DE LUBAC
Henri De Lubac (20 febbraio 1896 - 4 settembre
1991) è uno dei più insigni teologi cattolici del Novecento, oltre che uno dei
principali ispiratori del Concilio Vaticano II; egli godette delle simpatie di
Giovanni Paolo II, che lo volle cardinale, ma fu poi oggetto di ostilità da
parte di Pio XII e dei teologi di ispirazione neotomista. Con Jean Daniélou
(1905-1974), De Lubac diresse l’importante collana intitolata “Sources
chrétiennes”. Compì studio vari e approfonditi, che spaziavano dalla tradizione
cristiana patristica e medievale alle filosofie non cristiane e contemporanee.
Al cuore della sua riflessione sta l’attenzione per la tradizione, specialmente
quella patristica: da essa egli trae i motivi ispiratori del proprio pensiero,
che sono la centralità del sovrannaturale, la Chiesa come mistero di unità, la Bibbia come vivente ricchezza di significati simbolici. A partire dalla sua prima
opera, Cattolicismo (1937), De Lubac mette in luce la propria abilità
nel far affiorare nuove dimensioni e nuovi scorci dei problemi filosofici e
religiosi. Egli rifiuta, soprattutto nel saggio del 1946 sul tema della grazia
(intitolato Soprannaturale), la “dottrina dei due piani” invalsa col
Concilio di Trento, la quale sosteneva il carattere estrinseco dell’ambito
della grazia rispetto a quello della natura. Secondo tale dottrina, la natura
avrebbe un proprio ordinamento e un suo fine specifico e autonomo. Facendo
valere una posizione fortemente unitaria, De Lubac recupera la prospettiva di
Tommaso d’Aquino, secondo la quale è possibile parlare di naturale desiderio
nell’uomo della visione beatifica. Superando con risolutezza ogni concezione
dicotomica dell’essere umano e, insieme, ponendo l’accento sull’autonomia
assoluta della realtà naturale, collocata non più su un piano inferiore
rispetto a quello sovrannaturale, De Lubac fa valere una posizione unitaria e
di forte sapore tomistico. Con la pubblicazione dell’opera Il dramma
dell’umanesimo ateo, del 1944, De Lubac si confronta con la problematica
dell’ateismo filosofico nelle sue molteplici declinazioni: di esso, il
pensatore francese accoglie alcune tesi, ma rigetta totalmente la convinzione
secondo la quale l’affermazione di Dio implicherebbe necessariamente la
negazione dell’uomo. In rottura con questa tesi, De Lubac guarda a Kierkegaard
e a Dostoevskij per capovolgere le posizioni dell’ateismo filosofico,
sostenendo a più riprese che è la negazione di Dio a produrre la negazione
dell’uomo. Come prove lampanti del suo asserto, De Lubac può portare tutte le tragedie
che hanno costellato il Novecento e che sono state compiute ogni qual volta
l’uomo ha preteso di negare Dio e fare da sé. In opposizione con l’ateismo, è
possibile secondo De Lubac mettere in luce come umanesimo e cristianesimo,
lungi dall’elidersi mutuamente, siano coessenziali.