GIULIO CAMILLO DELMINIO
A cura di Nicola Guerra
Vita
Giulio Camillo Delminio fu uno degli uomini più conosciuti, ammirati, invidiati del XVI secolo; suscitava in chi aveva la fortuna e l'onore di conoscerlo un misto di derisione, ammirazione, disprezzo e, soprattutto, curiosità. Era grassissimo, lento, amava mangiare, bere e andare a donne: era insomma un personaggio che poteva far qualunque effetto, ma certo non lasciar indifferenti.
Le fonti sulla sua vita sono due biografie scritte entrambe nel XVIII secolo da Federigo Altan e Giorgio Liruti, entrambe reperibili in biblioteche universitarie, ed entrambe accessibili dal punto di vista del contenuto.
Camillo nacque nel 1480 a Portogruaro in una famiglia abbastanza ricca ma la cui ricchezza era da condividere con un gran numero di fratelli; egli per tutta la vita andò vantandosi di avere immensi patrimoni e possedimenti, ma nessuno di fatto ebbe modo di sapere se fosse vero.
Ben presto Camillo andò a cercar fortuna nella metropoli di allora, Venezia, dove ebbe come guida e insegnante Niccolò Dolfin: lì fece un importante incontro, e cioè Girolamo Muzio, suo amico di tutta una vita, tanto che la ritroveremo proprio nel punto culminante della sua esistenza, quando scrisse L'Idea del Theatro.
A Venezia incontrò Erasmo da Rotterdam e, in seguito, divenne professore di eloquenza a Udine, dove ebbe l'onore di essere membro di diverse accademie ed ebbe modo di studiare cabala e astrologia.
In questo periodo, la mente di Camillo concepì il suo grande disegno, e cioè quello di racchiudere tutto lo scibile umano, tutta l'umana sapienza, tutto ciò che un uomo abbia mai concepito, all'interno di un grande teatro di legno: chi avesse potuto vederlo e consultarlo, avrebbe acquisito la conoscenza e la sapienza assolute, come vedremo meglio in seguito.
Per realizzare questo grande teatro, ci voleva un committente, un uomo ricco e potente con molti soldi: quest'uomo era il grande Francesco I.
Francesco I era re di Francia e proseguì il grande progetto di Carlo VIII di annettersi l'Italia e renderla una provincia francese e in ciò dovette scontrarsi con la fiera opposizione di Carlo V d'Asburgo in un duello decennale, che si concluse con la vittoria di Carlo V, il quale si tenne gran parte delle province italiane, ma il cui regno declinò poco dopo alla morte del suo diretto discendente, Filippo II.
Comunque, Francesco I tra una guerra e l'altra decise di finanziare Camillo con la colossale cifra di 600 scudi d'oro, a patto di ricevere questo teatro per diventare sapiente; ovviamente tutto questo favore da parte di una persona onnipotente come Francesco I attirò al povero Camillo l'odio di tutta una serie di persone, tra cui un tal Paolo Giovio, che lo odierà tutta la vita, ed Etienne Dolet che lo considerava solo un buffone e un ciarlatano, e farà di tutto per screditarlo di fronte agli altri intellettuali.
Fu in questo periodo che Camillo incontrò un amico di Erasmo da Rotterdam, Viglio Zwichem, unico nella storia che abbia potuto vedere il famoso Teatro, di cui Camillo in questo periodo aveva già costruito un modellino (non l'originale, che doveva essere enorme) in cui si poteva entrare e vedere o almeno avere un'idea di cosa il Teatro dovesse essere.
Zwichem disse a Erasmo che Camillo sembrava un invasato, e lo descrisse come grasso e balbuziente, e disse che era convinto di poter racchiudere tutta l'umana sapienza nel Teatro, e chi avesse avuto modo di consultarlo, avrebbe acquisito la Conoscenza; disse anche però che a suo parere non era attendibile e inoltre il tutto non era ancora pronto, con buona pace di Francesco I che intanto smaniava ed era sempre più impaziente.
Comunque, dato che ancora una volta Camillo non ebbe nulla da presentare a Francesco I (non si sa che fine abbia fatto il famoso teatro modellino di Zwichem, come vedremo in seguito), il Nostro iniziò a doversi cercare ben altri protettori, meno ricchi e meno abbienti, come il marchese d'Avalos, governatore di Milano che comunque, nel suo piccolo, gli offrì ben 400 scudi.
In questo periodo però accade un evento interessante della vita di Camillo: un giorno, mentre era in giro con Giuseppe Betussi, un leone andò loro incontro; tutti fuggirono, tranne Camillo e non per fornire gran prova di sé, ma perché era troppo grasso e non riusciva muoversi; il leone rimase tranquillo e si fece perfino accarezzare la criniera. Camillo interpretò il tutto in chiave magico-ermetica: egli era un mago solare, in grado di ammansire gli animali per le sue virtù solari, e questo episodio, con relativa interpretazione, sarà incluso anche nella sua opera più importante, l'Idea del Theatro di cui parleremo ora.
Il Marchese d'Avalos, per la grande cifra sborsata, voleva qualcosa in cambio, e cioè che Camillo stendesse il suo progetto e lo mettesse sulla carta, e il Nostro, pur di gran malavoglia lo fece e decise di scrivere quello che diventerà l'opera sua maggiore: l'Idea del Theatro.
La scrisse in atmosfera da rito esoterico, in sette notti, aiutato dal fedele amico di una vita, Muzio; questo fu il compimento della sua vita in quanto il Teatro vero e proprio non era stato realizzato e quello visto da Zwichem non si sapeva dove fosse.
Arriviamo al 1544: ormai Camillo è anziano, i suoi vizi hanno minato la sua salute, è sempre più deluso del disinteresse dei "grandi" del suo secolo e si spegne così, in una notte in cui esagerò con cibo, donne e vini.
Il Teatro
Il grande progetto di Camillo, il suo Teatro, di cui l'opera Idea del Theatro non è che un progetto scarno, aveva l'obiettivo di evocare e possedere tutta l'umana sapienza ed era il ribaltamento del Teatro tradizionale; mentre infatti in un qualunque teatro lo spettatore sta nella platea e lo spettacolo avviene sul palco, nel Teatro camilliano (secondo la testimonianza di Viglio Zwichem), lo spettatore, cioè colui che voleva attingere all'umana sapienza, stava sul palco e il contenuto del teatro era in platea.
La platea era infatti suddivisa in 7 grandi gradini, ognuno dei quali contrassegnato con una diversa immagine (Primo grado, Convivio, Antro, Gorgoni, Pasife, Talari, Prometeo) e ognuno suddiviso in sette parti, corrispondenti ai sette pianeti (Luna, Mercurio, Marte, Giove, Sole, Saturno, Venere).
A questo punto avremo quarantanove intersezioni: ognuna di queste era contrassegnata da un'altra immagine mnemonica desunta dalla mitologia; ognuna di esse rappresentava una parte dello scibile umano (ad esempio la cucina, la teologia, il sesso…).
Era questo il progetto camillano: chi lo avesse consultato, avrebbe attinto alla conoscenza totale e avrebbe percorso nella sua mente tutta la sapienza umana.
Ma Camillo ha mai realizzato questo teatro? Secondo Zwichem, un modello almeno l'aveva partorito, ma il problema è che nessuno (nonostante dopo la sua morte il suo editore avesse scatenato tutti i suoi collaboratori per trovarlo) era riuscito a trovarlo. Difficile ormai stabilirlo, anche se è difficile pensare che Camillo sia riuscito a ingannare un'intera generazione di intellettuali e potenti, che sempre lo chiamarono, per il suo ardito progetto, pur mai realizzato, "Divino Camillo".
Ad ogni modo, il Nostro dimostra di inserirsi appieno nella cultura Rinascimentale, così anelante ad un'unità irrimediabilmente lontana, ma non per questo meno struggentemente inseguita.