GILLES DELEUZE
A cura di Diego Fusaro
" Chi ha già avuto un'idea e ne ha fatto un film sa che avere
un'idea non è il semplice risultato di una riflessione. Avere un'idea è una
specie di festa, non è una cosa che accade correntemente. "
IL CINEMA DEL PENSIERO
Gilles Deleuze, ne
"L'immagine-movimento" e ne "L'immagine-tempo", scritti entrambi negli anni
Ottanta, sostiene la tesi secondo la quale, nonostante la grande abbondanza di
mediocrità presente nella produzione cinematografica, i grandi autori del cinema
possono essere paragonati non soltanto ad altri artisti, quali architetti,
pittori o musicisti, ma anche a dei pensatori, che pensano attraverso delle
"immagini-movimento" e delle "immagini-tempo" al posto dei concetti. Deleuze
riallaccia le sue riflessioni sul cinema alle concezioni di Henry Bergson sulla
natura del movimento e del tempo. Il cinema attraverso il montaggio arriva a
dare un'immagine del tempo che può essere diretta se legata alle immagini-tempo
o indiretta se proveniente dalle immagini-movimento e dai loro rapporti. Nella
contrapposizione elaborata da Bergson tra il tempo inteso come durata nella
coscienza e il tempo misurabile della matematica e degli orologi, il cinema si
presenta come l'esempio tipico del falso movimento: esso, infatti, procede con
due dati complementari, delle sezioni istantanee che si chiamano immagini e un
movimento, o tempo impersonale, uniforme e astratto, che è nella macchina da
presa e con cui si fanno "sfilare" le immagini. Il cinema dunque ricostruisce il
movimento con delle sezioni immobili come il più vecchio dei pensieri (paradosso
di Zenone). Tuttavia, sostiene Deleuze, non si può concludere l'artificialità
del risultato a partire dall'artificialità dei mezzi: infatti il cinema, sebbene
proceda con fotogrammi che sono delle sezioni immobili di tempo (sequenze di 18
o 24 immagini al secondo), ci restituisce un'immagine media (ovvero risultante
dalla somma di tutti i fotogrammi) a cui il movimento non si aggiunge
astrattamente, ma che appartiene invece all'immagine come dato immediato.
Attraverso la cinepresa mobile e il montaggio, il cinema non ci offre
un'immagine alla quale aggiungerebbe, solo in un secondo momento, il movimento,
ma ci dà immediatamente un'immagine-movimento. Attraverso l'inquadratura, la
macchina da presa ritaglia dallo spazio aperto del mondo un sistema chiuso, una
sezione mobile del tempo-durata, un sottoinsieme fatto di immagini, di
personaggi e di oggetti posti in relazione dinamica tra di loro. A differenza di
quelle arti fatte di pose (scultura, pittura, fotografia), le quali rimandano a
forme e idee eterne ed immobili, il cinema, come la danza e il mimo, libera
valori "non-posati", riporta il movimento all'istante qualsiasi; esso non cerca
il "tutto", poiché il movimento si fa solo se il tutto non è né può essere dato:
appena ci si dà il tutto, il tempo diviene immagine dell'eternità e di
conseguenza non c'è più posto per il movimento reale che è puro divenire senza
sosta. Queste riflessioni aprono la possibilità per una nuova filosofia: mentre
la filosofia antica si proponeva di pensare l'eterno, l'universale, il cinema
diventa il portavoce dell'altra filosofia, capace di un modo di pensare nuovo
che cerca il singolare, in ogni istante qualsiasi. L'inquadratura, il piano e il
montaggio sono i mezzi attraverso i quali il cinema costruisce il suo sistema di
relazioni tra immagini. L'inquadratura è il punto di vista, il sistema chiuso
che comprende tutto ciò che è presente nell'immagine. Essa può comporsi secondo
schemi geometrici, dinamiche di luci e ombre, "disinquadrature" e fuori campo, e
il suo scopo è rendere l'immagine leggibile, oltre che visibile, dallo
spettatore. Il piano rappresenta il movimento stesso, il rapporto tra le parti e
il cambiamento che ne scaturisce è l'immagine-movimento stessa, la sezione
mobile della durata secondo la visione bergsoniana. Attraverso esso si rende
possibile una modulazione spazio-temporale grazie alla quale il tempo assume il
potere di dilatarsi o concentrarsi e il movimento assume il potere di rallentare
o accelerare. Infine il montaggio che rappresenta il tutto del film, l'idea che
ci fa dono di un'immagine della durata e del tempo effettivi. Deleuze,
ripercorrendo la storia del grande cinema d'autore, individua diverse scuole di
montaggio che sembrano segnare un percorso di trasformazione da un cinema
classico a un cinema moderno che si differenziano per la diversa immagine del
tempo che hanno saputo dare: mentre il cinema classico ha veicolato un'immagine
indiretta del tempo, proveniente dalle immagini-movimento e dai loro rapporti,
il cinema moderno ha dato un'immagine diretta del tempo grazie ad immagini-tempo
che hanno instaurato nel cinema un regime di scambio tra immaginario e reale,
tra soggettività e oggettività, con il fine di comunicare l'idea del passaggio,
del cambiamento quale natura stessa del tempo. Deleuze concepisce il tempo quale
direttamente rappresentabile poiché l'immagine-tempo ha la facoltà di esprimere
la natura del tempo, il fuggevole, in una forma compiuta: "ma la forma di ciò
che cambia, non cambia, non passa. È il tempo, il tempo in persona…un'immagine
tempo diretta, che da a ciò che cambia la forma immutabile nella quale si
produce il cambiamento". Tra gli autori di immagini-movimento, Deleuze individua
diverse forme di montaggio utilizzate: la tendenza organica della scuola
americana, la tendenza dialettica della scuola sovietica, la tendenza
quantitativa della scuola francese d'anteguerra e infine la tendenza intensiva
della scuola espressionista tedesca. La scuola americana concepisce con Griffith
un'idea di montaggio in cui i personaggi e le azioni sono presi in rapporti
binari che costituiscono un montaggio alternato parallelo, con l'immagine di una
parte che succede a quella di un'altra seguendo un ritmo, un'alternanza delle
parti differenziate; ad esempio, il mondo dei poveri e il mondo dei ricchi,
oppure il mondo dei buoni e quello dei cattivi, vengono presentati come sfere in
conflitto, indipendenti le une dalle altre, appunto come modi paralleli,
manicheicamente opposti, mentre si trascura il fatto, commenta Deleuze, che le
parti in opposizione sono in realtà il frutto di una stessa causa, le due facce
della stessa realtà sociale di sfruttamento. Le parti distinte entrano in
conflitto, ma le azioni tendono a ricongiungersi, fino ad arrivare ad una
situazione trasformata che costituisce una grande unità organica. Nei film russi
di Eisenstein, Vertov, Pudovkin e Dovzenco l'obiettivo del montaggio è quello di
comunicare l'idea di una meta unitaria da raggiungere (presa di coscienza,
azione politica) attraverso una giustapposizione di situazioni legate tra loro e
in evoluzione. L'opposizione dialettica, il passaggio da un opposto all'altro si
realizzano attraverso il ricorso al patetico (l'immagine viene caricata di una
tensione emotiva fino ad esplodere, ed emergere dall'insieme come "immagine al
quadrato"; pensiamo, ad esempio, alla carrozzina del Potëmkin.) e al montaggio
di opposizione: questo si differenzia dal montaggio parallelo poiché l'unità a
cui riporta non è un semplice assemblaggio di parti giustapposte, ma una spirale
organica che cresce attraverso le contraddizioni per arrivare ad un'unità più
elevata, appunto ad una sintesi dialettica. Il cinema francese degli stessi anni
è profondamente legato, invece, allo spiritualismo. Il movimento della macchina
da presa rispecchia il movimento dell'anima, la passione. Le diffuse immagini
d'acqua (mare, fiumi, riprese subacquee) diventano la forma di quanto non ha
consistenza organica: l'astratto, lo spirito (ne "L'Atalante" di Jean Vigo
l'acqua diventa il luogo dell'apparizione di fantasmi). Attraverso il montaggio
accelerato, la polivisione, la sovrimpressione delle immagini, il tempo e il
movimento diventano smisurati, incommensurabili: il sublime matematico kantiano
fa così la sua apparizione nel cinema. Il senso del sublime dinamico, invece,
emerge dai giochi di luce nei film dell'espressionismo tedesco. Il contrasto
diventa la matrice del montaggio, luce e ombra creano un mondo striato, lo
spazio è costruito attraverso una geometria gotica. La luce che si oppone alle
tenebre, la vita che lotta con l'inorganico per emergere atterrisce
l'immaginazione, ma dà vita allo stesso tempo ad una facoltà pensante attraverso
cui ci sentiamo superiori rispetto a tutto ciò che ha il potere di annientarci.
(Nosferatu di Murnau, Der Golem di Wegener, Frankenstein di Whale). Con
l'immagine-tempo il montaggio tende quasi a scomparire a vantaggio del piano
sequenza e della profondità di campo: l'uno trasmette il senso della continuità
di durata, l'altro (sperimentato da Welles), facendo comunicare lo sfondo con il
primo piano, il lontano con il vicino, rappresenta il rapporto tra passato e
presente, ovvero un'immagine-tempo diretta. L'immagine-tempo inaugura uno stile
frammentato che abbandona l'idea di montaggio come associazione, concatenamento
tra immagini, per dare importanza alla spaziatura, al vuoto che si crea tra le
immagini. Mentre l'immagine classica costruiva sequenze di montaggio secondo
leggi di associazione o opposizione che sfociavano poi in concetti, l'immagine
moderna instaura un "regno degli incommensurabili", in cui le immagini non si
associano più in maniera razionale, ma vengono spezzettate per poi essere
riconcatenate. Il fuori campo e il falso raccordo assumono un nuovo senso. In
Godard, ad esempio, a differenza del cinema classico dove persisteva l'ideale
dell'identità e del sapere come totalità e armonia, il mixage sostituisce il
montaggio: le immagini appaiono dissociate, non c'è più unità tra autore,
personaggi e mondo; il rapporto tra il sonoro e il visivo diventa asincronico,
la voce fuori campo si fa indipendente dalle immagini e la sua funzione è quella
di produrre un sistema di sganciamenti e intrecci tra presente e passato.
Qualunque sia la forma di montaggio scelta, la macchina da presa agisce come una
coscienza giudicante, ritaglia una visione particolare dal flusso continuo della
materia e, isolando una sezione nell'insieme infinito delle immagini, agisce
come lo schermo nero posto dietro la lastra fotografica che fa sì che l'immagine
si distacchi. Deleuze costruisce una vasta tassonomia di immagini
cinematografiche, elaborandola sulla scia del sistema di classificazione
generale delle immagini e dei segni stabilito dal logico americano Peirce. Se
un'immagine può esprimere un concetto, possiamo pensare allora che esistono
convenzioni simboliche e discorsive per interpretare i segni cinematografici?
Ovvero esiste un repertorio codificato di immagini-significato come nella lingua
oppure un'immagine, a differenza di una parola, non significa sempre la stessa
cosa? Nel cinema troviamo tre tipi di immagini a costituire
l'immagine-movimento: immagini affezione e pulsione (rappresentano la "primità",
secondo la semiotica di Peirce), immagini azione ("secondità"), immagini
relazione ("terzità"). Vi sono immagini che hanno una relazione per così dire
"naturale" con le cose che rappresentano, come nel caso di un ritratto che viene
associato automaticamente al suo modello. Ciò che lega le due entità è
soprattutto l'abitudine a vederle associate, il patrimonio comune di gesti che
tutti noi compiamo; così, ad esempio, l'apparizione di un'arma richiama subito
un significato di violenza o di dolore. Queste immagini sono dei cliché. In
questo senso l'immagine filmica, come l'immagine poetica, non significa ma
mostra, non è segno ma intuizione lirica, senso immanente all'immagine stessa,
realtà direttamente presente senza mediazione simbolica o riformulazione del
reale stesso. Il primo piano cinematografico è un'immagine affezione e il suo
ruolo è quello di astrarre l'immagine dalle coordinate spazio-temporali per
trasformarla in icona, espressione pura di un affetto che non esiste
separatamente da ciò che lo esprime: nel vedere un volto sofferente vediamo la
sofferenza in persona. L'immagine affezione esprime qualità o potenze
considerate in sé, senza riferimento a nient'altro. L'affetto è impersonale,
esprime il possibile senza attualizzarlo e si distingue da ogni stato di cose
individuato, ma allo stesso tempo esprime qualcosa di singolare, all'interno di
una storia che lo presenta come l'espressione di un'epoca o di un ambiente. Il
film affettivo per eccellenza è, secondo Deleuze, La passione di Giovanna D'Arco
di Dreyer. Il regista astrae la passione dal processo attraverso un predominanza
di primi piani del volto della santa, mentre il piano medio e quello generale
sono costruiti con assenza di profondità come fossero anch'essi primi piani.
Anche uno spazio qualsiasi può esprimere qualità e potenze ed essere quindi
un'immagine affezione. A metà strada tra l'immagine affezione e l'immagine
azione troviamo l'immagine pulsione, la quale rappresenta un affetto degenerato
che si manifesta in un'azione "embrionata", informe o perlomeno non formale.
Troviamo immagini pulsione in tutti i film naturalisti; le pulsioni
rappresentate sono spesso semplici come la fame ed il sesso e sono inseparabili
dai comportamenti perversi che producono e animano. Buñuel, considerato con
Stroheim e Losey uno dei massimi naturalisti del cinema, ha arricchito
l'inventario di pulsioni e perversioni spirituali ancora più complesse,
riguardanti questioni teologiche e filosofiche (in Simon del deserto, ad
esempio). A differenza del realismo che si esprime attraverso immagini azione,
il naturalismo esprime una violenza statica, interiore, che si impossessa dei
personaggi e fuoriesce da essi fino a penetrare l'ambiente e a degradarlo.
L'immagine-azione o "secondità" rappresenta tutto ciò che esiste solo
opponendosi a qualcos'altro, come in una relazione duale: azione-reazione,
eccitazione-risposta, situazione-comportamento. Ci troviamo all'interno della
categoria del reale, dell'attuale, dell'esistente, dove le qualità e le potenze
si attualizzano in stati di cose particolari. Siamo nell'ambito del realismo, il
genere che ha fatto trionfare universalmente il cinema americano. Nel regno
della "secondità" la situazione e il personaggio (o l'azione) sono due termini
correlativi e antagonisti: l'ambiente agisce sul personaggio, il personaggio
reagisce a sua volta in modo tale da rispondere alla situazione e modificare
l'ambiente, pervenendo dunque ad una nuova situazione. Molti generi di film
hanno una simile struttura: tutti i film di guerra; i film-documentario
(Flaherty), dove si vede l'uomo, o la natura in genere, fronteggiare le sfide
dell'ambiente; i film psico-sociali (King Vidor, Elia Kazan), dove da una
comunità emerge la figura di un capo in grado di rispondere alle difficoltà
della situazione (qui il realismo descrive una patologia dell'ambiente e le
reazioni ad essa da parte dei personaggi che la subiscono); i film western (John
Ford), dove il duale, lo scontro tra due forze antagoniste si esprime attraverso
la rappresentazione del duello; i film storici (Griffith, De Mille, Hawks), dove
sotto la forma dell'immagine-azione troviamo rappresentati i tre aspetti della
storia definiti da Nietzsche: l'aspetto monumentale nei paralleli o nelle
analogie tra una civilizzazione e un'altra (ha il suo capolavoro in Intolerance
di Griffith), l'aspetto antiquario nelle ricostruzioni scenografiche e
costumistiche, l'aspetto critico nella struttura stessa del film, da cui emerge
sempre e comunque un forte giudizio etico sul passato narrato dalla storia.
L'immagine azione ha tuttavia anche un'altra forma, una piccola forma sostiene
Deleuze, dove questa volta è l'azione che svela la situazione, o un aspetto di
essa, la quale a sua volta dà inizio ad una nuova azione. La nuova immagine
azione procede per indizi, per ellissi e per equivoci. L'azione svela una
situazione non data che viene dedotta dall'azione stessa, oppure una
piccolissima differenza tra due azioni produce una grandissima distanza tra due
situazioni, delle quali una sola è reale e l'altra apparente o menzognera.
Questa nuova formula dell'immagine è comune a molti film gialli o polizieschi e
al burlesque: in molti film di Chaplin l'azione è filmata mettendo in evidenza
ogni sua più piccola differenza rispetto ad un'altra azione, per svelare così la
grande distanza tra due situazioni. Deleuze cita l'esempio di Charlot che in
guerra segna un punto ogni volta che spara, ma quando una pallottola nemica gli
risponde, lo cancella. All'ultima categoria, detta "terzità", appartengono
quelle specie di immagini (immagini relazione) che hanno una relazione
"astratta" con il senso che veicolano. Questa relazione è costruita su una
convenzione e di conseguenza queste immagini rendono il film più difficile: esse
vanno interpretate in quanto non sono leggibili intuitivamente e il loro senso
va cercato nella storia che le riguarda, nella loro funzione di simbolo
all'interno della cultura a cui appartengono, nel tessuto relazionale in cui
sono inserite. Per esempio i gabbiani che attaccano gli uomini nel film Gli
uccelli di Hitchcock (massimo creatore di immagini relazione secondo Deleuze)
sono il simbolo (relazione astratta) dell'inversione del rapporto uomo-natura, e
soltanto intuendo questa relazione siamo in grado di comprendere il senso
dell'intero film. Ma sono proprio queste immagini ad avvicinare il cinema al
pensiero e ad allontanarlo dai luoghi comuni. Deleuze si serve della
classificazione delle figure del discorso di Fontanier per descrivere le diverse
forme assunte dall'immagine relazione: così un'immagine può avere il valore dei
tropi letterari ed essere letta come una metafora, una metonimia o una
sineddoche oppure valere come allegoria, simbolo, sillogismo, e animare delle
figure di pensiero. Il cinema può porre ora delle domande trascendenti o
esistenziali, domande su Dio o sulla vita, e le pone attraverso delle immagini
mentali che non rappresentano il pensiero di qualcuno, ma concernono gli stessi
oggetti che possiedono un'esistenza propria al di fuori del pensiero e la
relazione che si stabilisce tra essi. L'interpretazione si fa necessaria per la
comprensione di queste immagini, per cogliere la relazione che le lega, poiché
esse non sono unite naturalmente nello spirito, ma in virtù di una legge
esterna. Il mentale mette in crisi l'immagine tradizionale del cinema e anche se
si continuano a fare film d'azione, essi non esprimono più la vecchia anima del
cinema che ora esige sempre più pensiero. La crisi dell'immagine azione dipende,
secondo Deleuze, da molte variabili, dalla guerra e dalle sue conseguenze, dal
vacillare del sogno americano, dall'inflazione delle immagini nel mondo esterno
e nella mente della gente e dall'influenza sul cinema delle nuove tipologie del
racconto, già sperimentate dalla letteratura. Cadono le illusioni e il realismo
non è più in grado di raccontare il nuovo stato di cose. L'immagine non rinvia
più a una situazione sintetica, ma dispersiva; i personaggi sono molteplici e
non è più possibile distinguere un personaggio principale da uno secondario. La
realtà stessa sembra lacunosa e confusa e il caso sembra essere il solo filo
conduttore che lega gli avvenimenti. L'azione viene sostituita dalla flanerie,
dal vagare senza meta e la nuova immagine vuole superare quelli che ormai sono
diventati i cliché dell'immagine azione (gli eroi, il lieto fine). Il cinema
americano si limita in questo nuovo contesto ad una mera critica, ad una
denuncia che costituisce però una semplice parodia dei cliché che non conduce a
nulla e che dunque non è pericolosa. Il nuovo progetto estetico, e politico,
nasce in Europa con il Neorealismo in Italia, prosegue con la Nouvelle Vague in
Francia e va oltre, fino a cambiare lo stesso cinema americano, con Welles e il
New American Cinema, ed arrivare ad oggi con una ricerca che non sembra ancora
esaurita. Con l'immagine mentale, l'immagine-movimento arriva al proprio limite,
aldilà di essa troviamo l'immagine-tempo, costituita a sua volta da immagini
ottico-sonore pure, immagini ricordo, immagini sogno, fino ad arrivare alle
immagini cristallo. La nuova immagine allude a visioni del mondo alternative
dove il tempo può seguire una linea spezzata o un percorso circolare e non
essere più strutturato secondo l'idea di un fine a cui tendere. La realtà assume
una nuova forma che è errante, ellittica, sempre ambigua. Il Neorealismo
inaugura un nuovo cinema che Deleuze definisce del "veggente". Alle situazioni
senso-motorie del vecchio cinema d'azione realista si sostituiscono delle
situazioni puramente ottiche e sonore: i personaggi dei nuovi film sembrano
essere divenuti essi stessi degli spettatori di una situazione che subiscono
senza poter reagire. Il personaggio è come consegnato a una visione piuttosto
che impegnato in un'azione. I bambini, che nel mondo adulto soffrono "di una
certa impotenza motoria", sono spesso i protagonisti (in De Sica e in Truffaut)
proprio perché più capaci di vedere e di sentire. Gli ambienti e gli oggetti che
popolano le inquadrature acquistano valore per se stessi (Visconti e Antonioni).
La banalità quotidiana oppure i ricordi d'infanzia, i sogni e le immagini
soggettive animano le nuove immagini fino a confondere la realtà con lo
spettacolo (Fellini); la realtà trascorre nell'immaginario e ne esce deformata
dal pensiero, diviene una nuova realtà, creata dalla mente attraverso la parola
e la visione, finché attuale e virtuale, reale e immaginario si fanno
indiscernibili. Spesso nella sceneggiatura è assente ogni intreccio, proliferano
i tempi morti e le conversazioni banali, oppure il silenzio. Le nuove immagini
che esprimono il divenire, il passaggio, rappresentano l'essenza del tempo.
Immagini visive e sonore rendono sensibili il tempo e il pensiero e fanno di
essi uno strumento di conoscenza. L'immagine ottico-sonora rievoca un'immagine
ricordo: l'immagine attuale (descrizione) si concatena con un'immagine virtuale
(ricordo) componendo un circuito che va dal presente al passato per tornare al
presente, attualizzando il ricordo attraverso il meccanismo del flash-back.
Attraverso questo tipo di montaggio (di cui Mankiewicz è il più grande maestro,
secondo Deleuze) si producono delle relazioni non lineari tra le situazioni, si
impongono delle svolte nella narrazione, delle rotture di causalità che creano
degli enigmi. Ancora una volta si instaura un circuito di indiscernibilità tra
l'immagine attuale del presente e l'immagine attualizzata del virtuale-ricordo,
mentre le immagini sogno emergono quando non si riesce a ricordare e l'immagine
attuale del presente entra in contatto con l'elemento virtuale del sogno o del
déjà-vu. Da questo nuovo tipo di immagine nasce il confronto tra cinema e
psicanalisi e da qui ha anche origine il Surrealismo (Buñuel). Il montaggio è
fatto da dissolvenze e sovrimpressioni che esprimono l'idea di un coinvolgimento
del passato nel presente in una forma anarchica e da tagli improvvisi delle
sequenze che producono l'idea di uno sganciamento, di una rottura. Si tratta per
Deleuze (che riprende la teoria bergsoniana del sogno) di falde di passato
fluide che emergono disordinatamente incarnandosi in delle metafore, senza
presentarsi direttamente in immagini attualizzate del passato (come avviene nel
ricordo). Tra le immagini sogno Deleuze pone anche i film della commedia
musicale (i film di Minnelli fra tutti), in cui le danze sembrano voler
riprodurre un mondo onirico, creare un sogno gigantesco ed esprimere il
passaggio da questo alla realtà in un andirivieni che di nuovo marca
l'indiscernibilità tra reale e immaginario. Infine l'immagine cristallo. Essa si
produce quando "l'immagine ottica attuale si cristallizza con la propria
immagine virtuale", quando l'immagine presenta una doppia faccia insieme attuale
e virtuale, producendo una nuova forma di indiscernibilità. Deleuze parla di
immagini doppie per natura nelle quali l'indiscernibilità tra attuale e
virtuale, presente e passato, reale e immaginario, vero e falso non si produce
nella mente dello spettatore, ma è un vero e proprio carattere oggettivo di
questo tipo di immagini. Un esempio efficace di immagine cristallo è l'immagine
allo specchio: "l'immagine allo specchio è virtuale in rapporto al personaggio
attuale che lo specchio coglie, ma è attuale nello specchio che lascia al
personaggio soltanto una semplice virtualità e lo respinge fuori campo". Tra i
numerosi autori di immagini cristallo ricordati da Deleuze ci sono Orson Welles
(ne la Signora di Shangai si ricorda la celebre sequenza della stanza degli
specchi), Tarkovskij (un suo film si intitola appunto Lo specchio), Resnais (la
confusione di passati-presenti di L'anno scorso a Marienbad). L'immagine
reciproca del cristallo, presente e passata contemporaneamente, somiglia
all'illusione della paramnesia, al déjà-vu: ricordo del presente, passato
contemporaneo al presente stesso. Tuttavia l'immagine cristallo non ha una
natura mentale o psicologica, ma esiste fuori della coscienza e nel tempo, quasi
come un frammento di tempo allo stato puro. Il passato si forma
contemporaneamente al presente e non dopo di esso e dunque il tempo si sdoppia
in ogni istante e l'immagine attuale del presente che passa si forma
simultaneamente all'immagine virtuale del passato che si conserva, fino a
formare un circolo. Il reale si colloca all'esterno dell'immagine cristallo,
l'avvenire è al di fuori del circolo, oltre l'eterno rinvio tra passato e
presente. Molti autori di cinema scelgono di restare intrappolati nel cristallo,
come Visconti, altri cercano uno slancio verso l'avvenire, Renoir ad esempio,
altri ancora, come Fellini, si pongono il problema di come entrare nel cristallo
e si aiutano con ricordi d'infanzia, fantasmi, fantasticherie.
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