I grandi cambiamenti, i tornanti radicali della Storia- quelli che presuppongono un “prima” e un “dopo” scolpito nella roccia- quasi mai sono “indolori”. Ogni rinascita presuppone anche simbolicamente una “fine”, opera di una mano ferma e invisibile che- nel calare freddamente il sipario sul mondo vecchio- apre inerzialmente i tempi nuovi. Il Coronavirus, cieca maledizione abbattutasi d’improvviso (“come un ladro che arriva di notte”), è in questo senso un segno, un acceleratore; un messaggero che lascia intendere e promette (“minaccia”, a seconda dei punti di vista) molto di più di quanto per ora non dica. Il Coronavirus è certamente la materializzazione drammatica di una emergenza sanitaria, è il riaffiorare molesto nella mente di tutti e di ciascuno di paure ataviche e archetipiche che l’uomo moderno- presuntuoso e stolto- pensava di avere rimosso con la forza della “scienza” e del “progresso illimitato” che si fa dio (volutamente in minuscolo) a sé stesso e per sé stesso; ma contestualmente il Coronavirus è oggi soprattutto il principale protagonista sullo scenario geopolitico globale, l’unico che può determinare- e in parte ha già determinato- il superamento di vecchi schemi, equilibri e rapporti di forza che ora pericolosamente scricchiolano. Non è importante stabilire se il Coronavirus sia un mero “fotografo”, quindi un agente neutro che si limita a disvelare una verità già autonomamente consumatasi, o se al contrario il Coronavirus sia una furiosa testa d’ariete che sfonda oggi le ultime difese erette dal sistema morente. Sta di fatto che adesso, sulla scia di una pandemia grave e diffusa, il vecchio ordine mondiale è crollato e tutti ne hanno dovuto prendere atto. Il liberismo e il mondialismo, pilastri della contemporaneità che ingrassano divorando quel che resta dell’autorità dei singoli Stati nazionali, sono in ritirata. Dappertutto la politica ha ripreso il comando, relegando l’economia al ruolo subordinato e ancillare che le spetta. La Ue non esiste più, avendo in rapida sequenza abolito prima Schengen e poi il famigerato “Patto di Stabilità”, mostruosità giuridica usata dalle oligarchie dominanti come arma di tortura per spaventare e ammansire le classi subalterne. Nel frattempo tutti i Paesi diffamati dalla grande stampa padronale come “feroci” e “dittatoriali”- penso a Cuba, alla Cina e alla Russia– stanno solidarizzando con l’Italia in maniera non retorica né formale, mentre la “grande famiglia europea”- guidata dal moloch franco-tedesco- a fatica trattiene la soddisfazione nell’osservare con perfida gioia (“schadenfreude” in tedesco) il dolore che attraversa l’Italia e gli italiani. Tutto è in rapida trasformazione. E’ compito nostro- degli intellettuali, degli attivisti politici per primi- quello di dare ora il massimo affinché i nuovi equilibri che verranno fuori da questa fase di “creativa” e “tragica” tribolazione siano migliori di quelli che ci lasciamo alle spalle. Questa non è una semplice e banale dichiarazione d’intenti, considerate le pulsioni antidemocratiche che una certa classe politica ora al governo chiaramente palesa, cavalcando con malizia malcelata l’emergenza (da essa stessa per insipienza alimentata) al fine di blindarsi nelle stanze del potere.
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