1] aprirsi all'infinito e chiudersi su se stesso infinitamente;
2] giocare con la propria tradizione;
3] seguirne l'infinito arbitrio concettuale (la deriva del significante).
Questo fa di Derrida un vero filosofo, soprattutto nel senso paradossale, inaugurato da Nietzsche e dalla sinistra post-hegeliana, per cui "si è veri filosofi solo non essendolo": si è filosofi puri in senso proprio e profondo, solo facendo i distruttori della filosofia. Derrida è un filosofo puro, ovvero un filosofo che si occupa della filosofia, essenzialmente per maltrattarla, ovvero per decostruire i testi della tradizione filosofia. Decostruzione vuol dire prendere due o tre parole, una frase, una qualche "spia testuale", e giocarci sopra, in base per lo più al vecchio rovesciamento dialettico. Decostruire significa individuare le coppie concettuali (io-noi, vivo-morto, nulla-negazione, eccezione - regola) che si annidano in qualsiasi argomentazione, portarle fuori, e mostrare come, fronteggiandosi, gli opposti si annullano a vicenda, o si rovesciano l'uno nell'altro, e tutto si risolve in nulla. Qui si apre il paesaggio tipico del derridismo: non c'è nulla al di là del testo. Il testo è "semplice presenza differita": io non sono presente, voi leggete queste mie parole, e io non ci sono. Inoltre, le cose di cui scrivo sono assenti. Dunque differenza non solo spaziale ma anche temporale, ovvero differanza ( differance ): perché ogni testo X è misurazione della distanza che separa X da qualsivoglia testo Y antecedente o conseguente. Questa presenza-assenza-differenza è, inoltre, primordiale e primigenia: la scrittura, si dice, viene dopo la voce, l'esperienza, il pensiero. Ma per scrivere pensiamo e abbiamo vita ed esperienza per trascrivere l'una e l'altra; "la nostra vita è narrazione pseudo-testuale". C'è dunque, prima di ogni altra cosa, la Scrittura. Comprendiamo così ancora meglio l'essenza del decostruire: il prima e il dopo, il qui e il là, il sotto e il sopra si elidono a vicenda, ma in fondo tra il si e il no è meglio il no, tra l'eccezione e la regola è meglio l'eccezione, tra il "vivo della voce", che tutti preferiscono, è meglio il "morto della scrittura". Si tratta di nichilismo, e più specificatamente di dialettica negativa. La decostruzione rivela il suo vero volto, che è edificante, distruzione che edifica, in una sorta di omeopatia etico-filosofica, a sfondo vagamente anarchico. Questo è Derrida in breve e in essenza. Derida, nel dibattito degli ultimi decenni del '900, si è schierato apertamente, con posizioni di grande originalità, con coloro che affermano la necessità di andare "oltre la tradizione occidentale". Nessuna metafora è in grado di uscire dal cerchio magico della metafisica, della "mitologia bianca" ("La mytologie blanche", in Poétique, 1971) che rassomiglia e riflette la cultura dell'Occidente, quella in cui l'uomo bianco scambia il proprio pensiero con la forma universale della razionalità. Egli è tra i più assidui teorici del " post-moderno ", e quindi fra i più criticati da Habermas, teorico del moderno, che lo qualifica come neo-nietzschiano nell'opera del 1985 "Discorso filosofico della modernità". Derida è il più internazionalmente influente tra i teorici del post-moderno. Derrida utilizza uno stile di scrittura complesso e volutamente tortuoso che è andato a complicarsi sempre di più, stile caratterizzato dal rifiuto di un andamento discorsivo ordinario e dal ricorso frequentissimo a giochi di parole. Derida ribatte: " non sono giochi di parole. I giochi di parole non mi hanno mai interessato. Piuttosto, sono fuochi di parole: consumare i segni fino alla cenere, ma anzitutto e con maggior violenza, attraverso un brio eccitato, slogare l'unità verbale, l'integrità della voce, frangere o effrangere la superficie calma delle parole, sottoponendo il loro corpo a una ginnastica allo stesso tempo gioiosa, irreligiosa e crudele". Che ci sia crudeltà non solo verso le parole ma anche verso il lettore "plasmato dalla scuola", Derrida lo confessa apertis verbis. Anche il lettore, quindi, è sottoposto a quella ginnastica, gioiosa, irreligiosa e crudele, se vuole tentare di comprendere i testi del discorso. Si tratta di testi, perciò, non solo difficilmente accessibili e comprensibili, ma anche difficilmente riassumibili. Derrida motiva e giustifica questa caratteristica pressoché unica dei suoi scritti sostenendo che vogliono essere qualcosa di radicalmente diverso e alternativo rispetto alle tesi di dottorato e in genere ai saggi di tipo scientifico-accademico quali si praticano all'università.