Il 1989 è stato un anno di “liberazione” esclusivamente per il capitale, per i suoi agenti e per la classe dominante dell’aristocrazia finanziaria (la new class globalista, ultra-capitalista e post-borghese), non certo per le moltitudini precarizzate europee (che, dopo la caduta del Muro di Berlino, sono state rapidamente “liberate” dei diritti sociali e del lavoro superstiti); né per le popolazione del socialismo reale, la cui “liberazione” ha significato, de facto, la loro annessione nel regime del lavoro salariato e precarizzato e il peggioramento tangibilissimo della loro prospettiva di vita; né, ancora, per i Paesi non ancora inglobati nell’ordine della produzione capitalistica americano-centrica, che da quel momento sono sempre più spesso stati aggrediti militarmente e annessi coercitivamente mediante la retorica neo-imperialistica dei diritti umani da asporto per mezzo dei bombardamenti umanitari, dei missili democratici e dei colpi di Stato abilmente camuffati come velvet revolutions.
(Visualizzazioni 52 > oggi 1)