In una epocale intervista al Financial Times il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato la “morte del modello liberale”. Si tratta della dichiarazione più significativa dal punto di vista geopolitico mai rilasciata ad un grande giornale da un leader di dimensioni mondiali dal tempo della fine della guerra fredda. Putin ha rotto un immenso tabù, quello che costringeva l’uomo moderno a definirsi necessariamente “liberale” per non correre il rischio di finire altrimenti scaraventato nel girone dei fascisti, dei nazisti, degli stalinisti, dei legittimisti, dei tradizionalisti, dei nostalgici e dei passatisti. Dopo la caduta del Muro di Berlino e la “fine della storia” vaneggiata da Fukuyama, nessuno poteva manifestare il minimo dubbio sulle “magnifiche sorti e progressive” che attendevano a braccia aperte una umanità finalmente liberata dalla religione, dal pregiudizio e dalla superstizione, pronta adesso ad auto-divinizzarsi dopo avere “scacciato Dio dai cieli” (Annie Besant). Invece l’uomo “a una dimensione” (Herbert Marcuse) modellato ad uso e consumo dei decisori a cavallo del nuovo secolo, anziché trovare il paradiso in terra, ha finito- reificandosi- per smarrire sé stesso. E adesso, dopo trent’anni passati in letargo, l’umanità finalmente si ribella, estirpando in radice le menzogne poste alla base di un nuovo mondo distopico che concretizza le atmosfere lugubri preconizzate da scrittori come George Orwell (1984) e Aldous Huxley (Il Mondo Nuovo). Anche l’approccio millenaristico tipico di alcuni esalati progressisti perde finalmente slancio, tornando contestualmente attualissima la lezione di tanti pensatori del passato che, da Vico a Spengler, hanno correttamente teorizzato “l’andamento ciclico della storia”. Insomma entriamo lentamente ma inesorabilmente nell’età del “risveglio”. L’analisi di Putin ricalca poi chiaramente la strada tracciata dal filosofo Aleksandr Dugin, teorico di quella “Quarta Teoria Politica” che pone al centro del dibattito proprio la necessità di superare il “totalitarismo liberale” (clicca per leggere). Dobbiamo però stare attenti infine a non esaltare eccessivamente il presidente Putin, uomo indispensabile che ha rotto il malefico ingranaggio globalista sul piano della politica estera, ancora ostaggio però di alcuni inganni neoliberali sotto il profilo strettamente macroeconomico. Non a caso le disuguaglianze economiche sono in Russia inaccettabili e recentemente il governo moscovita ha avuto persino l’ardine di alzare il livello dell’età pensionabile come avrebbe fatto un Mario Monti qualsiasi. Non dobbiamo però pretendere troppo da Putin, uomo cresciuto nel Kgb, abituato perciò a ragionare ontologicamente in termini di conservazione del potere per il potere. La fine del globalismo liberale è già un primo passo nella giusta direzione. Il resto verrà di conseguenza. Probabilmente chi verrà dopo Putin completerà il lavoro del suo predecessore, contribuendo in maniera decisiva alla definizione di un nuovo ordine mondiale che, fondato intorno alle esigenze di Stati sovrani e autonomi ma affratellati, riscopra concetti come giustizia sociale, uguaglianza, merito, solidarietà, rispetto per l’uomo, per la vita e per il sacro. Il denaro, parafrasando Protagora, presto non sarà più “misura di tutte le cose”.
Francesco Maria Toscano
28/06/2019