DE SADE

 

A cura di Alfio Squillaci

 

DE SADE"Capolavoro dell’infamia e del vizio", come ha scritto Maurice Blanchot, la vita del "divin marchese” è quella di un "colpevole di  puro e  semplice libertinaggio ". Sade riconosce l'aspetto morboso della sua esperienza nella lettera che indirizza a sua moglie, dal  torrione di Vincennes, il 20 febbraio 1791: «Sì, sono un libertino, lo riconosco: ho concepito tutto ciò che si può concepire in questo ambito, ma non ho certamente fatto tutto ciò che ho concepito e non lo farò certamente mai. Sono un libertino, ma non sono un criminale né un assassino.»

 

Un eterno  prigioniero

Nato in una vecchia famiglia provenzale tra i cui antenati si annovera la Laura cantata dal Petrarca, Donatien-Alphonse-François (conte de Sade) entra nel prestigioso collegio dei  gesuiti Louis-le-Grand (1750 -1754), quindi è interno al collegio di Cavalleria reale. Nominato capitano, partecipa alla guerra dei Sette Anni (1756 -1763). Congedato dopo il trattato di Parigi,  sposa Renée de Montreuil (17 maggio 1763) con «l'approvazione della famiglia reale» ma ben presto un ordine  di cattura (29 ottobre 1763) lo fa  internare al torrione di Vincennes "per deboscia reiterata". Il destino di Sade, ormai,  è segnato. La sua singolare personalità  si palesa mentre, nello stesso tempo, è fatto segno di una reputazione inquietante. Le sue relazioni multiple, il suo libertinaggio dichiarato (mentre quello dei membri della sua casta, non meno outré, è invece saggiamente tenuto nascosto)  gli valgono numerose incarcerazioni. Nel 1768 scoppia l'affaire Rose Keller, un'operaia ridotta alla mendicità che scappa dalla   finestra di una casa a Arcueil dove  Sade vive. La donna si lagna in paese di essere stata sequestrata quindi fustigata.  Sade è arrestato e   condanna-

to. Nel  1772, a Marsiglia, dove vive con il suo servo Latour,  è accusato di flagellazione, d'omosessualità e d'utilizzo di pillole avvelenate. Quattro prostitute, lamentanti dolori intestinali, accusano Sade di sodomia. Nuovo soggiorno in prigione, ma   evade e viaggia in Italia sotto il nome di conte de Mazan. Nel  1774, M.me de Montreuil, la suocera, lo fa rinchiudere a Vincennes. Sembra agli studiosi di oggi che la gravità dei delitti di Sade sia stata esagerata; se ne commettevano altrettali all'epoca,  e non hanno valso ai loro autori la maledizione che ha colpito Sade. Quindi l'ostilità di M.me de Montreuil può  essere considerata determinante. Si noterà, inoltre, che le relazioni di Sade con la moglie erano buone, come è provato dalla sua corrispondenza con lei. Nel  1784, il prigioniero è trasferito alla Bastiglia, quindi a Charenton. È durante questo periodo che scrive Le cento venti giornate di Sodoma o la scuola del libertinaggio (1785) e Justine o le sventure    della virtù (1787). Liberato (1790), pubblica Justine (1791). Arrestato nuovamente, è ristretto in diverse prigioni o manicomi (Madelonnettes,  Carmes, a Saint-Lazare e infine  Picpus). Un’altra volta liberato, pubblica La filosofia nel boudoir (1795), Aline e Valcour (1795), La nuova Justine (1797), I crimini dell'amore (1800). Queste opere  fanno scandalo e l'autore "di Justine malfamata" è imprigionato anche dal regime bonapartista, inizialmente a Sainte-Pélagie, a Bicêtre, infine a Charenton, dove   muore in miseria in mezzo ai malati di mente, nel 1814. Nella sue ultime  volontà, ammirevole, ribadisce la sua ferma intenzione   di non lasciare alcuna traccia del suo passaggio sulla terra e chiede di essere sepolto nel parco della sua proprietà, senza alcuna iscrizione.

 

Uno spirito libero

Erede del “naturalismo” di Diderot e di Rousseau (ossia di una filosofia conforme alla natura), Sade, «lo spirito più libero» (Apollinaire), ha spinto questa filosofia fino alle sue estreme conseguenze. Se ne è servito a giustificare l'espansione senza limiti dell'individuo.  «Se la natura disapprovasse le nostre inclinazioni, » proclama uno dei personaggi, « non ce le ispirerebbe.» È vero anche che il materialismo e l’ateismo di Diderot e di d’Holbach, volgarizzati e ridotti a parole d’ordine automatiche, sono invocati a giustificazione dei suoi  excès  e  supplices . Molto distante dalla preoccupazione del barone d’Holbach di disancorare sì la morale dalla teologia e tuttavia di porre le fondamenta di un ateismo virtuoso (il Barone pensa,  a differenza del Marchese, che se Dio è morto  non tutto è possibile) Sade nega, nel suo sistema erotico-funerario, ogni chance  a qualsiasi morale, come s’è visto, ma anche ogni  spiraglio all’esercizio libero e gioioso del sesso (e sarà quanto gli rimprovererà, non certo sul versante di una  morale qualsiasi, quel grande, ilare, immoralista e pornografo che è Retif de la Bretonne).

  Quindi il vizio e la crudeltà prendono in Sade le dimensioni della pazzia e del mito. La sua opera può ispirare  orrore e anche un po’ di  noia per l’infinita, stilizzata e “teatralizzata”  ritualità erotico-pornografica, ma proiettando, senza freni, nell’ossessione della scrittura le sue ossessioni  ed i suoi fantasmi, Sade  ha però portato agli psicologi  un documento eccezionale sugli stati della mente e sulle sue perversioni, ed i surrealisti hanno riconosciuto in lui il simbolo dell'uomo che insorge contro tutti i divieti. Il “pensiero” di Sade ha anche un carattere politico, cosa  che lo avvicina a tutta la corrente dei libertini, così vigorosa nel  XVIII° secolo e in quello precedente.  Sade che vuole riconciliare Eros e natura (« Tutto è nella natura», sostiene ), si è opposto al deismo come anche all’Essere supremo di Robespierre il quale   voleva   fondare un nuovo ordine mentre Sade, che non ne voleva alcuno, lo  accusa di voler soffocare la rivoluzione totale, che deve essere anche quella dei costumi. È ciò che esprime nel suo testo famoso, "Francesi, ancora uno sforzo!", incluso nella Filosofia del boudoir. Lo spirito del crimine   si collega  in  Sade ad un sogno sproporzionato della negazione, di ogni negazione: il suo progetto distruttivo supera infinitamente gli uomini. Se l'uomo "sadico" sembra singolarmente libero nei confronti delle sue vittime, da cui dipendono i suoi piaceri, la violenza verso queste vittime va al di là delle stesse e non mira  che a verificare freneticamente l'atto distruttivo stesso con il quale «ha ridotto Dio ed il mondo a nulla» (Maurice Blanchot). La facilità del crimine è irrisoria. L'atto distruttivo è semplice. Ma il mondo dove l'uomo sadico   avanza è un deserto. All'alba delle Cento venti giornate, il duca di Blangis dice alle donne reclutate per il piacere di quattro libertini:  «Siete rinchiuse in una cittadella impenetrabile, nessuno sa dove vi trovate, siete sottratte ai vostri amici, ai vostri genitori, siete già morte al mondo.»

 

Una morale del vizio

Sade ha introdotto nel romanzo una nuova dimensione che vuole «dare  il vizio sempre e ovunque trionfante e la virtù vittima delle sue pretese e rinunce (...) seguendo il punto di vista  di dispensare una delle lezioni più sublimi di morale che l'uomo abbia ancora ricevuto: ed era, si converrà, di pervenire allo scopo seguendo una strada poco seguita fino ad oggi.» Così Sade, che vuole provare che la virtù è la sola ragione della disgrazia di Justine, fa alternare le scene di orge (successione di stupri, di incesti, di mostruosità sessuali) con  "dissertazioni morali". Jean Paulhan ha sottolineato questo modo dell'accumulo ripetitivo e  rituale, che fa pensare «ai libri delle grandi religioni».

  


INDIETRO