Deus caritas est

La prima enciclica di Papa Benedetto XVI

 

Di Antonietta Pistone

 

 

 

“L’amore promette infinità, eternità-una realtà più grande e totalmente altra rispetto alla quotidianità del nostro esistere”. Queste le parole che Papa Benedetto XVI indirizza al più grande e travolgente sentimento umano di ogni tempo, nella sua prima Enciclica Deus caritas est. L’uomo, per Ratzinger, è amore nella sua più intima essenza. Si può facilmente constatare che le imprese più illustri, le trovate geniali, le spinte emotive più creative della storia siano state determinate dalla passione dell’uomo a vivere ed esistere come possibilità, entro cui rimettersi continuamente in gioco, sfidando anzitutto se stesso. Papa Benedetto opera una distinzione terminologica essenziale per chiarire il senso della parola amore. Spesso si dicono amore l’eros o la volgarità. Ma la pornografia non è amore, come non lo è il desiderio sfrenato senza temperanza che consuma rapidamente e si estingue ancor più velocemente di un fuoco fatuo. L’amore cristiano era detto dagli antichi agape, ed è affetto che va oltre il sesso mercificato o vissuto frettolosamente. L’agape rappresenta l’amore dell’uomo di fede, capace di sacrificarsi per il bene dell’altro, dimenticando se stesso, i suoi desideri, le sue passioni. L’agape è amore senza concupiscenza, che si fa unità inscindibile e totale nello spirito e nelle anime, oltre che nei cuori. Amore che supera, travalicandoli, i limiti asfittici della storia umana, per approdare all’eternità senza tempo dello spazio infinito. L’uomo, in quanto unità inscindibile di corpo e anima, sperimenta nella sua esistenza entrambe le tipologie di amore, che nell’unione sponsale tra uomo e donna si fanno Assoluto. L’eros che tutto desidera prendere, diviene a poco a poco agape cioè rinuncia, dedizione, legame affettivo duraturo e coinvolgente. Non per questo meno erotico dell’esperienza sessuale. Anzi ancora più completo nella complicità del rapporto maturo tra uomo e donna. Solo questo Amore può elevare la dignità umana, sublimandola nel legame religioso dell’uomo con Dio stesso. Anche Dio, difatti, crea per Amore. Ed il suo Amore è allo stesso tempo possessivo e oblativo. Possessivo perché Egli desidera con ardore e passione di legarsi inscindibilmente a tutte le sue creature. Oblativo perché tutto è capace di donare, senza aspettarsi nulla in cambio, restando tuttavia in paziente attesa di vedersi ricongiunto al peccatore, del cui amore Egli ha bisogno. Proprio per questo Dio comprende la solitudine dell’uomo e decide di mettere Eva accanto ad Adamo: “Questa volta essa è carne della mia carne e osso dalle mie ossa” (Gn 2,23). Sembra di leggere il mito platonico delle anime gemelle, che narra di un essere sferico e bastante a se stesso tagliato in due dagli dei, le cui due parti cercano ossessivamente di ricongiungersi per ritrovare l’antica unità ormai perduta. “Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne” (Gn 2,24). Dove l’essere un’unità totale non prescinde dall’eros, dovendo però culminare nell’ agape, nell’amor platonico, che è contemplazione dell’amato e conoscenza, in cui si fondono vita etica e scienza del Bene, in virtù dell’intellettualismo classico. Ma proprio l’intellettualismo etico rappresenta il limite del razionalismo filosofico degli antichi, che principia con Socrate e attraversa il pensiero delle grandi sintesi teoretiche di Platone e di Aristotele. L’uomo greco, infatti, non sa la differenza tra conoscere e agire. Essendo per lui la scienza fondamento di virtù. Manca agli antichi la concezione della libertà umana, intesa come scelta responsabile tra due alternative possibili, prescindendo dalla conoscenza del Bene in esse presente. Per Socrate, per Platone e Aristotele, l’uomo desidera la felicità. E la felicità è una conquista della ragione. L’uomo è tanto più felice quanto più è saggio e virtuoso. Quanto più conosce e sa. Perché colui che conosce il Bene fa e agisce per il Bene. L’uomo antico pare essere, perciò, tutto ragione e intelletto. Non vi è traccia, nel pensiero filosofico della debolezza del peccato, della caduta e della redenzione. Problemi, questi, che appartengono alla schiera degli ignoranti. Il messaggio biblico segna la nascita dell’uomo nuovo, che è individuo dotato di libertà. La facoltà di scegliere tra almeno due alternative, il Bene e il Male, è il principio dell’agire libero e responsabile del credente, che nella scelta del peccato dimostra la fallacia dell’intellettualismo etico, riconfermando la libertà della storia umana. Lo stesso Agostino diceva conosco il Bene, tuttavia compio il Male. A voler provare che la causa determinante dell’agire non è la conoscenza del Bene, bensì la volontà di fare il Bene. L’agape, pertanto, non è un presupposto dell’amore tra uomo e donna, ma costituisce il punto d’arrivo di una ricerca di perfezione che implica rinuncia e sacrificio. Spesso, infatti, l’eros può risultare meno coinvolgente ed impegnativo; più risolutivo e semplice. L’Amore delle anime implica comunque un impegno totale del corpo e dello spirito nel fare costante dono di sé, senza nulla pretendere di possedere. Esso è l’amore che più imita quello di Cristo che lascia sempre libero l’uomo, e continua ad amarlo con pazienza anche nel rifiuto. Il dolore silenzioso dell’amante che tutto spera senza mai chiedere è il dono più bello e santo del vero Amore cristiano, che aspetta desideroso e trepido che l’amata si accorga finalmente della sua presenza e che a lui con fede si conceda per l’eternità. Maria, la Madre di Cristo, è un esempio di abnegazione totale per l’altro: Ella resta in attesa durante gli anni della predicazione, e resta in attesa sotto la croce a piangere il Figlio che le hanno ucciso. Ciononostante, mai una parola di disperazione, né un grido a Dio Padre che ha permesso che Le venisse sottratto il suo unico Bene. La carità cristiana deve, perciò, esplicarsi in opere sollecite nei confronti del prossimo, bisognoso di aiuto. La Chiesa non può sostituirsi allo Stato. E lo Stato giusto deve comunque garantire un’equa distribuzione delle ricchezze, onde evitare sperequazioni sociali. Ciononostante, è quasi irrealizzabile il sogno di un mondo assolutamente giusto e senza povertà o emergenza dal bisogno. La carità cristiana, impone pertanto un soccorso pronto e immediato verso i fratelli più indigenti. Tuttavia, “L’azione pratica resta insufficiente se in essa non si rende percepibile l’amore per l’uomo, un amore che si nutre dell’incontro con Cristo. L’intima partecipazione personale al bisogno e alla sofferenza dell’altro diventa così un partecipargli me stesso: perché il dono non umilii l’altro, devo dargli non soltanto qualcosa di mio ma me stesso, devo essere presente nel dono come persona”. Papa Benedetto conclude, così, con un’invocazione a Maria: perché possiamo anche noi diventare capaci di vero amore ed essere sorgenti di acqua viva in mezzo a un mondo assetato.

Antonietta Pistone

Docente di storia e filosofia

Articolo pubblicato sul Provinciale di Foggia, anno XVIII-n.2, febbraio 2006

Fonti sitografiche

Enciclica di Papa Benedetto XVI, Deus caritas est

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20051225_deus-caritas-est_it.html

 


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