Fin dal principio
della sua carriera di pensatore, Deleuze si è proposto di continuare il
programma nietzscheano di un " rovesciamento del
platonismo ", ossia rovesciamento delle forme tradizionali del pensiero e
più specificamente della rappresentazione, che costituisce il centro e il
termine comune della metafisica, della teoria della conoscenza, della logica e
della morale tradizionali. È un programma che non ha subito variazioni e che
viene fissato nei suoi tratti essenziali già nella prima opera originale di
Deleuze, "Differenza e ripetizione", del 1968. La differenza e la ripetizione , o meglio
un certo modo di concepire la differenza, la ripetizione e il rapporto tra l'una
e l'altra, sono le strutture entro le quali si è cristallizzata la visione
occidentale dell'essere come rappresentazione. Io colgo, comprendo, rappresento
un fenomeno in quanto ne individuo il ripetersi, al variare delle circostanze,
ovvero il ripetersi-con-differenze, la ripetizione assoggettata alla differenza,
e la differenza legata alla ripetizione. Tutto questo insieme poi si offre alla
generalità del concetto, dell'universale: tutti i diversi cavalli che
ripetutamente vedo si trovano avvinti, grazie al gioco di
differenza-e-ripetizione, nella forma unica e normativa del concetto "cavallo".
Ma perché non dovrebbe essere possibile concepire la differenza "in sé", e la
ripetizione "pura"? Perché non dovrebbe essere possibile pensare al di fuori
della generalità, ovvero del combinarsi normativo di differenza e ripetizione? È
ovvio che molte acquisizioni intoccate del pensiero tradizionale vanno riviste:
va rivista anzitutto la dialettica, che sembra uno sconvolgimento o un
"rovesciamento" della rappresentazione, ma in realtà ne è solo la versione "in
movimento": e si tratta ancora di un movimento regressivo e negativo, che tende
a creare zone di realtà privilegiate ed egemoniche. La dialettica è un caso esemplare di asservimento della
differenza al negativo: nell'identità idealistica, hegeliana, ogni differente è
pensato come il negativo ed è perciò sottoposto alla dominanza dell'identico.
Attraverso il dominio del negativo, la dialettica riesce a integrare e
neutralizzare le differenze, esattamente come la ragione metafìsica classica,
che esorcizza le differenze creando "generalità", leggi, princìpi universali.
Come nella logica classica della rappresentazione, anche nella dialettica
sopravvive il dualismo (essere/non essere, soggetto/oggetto, originale/copia).
Il rapporto copia-originale che nella metafisica classica era pensato come nesso
tra due ordini di realtà, una delle quali è gregaria rispetto all'altra, nella
logica dialettica vale come rapporto reciprocamente costitutivo tra la cosa e il
suo doppio, la cosa e l'ombra. L' arte contemporanea,
innegabilmente, ha rotto con questa logica della rappresentazione: presentando
ripetizioni pure, cioè "doppi" o "moduli", oggetti spaesati e spezzati, che
ospitano realtà eterogenee al proprio interno o si scompongono, si sconnettono e
diventano tutto, o qualsiasi altra cosa; sconvolgendo in infiniti modi la logica
dell'originale e della copia; rompendo la chiusura della cornice, oltrepassando
la coppia dogmatica dell'artista e dell'opera, e ogni prevedibile dualismo. Quel
che l'arte ha fatto nella propria "logica" andrebbe fatto anche in filosofia:
occorre una nuova logica, una nuova "immagine del pensiero", ma anzitutto è
d'uopo sconfessare ogni immagine normativa del pensiero, liberare il pensiero
dall'assoggettamento a una forma-immagine predeterminata. Emerge qui l'obiettivo
di una logica dell'emancipazione che è anzitutto emancipazione
della logica all'opera nel pensiero e nella prassi materiale e sociale
(corpo, famiglia). Quel che Deleuze persegue è l'idea di una ricerca filosofica
come individuazione di " nuovi modi di vivere e di pensareunivocità
dell'essere (riprendendo Duns Scoto) come condizione per pensare
l'infinita pluralità delle differenze. In base all'univocità dell'essere
(operazione in se stessa affermativa, poiché assegna una stessa dignità
ontologica ai modi dell'ente, non li gerarchizza più in base al negativo,
all'esclusione), si può cogliere la pluralità degli enti senza soggiogarli gli
uni agli altri, senza postulare il primato della ragione sulla follia, o del
soggetto sull'oggetto, o la gregarietà dell'"altro" rispetto al "medesimo". Più
in generale e più radicalmente, è possibile sottrarsi a un'immagine del pensiero
il cui ultimo esito sarebbe "
impedirci di pensare ".
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