatte, e così via. Darwin dedicò
otto anni al lavoro sistematico ai cirripedi, una classe di organismi ancora
poco studiata; realizzò anche un allevamento di colombi, con razze provenienti
da diverse parti del mondo, per studiarne somiglianze e differenze e condurre
esperimenti di selezione artificiale. L'accettazione della teoria
dell'evoluzione aveva infatti posto un problema: se le specie non sono state
create così come le conosciamo da un Creatore divino, come spiegare il loro
adattamento all'ambiente in cui vivono? La soluzione venne dall'analogia tra la
selezione operata dall'uomo per migliorare le razze domestiche e quella che
avviene in natura. La lettura del Saggio sul principio di popolazione di
Thomas Robert Maltus gli suggerì il meccanismo attraverso cui la selezione
agisce in natura: la lotta per la sopravvivenza.
Nel 1859, dopo oltre vent'anni di elaborazione, uscì On the Origin of
Species by Means of Natural Selection (L’origine delle specie per mezzo
della selezione naturale); seguiranno anni di discussioni accanite e decise
prese di posizione, con una sostanziale accettazione, nell'ambito scientifico,
dell'idea di evoluzione, mentre maggiori resistenze incontrò il concetto di "selezione
naturale". Molto più decisa fu l'opposizione degli ambienti religiosi, che
restavano legati all'interpretazione letterale della Bibbia, alla quale la
dottrina darwiniana si opponeva in maniera radicale.
Darwin non si limitò a fornire innumerevoli prove dell'evoluzione come
principio coordinante della storia della vita e a sviluppare la teoria della
selezione naturale, ma diede contributi altrettanto importanti con i concetti
di evoluzione ramificata, che implica la discendenza da un'origine comune di
tutte le specie viventi, e di evoluzione graduale, contrapposta a quella a
salti (mutazionismo). In seguito, Darwin affrontò anche il tema dell'origine
dell'uomo: in Descent of Men and Selection in Relation to Sex (L'origine
dell'uomo e la selezione sessuale) formulò la concezione naturalistica
dell'uomo e illustrò il principio di continuità con gli animali. Si chiese
anche quale fosse il valore da attribuire alle razze umane e giunse alla
conclusione della discendenza da un unico ceppo comune, con successiva
diversificazione: da qui l'introduzione del concetto di popolazione, che rende
conto della variazione delle caratteristiche umane.
L'autore dell'Origine delle specie si preoccupò di elaborare una
metodologia per la scienza della vita, che non può essere ridotta alle leggi
della chimica e della fisica; egli può essere considerato il fondatore di un
nuovo ramo della filosofia della scienza, la filosofia della biologia, che ha
avuto una profonda influenza nello sviluppo del metodo scientifico in diverse
discipline come la biologia evoluzionistica, la paleontologia, la geologia e la
cosmologia. Altre opere di Darwin degne di essere ricordate sono Espressione
dei sentimenti nell'uomo e negli animali e Le variazioni degli animali e delle
piante allo stato domestico.
IL PENSIERO
A cura di G. Tortora
Dal suo viaggio, Darwin tornò con molti appunti e con la convinzione che in campo biologico c'è stata evoluzione delle specie nel corso del tempo: questo solo poteva spiegare la successione delle forme viventi in uno stesso luogo, documentata dall'esistenza di fossili, e la distribuzione attuale delle specie viventi. Ma tale convinzione doveva essere argomentata a dovere: bisognava studiare soprattutto la riproduzione e le leggi dell'adattamento all'ambiente da parte degli organismi viventi. Continuò cosí in patria la sua osservazione e procedette a varie sperimentazioni.
Evidentemente
fatti come questi (cioè quelli osservati durante il viaggio) e molti altri si
potevano spiegare supponendo che le specie si modificassero gradualmente; e
questo pensiero mi ossessionava. Ma era ugualmente evidente che né l'azione
delle condizioni ambientali, né la volontà degli organismi (specialmente nel
caso delle piante) potevano servire a spiegare tutti quegli innumerevoli casi
di organismi di ogni tipo mirabilmente adattati alle condizioni di vita...
Questi adattamenti mi avevano sempre vivamente colpito, e mi sembrava che
finché essi non fossero stati spiegati sarebbe stato inutile cercare di
dimostrare con prove indirette che le specie si sono modificate.
Dopo il mio ritorno in Inghilterra pensai che se avessi lavorato come aveva
fatto Lyell nel campo della geologia, cioè raccogliendo tutti i fatti che hanno
avuto relazione con la variazione degli animali e delle piante sia allo stato
domestico sia in natura, avrei potuto portare qualche luce sull'argomento.
Lavorai secondo i principi baconiani, e, senza seguire alcuna teoria raccolsi
quanti piú fatti mi fu possibile, specialmente quelli relativi alle forme
domestiche, mandando formulari stampati, conversando con i piú abili
giardinieri e allevatori di animali, e documentandomi con ampie letture.
(Autobiografia)
E proprio la documentazione relativa alle forme viventi domestiche gli fece balenare in mente la possibile soluzione. Giardinieri e allevatori ottengono variazioni nelle forme biologiche con la selezione artificiale; forse allora le variazioni verificatesi, nel corso del tempo, in natura sono dovute ad una selezione naturale.
Non
tardai a rendermi conto che la selezione era la chiave con cui l'uomo era
riuscito ad ottenere razze utili di animali e piante. Ma per qualche tempo mi
rimase incomprensibile come la selezione si potesse applicare ad organismi
viventi in natura.
(Autobiografia)
La conferma teorica del fatto che in natura agisce una legge generale di selezione naturale gli venne dalla lettura di un'opera che non rientrava immediatamente nell'orizzonte dei suoi interessi scientifici.
Nell'ottobre
1838 ... lessi per diletto il libro di Malthus sulla Popolazione, e
poiché, date le mie lunghe osservazioni sulle abitudini degli animali e delle
piante, mi trovavo nella buona disposizione mentale per valutare la lotta per
l'esistenza cui ogni essere è sottoposto, fui subito colpito dall'idea che, in
tali condizioni, le variazioni vantaggiose tendessero ad essere conservate, e
quelle sfavorevoli ad essere distrutte. Il risultato poteva essere la
formazione di specie nuove. Avevo dunque ormai una teoria su cui lavorare.
(Autobiografia)
Sicché, riordinando le informazioni ch'egli aveva parzialmente raccolto e catalogato, arrivò alle seguenti conclusioni: la variazione delle condizioni ambientali e l'accrescimento numerico degli individui di una stessa specie pongono agli organismi viventi «problemi di adattamento»; essi vivono una vera «lotta per l'esistenza»; quelli che riescono a produrre in sé le variazioni (nella loro organizzazione biologica e nelle loro funzioni) adatte alle nuove condizioni, sopravvivono; quelli che non vi riescono arrivano fino all'estinzione; in quelli che sopravvivono i nuovi caratteri acquisiti, stabilizzatisi, si trasmettono «per ereditarietà»; quando essi sono stati acquisiti in modo irreversibile, possono costituire una trasformazione anche tanto radicale da rappresentare una vera mutazione della stessa specie, cioè essi possono dare «origine ad una nuova specie». Con ciò Darwin aveva spiegato la selezione naturale e aveva dato un fondamento all'evoluzionismo; ma non tutti i quesiti erano risolti:
In
quel tempo però non afferrai un problema molto importante ... Mi riferisco alla
tendenza degli organismi discendenti da uno stesso ceppo a divergere nei loro
caratteri, quando si modificano. Che essi si siano molto differenziati è
provato dal fatto che le specie di tutti i tipi possono essere riunite in
generi, i generi in famiglie, le famiglie in sottordini, e cosí via... La
soluzione secondo me consiste nel fatto che la discendenza modificata delle
forme dominanti e in via di sviluppo tende ad adattarsi a parecchi luoghi che
hanno caratteristiche molto diverse nell'economia della natura.
(Autobiografia)
Era dunque spiegata, con la stessa teoria. anche la diversificazione, la differenziazione nell'ambito della stessa specie. Tutto questo Darwin scrisse nell'opera Origine delle specie, libro che ebbe subito un notevole successo di vendite, e trovò fortuna anche all'estero, tanto che in breve tempo fu tradotto in molte lingue. Tra l'altro Darwin osserva con divertito stupore:
Ne
è comparso anche un saggio in ebraico, in cui si dimostra che la mia teoria è
contenuta nel Vecchio Testamento!
(Autobiografia)
Ma quel libro trovò anche irriducibili avversari. Infatti esso poneva il problema della collocazione dell'uomo nella natura. Tale problema «scoppiò» soprattutto quando T. Huxley fece una strenua difesa dell'evoluzionismo; biologo, uomo di ingegno e di cultura, buon oratore, dotato ugualmente di senso dell ironia e di spirito battagliero, Huxley sostenne senza mezzi termini che l'uomo derivava dalle scimmie; tale affermazione fu all'origine di un vivace scontro col vescovo anglicano S. Wilberforce. Infatti l'evoluzionismo sembrava a molti la negazione dell'origine divina dell'uomo, dell'immortalità dell'anima, e di ogni fondamento della vita morale. Questa convinzione alimentava le discussioni non solo nell'ambito della chiesa anglicana, ma anche nei circoli borghesi e conservatori inglesi, stretti nella difesa della posizione «aristocratica» dell'uomo nella realtà naturale; difesa che trovò una formula efficace nell'affermazione di Disraeli che, fra le scimmie e gli angeli, egli preferiva come antenati gli angeli. Lo stesso Darwin si rendeva conto che la sua teoria sollevava problemi d'ordine morale, religioso, teologico, ... ed anche politico. Infatti anche Marx ed Engels scesero in campo manifestando il loro entusiasmo per il darwinismo, che a loro avviso poteva essere esteso alla concezione della storia e della società; infatti i concetti di selezione naturale e di evoluzione potevano costituire la spiegazione «naturale» dello sfruttamento, della lotta di classe, e, in generale, la base di tutto il materialismo storico-dialettico, smentendo quella che essi definirono «la falsa legge di Malthus», che spiegava la lotta tra gli uomini, semplicisticamente, con la sproporzione tra l'incremento della popolazione e quello dei beni di sussistenza.
Di fronte all'enorme cumulo di questi problemi, proposti da ammiratori e denigratori, Darwin conservò un atteggiamento di serietà scientifica, cercando di ribadire e confermare la validità della sua teoria limitatamente al campo biologico (col che, evidentemente, raffreddò gli entusiasmi di Marx). Nell'opera L'origine dell'uomo, egli infatti sostenne:
La
conclusione principale a cui siamo giunti qui... è che l'uomo è disceso da
qualche forma meno altamente organizzata. Le basi di questa conclusione non
saranno mai scosse, data la intima somiglianza tra l'uomo e gli animali
inferiori, nello sviluppo embrionale ed in infiniti punti di struttura e di
costituzione, sia di grande che di lieve importanza; i rudimenti che l'uomo
conserva e le anormali reversioni a cui è occasionalmente soggetto, son tutti
fatti che non si possono confutare. Essi sono noti da lungo tempo, ma fino a
poco fa non ci dicevano niente sull'origine dell'uomo. Ma ora, visti alla luce
delle nostre conoscenze di tutto il mondo dei viventi, il loro significato non
può sfuggire. Il grande principio dell'evoluzione domina chiaro e fermo, quando
questi gruppi di fatti son considerati in rapporto con altri, quali le affinità
reciproche dei membri dello stesso gruppo, la loro distribuzione geografica nel
passato e nel presente, e la loro successione geologica. Non si può
assolutamente pensare che tutti questi fatti dicano il falso. Chi non si
accontenta di pensare (come un selvaggio) che i fenomeni naturali non sono
collegati, non può credere che l'uomo sia opera di un atto separato di
creazione. Egli sarà costretto ad ammettere che l'intima rassomiglianza
dell'embrione umano con quello, ad esempio, di un cane, la struttura del
cranio, delle membra, dell'intera forma somatica dell'uomo ripete lo stesso
modello di quella degli altri mammiferi (indipendentemente dall'uso a cui le
singole parti sono destinate), la ricomparsa occasionale di varie strutture,
per esempio, di parecchi muscoli che normalmente non sono presenti nell'uomo,
ma che sono normali nei quadrumani, ed una quantità di fatti analoghi, tutti
portano nella maniera piú evidente alla conclusione che l'uomo discende da un
progenitore comune agli altri mammiferi.
(L'origine dell'uomo)
Pertanto, come nei regni vegetale ed animale, cosí anche in quello degli organismi umani dominano le leggi dell'ereditarietà, della lotta per l'esistenza e della selezione naturale.
Abbiamo
visto che l'uomo presenta continuamente differenze individuali in tutte le
parti del corpo e nelle facoltà mentali. Queste differenze o variazioni
dipendono dalle stesse cause generali e obbediscono alle stesse leggi che negli
animali inferiori. In entrambi i casi valgono le stesse leggi dell'eredità.
L'uomo tende a moltiplicarsi molto al di là dei suoi mezzi di sussistenza, e di
conseguenza è soggetto occasionalmente ad una grave lotta per l'esistenza e la
selezione naturale agisce su tutto ciò che è nel suo campo d'azione. Non è
affatto necessaria una successione di variazioni molto spiccate di natura
simile, piccole, fluttuanti differenze individuali bastano per l'azione della
selezione naturale; non vi è ragione di pensare che nella stessa specie tutte
le parti dell'organizzazione tendano a variare nello stesso grado. Possiamo
esser certi che gli effetti ereditari del continuo uso o disuso di parti
agiscono intensamente nella stessa direzione della selezione naturale.
Modificazioni dapprima importanti, anche quando non servono piú in qualche
funzione particolare, rimangono per lungo tempo ereditarie. Quando una parte si
modifica, altre parti cambiano per principio di correlazione, di cui abbiamo
esempi in molti strani casi di mostruosità correlative. Si può attribuire
qualche effetto all'azione diretta e definita delle condizioni ambientali, come
l'abbondanza di cibo, il caldo o l'umidità; infine molti caratteri di leggera
importanza fisiologica ed alcuni invece di notevole valore sono stati acquisiti
per selezione sessuale.
(L'origine dell'uomo)
Anzi, proprio in virtù delle leggi generali dell'evoluzione è possibile spiegare le differenze tra le diverse razze umane, e ricondurre queste ad un unico ceppo.
Mediante
i mezzi prima detti e con l'aiuto forse di altri non ancora scoperti, l'uomo si
è elevato al suo stato attuale. E dal momento in cui ha raggiunto il suo posto
di uomo, si è distinto in razze, o, come si possono chiamare piú propriamente,
sotto-specie differenti. Alcune di queste, come i negri e gli Europei, sono
cosí diverse tra di loro, che se si portassero ad un naturalista degli
esemplari, senza nessun'altra notizia, egli le giudicherebbe senza dubbio come
specie differenti. Nondimeno tutte le razze umane concordano in tanti
insignificanti dettagli strutturali e in tante particolarità mentali, da
poterle soltanto attribuire all'eredità da un comune progenitore; un
progenitore con queste caratteristiche avrebbe probabilmente meritato il posto
di uomo.
(L'origine dell'uomo)
Ed è possibile pure individuare gli «antenati» prossimi e remoti dando loro una collocazione nella «serie zoologica».
Se
consideriamo la struttura embriologica dell'uomo, le analogie con gli animali
inferiori, i rudimenti che conserva, e la reversione cui è soggetto, possiamo
in parte immaginare la condizione primitiva dei nostri progenitori e possiamo
approssimativamente collocarli in un posto appropriato nella sene zoologica.
Impariamo cosí che l'uomo è disceso da un quadrupede peloso, provvisto di coda,
probabilmente con l'abitudine di vivere sugli alberi e che abitava il Vecchio
Continente. Se un naturalista avesse esaminato l'intera struttura di questo
essere l'avrebbe classificato tra i Quadrumani, con la stessa sicurezza con cui
avrebbe classificato l'ancora piú antico progenitore delle scimmie del Vecchio
e del Nuovo Continente. I quadrumani e tutti i mammiferi piú elevati derivano
probabilmente da qualche antico marsupiale e questo, attraverso una lunga
discendenza di forme che andavano divergendo, da qualche creatura simile agli
Anfibi, e questi ancora da qualche animale simile ai pesci. Nella profonda
oscurità del passato, possiamo intravedere che il primo progenitore di tutti i
Vertebrati deve essere stato un animale acquatico, provvisto di branchie, coi
due sessi riuniti nello stesso individuo e con la maggior parte degli organi
piú importanti (come il cervello e il cuore) imperfettamente o per nulla
sviluppati. Questi animali dovevano esser piú simili alle attuali ascidie di
mare che a qualsiasi altra forma conosciuta.
(L'origine dell'uomo)
Certo, restano da «spiegare» le qualità intellettuali e morali, e le attitudini e capacità ad esse connesse, che sembrano essere caratteristiche specifiche ed esclusive dell'uomo. Ma Darwin non si sottrasse a questo compito. Egli infatti sostenne che le qualità morali sono espressione matura di istinti sociali propri anche degli animali, di quegli istinti per i quali gli animali si aggregano, ad esempio, secondo «vincoli familiari». E quanto alle facoltà intellettuali superiori (raziocinio, astrazione, autocoscienza), esse sono l'esito del miglioramento di quelle facoltà mentali che anche gli animali mostrano di possedere attraverso il linguaggio e l'arte con cui organizzano la loro vita.
Dopo
essere giunti a questa conclusione sull'origine dell'uomo, la piú grande
difficoltà che si presenta rimane l'alto livello delle nostre facoltà
intellettuali e morali. Chiunque ammetta l'evoluzione sa che le facoltà mentali
degli animali superiori, le quali sono della stessa specie di quelle dell'uomo,
sebbene di grado cosí differente, sono suscettibili di progredire. Cosí il
divario tra le facoltà mentali di una delle scimmie piú elevate e quelle di un
pesce, oppure quelle di una formica e di un coccus, è immenso; inoltre il loro
sviluppo non offre nessuna speciale difficoltà, infatti negli animali domestici
le facoltà mentali sono variabili e le variazioni sono ereditarie. Nessuno
dubita che le facoltà mentali sono della massima importanza per gli animali
allo stato naturale. Vi sono quindi tutte le condizioni per il loro sviluppo
mediante la selezione naturale. La stessa conclusione si può estendere
all'uomo: l'intelletto deve essere stato molto importante per lui anche in un
periodo molto remoto, perché gli ha permesso di inventare e usare il
linguaggio, di costruire armi, utensili, trappole, ecc., in modo che con
l'aiuto della sua abitudine di vivere in società, egli molto tempo fa riuscí a
dominare tutti gli esseri viventi.
Un grande passo nello sviluppo dell'intelletto si ebbe non appena entrò in uso
il linguaggio, per metà arte e per metà istinto; infatti il continuo uso del
linguaggio deve aver agito sul cervello e determinato un effetto ereditario; e
questo a sua volta ha agito sul miglioramento del linguaggio. La grandezza del
cervello dell'uomo, relativamente al corpo, in confronto agli animali inferiori,
può attribuirsi in massima parte ad un primitivo uso di una semplice forma di
linguaggio, quel congegno meraviglioso che assegna parole ad ogni sorta di
oggetti e di qualità, e suscita una serie di pensieri che non sorgerebbero mai
dalla pura impressione dei sensi, o anche se si formassero non avrebbero alcun
seguito. Le facoltà intellettuali piú elevate dell'uomo, come il ragionamento,
l'astrazione, e la coscienza, probabilmente derivarono dal continuo
miglioramento ed esercizio delle facoltà mentali.
(L'origine dell'uomo)
L'uomo dunque, per Darwin, è un essere «superiore», ma le sue origini biologiche sono animalesche; il che non deve procurar vergogna; anzi egli rappresenta proprio la punta piú avanzata dell'evoluzione naturale.