Cari amici,

questo mio messaggio solo per annunciarvi la fine della mia collaborazione con il partito e le ragioni che l’hanno determinata. In questi ultimi mesi, si è venuta producendo una vera e propria frattura tra la mia visione filosofica delle cose, che era alla base della fondazione del partito, e l’indirizzo ideologico e politico assunto dal partito medesimo. Per questo, ho scelto di porre fine alla mia collaborazione con il termine di luglio, ben prima della presentazione delle liste e della raccolta delle firme per le elezioni di settembre: proprio per sottolineare come il mio sia un allontanamento non già dalle persone, bensì dalla attuale deriva di indirizzo culturale, ideologico e politico. Non intendo in questa sede dilungarmi su tutte le singole ragioni che mi hanno portato a riscontrare l’ormai piena incompatibilità tra la mia filosofia e un partito che su di essa si era costruito e aveva creato il suo consenso: e che ora, di fatto, si trova su posizioni sideralmente distanti politicamente oltre che culturalmente. Mi basti qui telegraficamente richiamare alcune delle tante divergenze che si sono generate sul piano strettamente teorico. Sulla questione dell’atlantismo, ad esempio: la mia posizione è di fermissima opposizione all’atlantismo in quanto tale, là dove Ancora Italia oscilla in maniera del tutto contraddittoria tra una generale presa di posizione contro l’atlantismo e un concreto appoggio apertissimo di Donald Trump, goffamente presentato a tratti come possibile redentore delle sorti del pianeta. È l’apoteosi della subalternità di chi spera nell’ascesa al trono dell’imperatore buono, senza sapere – o fingendo di non sapere – che l’impero resta tale, quale che sia l’imperatore in carica. Non si trascuri a tal riguardo la completa assenza della categoria della critica dell’imperialismo nell’impianto concettuale oggi in uso presso il partito. Altro tema, strettamente connesso al precedente: la questione della Cina, che ad oggi secondo le coordinate del mio pensiero figura come un fortilizio di resistenza all’imperialismo atlantista, come peraltro tutti gli altri stati nazionali non allineati dall’Iran alla Siria, dal Venezuela alla Russia. Ebbene, sul tema della Cina Ancora Italia sembra seguire la narrativa classica delle destre, per cui la Cina è un nemico naturale in quanto impero comunista e dittatura rossa. Del tutto ignorata, dunque, è la distinzione tra la sfera geopolitica e quella delle politiche interne di un Paese, ciò che dovrebbe costare la riammissione alla scuola elementare della saggezza. Riammissione che dovrebbe essere peraltro anche valutata in relazione alle tesi, che con le mie orecchie ho avuto modo di sentire, proposte dal presidente, secondo cui sarebbe da sperare in una unione fra i cosiddetti sovranisti, da Putin a Trump, contro i cosiddetti globalisti, da Biden a Xi Jinping. Sovranisti contro globalisti: una dicotomia banale di “vuota profondità”, che oltretutto finisce stoltamente per rimuovere dall’orizzonte di senso l’imperialismo statunitense e per creare fantasmatiche alleanze inesistenti – nonché impossibili – nella realtà; e lo fa, peraltro, trasformando la Cina, da fortilizio di resistenza, in naturale nemico globalista. Insomma, gli amici diventano nemici e i nemici amici. Una narrazione demenziale, oltre che fumettistica, e della quale la storia reale non ha contezza. Menziono ancora una questione, che mi sta particolarmente a cuore: fin dall’estate del 2021, Ancora Italia ha celebrato in maniera quasi agiografica il cardinale Viganò come proprio riferimento culturale. Nel profilo intellettuale di quest’ultimo coesiste con la legittima e condivisibile critica dei meccanismi distopici della società di controllo totale e della tecnocrazia una sorta di oltranzistica celebrazione della sovranità divina e non di quella popolare come base della vita umana e quindi anche della politica. Ciò non può che portare a posizioni apertamente reazionarie e, in quanto tali, nemiche dei processi di trasformazione democratizzante, riformistici o rivoluzionari che siano. La giusta ricerca di apertura spirituale al sacro e alla trascendenza, ciò che peraltro è parte integrante dell’odierna lotta di classe tra servo nazionale-popolare e signore global-elitario per come l’ho teorizzata, viene in tal maniera perduta, perché dispersa nelle gelide nebbie del fanatismo e della più regressiva delle prospettive. La fatica del concetto e la pazienza dell’argomentare sono spodestati dal colpo di pistola del fanatismo che a priori giudica secondo la dicotomia di Bene e Male per decreto divino. Molto vi sarebbe ancora da dire su temi e problemi che, in questi mesi, hanno creato una crepa divenuta in ultima istanza una frattura incolmabile tra la mia visione filosofica e la posizione apertamente rivendicata dal partito. Dunque, tra la ricerca della costruzione di un partito sulle basi di un pensiero critico e resistente all’omologazione di massa e l’effettiva forma degenerata assunta negli ultimi tempi da “Ancora Italia”. Ogni qualvolta io abbia provato a riportare il partito sui binari della mia visione delle cose, il presidente ha riaffermato ancora con più forza la sua prospettiva, senza argomentare criticamente e senza anche solo ascoltare le mie ragioni, ma sempre nascondendo la debolezza teorica delle proprie posizioni dietro apparenti scelte condivise del partito: come se appunto, di volta in volta, fosse il partito nel suo complesso e nei suoi organi ufficiali a decidere che Viganò era un punto di riferimento essenziale, Trump era il faro della civiltà umana e la Cina una perfida dittatura rossa e globalista. Su questo tema, sufficit. Vengo ora celermente alla questione più propriamente politica, con una doverosa premessa: in questi mesi, si è sostenuto, con ingenuità o con cattiva fede, che vi era una netta linea divisoria fra la parte culturale, di mia competenza, e la parte politica, di stretta competenza del partito e dei suoi quadri dirigenziali. Primo punto della premessa: ammesso e non concesso che questa divisione ermetica tra i campi sia praticabile e possa sussistere, ebbene l’invasione di campo è l’obiezione che posso muovere io semmai. In molteplici occasioni, la dirigenza del partito e, segnatamente, il suo presidente hanno invaso il campo propriamente culturale. E, secondo quanto già ho ricordato, hanno assunto come visioni del partito tesi che non coincidevano con le mie, che del partito erano l’ossatura, e che anzi assai spesso apertamente confliggevano con esse. Insomma, si è in più occasioni fatta passare per “ideologia del partito” una visione delle cose distante, quando non contrapposta alla mia. A tal riguardo, non passi inosservato che al congresso di Napoli di luglio – sul quale tornerò tra breve – mi è stato detto che io non ero invitato giacché era un evento strettamente politico e non culturale: peccato che poi siano stati invitati pure non pochi personaggi variamente afferenti al mondo della cultura e non della politica. Il che ha reso l’argomento claudicante, per non dire direttamente nullo. Insomma, in questo caso si è addirittura trattato di epurazione più che di sconfinamento in campi altrui. Si è ammesso nella prassi ciò che non si aveva avuto il coraggio e l’onestà intellettuale di riconoscere nella teoria: ossia che la mia visione filosofica delle cose era stata del tutto marginalizzata, per non dire epurata, rispetto alla nuova visione fatta valere dal partito, apertamente contrastante con la mia. Basti, ancora, rammentare il già richiamato caso della visione del Cardinale Viganò o anche quello della questione vaccinale e di quella legata al coronavirus. Come molte volte ho avuto modo di chiarire in forma sia orale sia scritta, la questione del coronavirus chiede di essere affrontata non negando l’esistenza del virus o parlando volgarmente di “pseudopandemia”, come più volte taluni in ancora Italia hanno fatto. Chiede semmai di essere affrontata spiegando e chiarendo perché nessuna emergenza, fosse anche più radicale di quella legata al coronavirus, può giustificare la compressione dei diritti e delle libertà. Analogamente, e ho provato a chiarirlo un numero non inferiore di volte, la questione vaccinale chiede di essere affrontata non puntando il dito contro il vaccino in quanto tale, presentato volgarmente e stoltamente come un topicida, bensì mostrando l’inaccettabilità delle politiche di obbligo vaccinale e di ignobile ricatto che sono state poste in essere. E questo, sia detto per inciso, anche per evitare inutili conflitti orizzontali tra vaccinati e non vaccinati, conflitti buoni solo a rinsaldare il potere dominante. Ancora una volta, come nel caso precedente, la questione è primariamente culturale e giuridica, non medica e scientifica. Vengo allora adesso al secondo punto della premessa: gli stessi che mi hanno accusato di invadere il campo altrui sono quelli che hanno invaso a loro volta il campo culturale che non era di loro competenza. Ciò mi permette di sollevare una domanda: chi è così sicuro che esista una linea netta di divisione tra la politica e la cultura, tra i temi politici e quelli culturali? Si può davvero fissare una linea netta di distinzione tra le due sfere? Personalmente credo che, se anche ciò sia eventualmente possibile, sicuramente è assai difficile e mancano per quel che ne so i contorni e le linee di demarcazione adeguate. Per chiarirlo, affronto di petto una questione che a tutta prima potrà apparire politica, e quindi non di competenza del sottoscritto, e che in realtà, come cercherò di evidenziare, mette capo anzitutto a una prospettiva di tipo culturale. Alludo alla curiosa e singolare alleanza che – voluta da chi? Decisa da chi? – si è venuta producendo in questi mesi e che ha dato vita al nuovo soggetto politico, perché di questo si tratta, chiamato “Italia sovrana e Popolare”. Alla base della fondazione di “Ancora Italia” vi era da statuto il riconoscimento della mia visione filosofica come fondamento del partito: ebbene, nella visione filosofica che ho teorizzato uno dei punti cardinali, a torto o a ragione, è il superamento della dicotomia di destra e sinistra, assunte come categorie di rappresentanza dell’alto contro il basso, del capitale contro il lavoro. Ancora Italia nasceva, e lo rivendico, sul fondamento di un superamento radicale della destra e della sinistra in vista dell’edificazione di una nuova forza politica in grado di riorganizzare anche concettualmente – oltre che praticamente – la geografia politica secondo nuove prospettive. Non più destra e sinistra, cioè le due ali dell’aquila neoliberale, bensì basso contro alto: e ciò secondo una dicotomia declinata in ambito sociale come lavoro contro capitale, in ambito geopolitico come Paesi disallineati contro Impero statunitense, in ambito culturale come identità nazionali-popolari contro sradicamento cosmopolita, in ambito concettuale come pensiero critico contro pensiero unico politicamente corretto ed eticamente corrotto. Di questo impianto fondativo del partito ad oggi non resta letteralmente più nulla, come emerge anche dalla suddetta alleanza bizzarra chiamata “Italia sovrana e popolare”: la simbologia stessa della stella rossa – che ha sostituito l’effigie di Dante, non per caso simbolo della cultura – ma poi anche la presenza di politici la cui visione arcobalenica e droitdelommiste del mondo rappresenta ciò contro cui ancora Italia avrebbe dovuto combattere, proiettano il partito in un orizzonte pienamente organico alla narrativa dominante; un orizzonte caratterizzato dalla logora dicotomia destra e sinistra funzionale allo status quo, oltre che palesemente da una visione strutturata e articolata, incardinata su solide basi culturali. Si dirà che è una questione politica e non culturale, ma con ciò si entrerà in un corto circuito mentale non trascurabile; per superare il quale occorrerebbe sciogliere il nodo relativo al confine preciso tra cultura e politica. Intanto, la rimozione della mia visione delle cose è un fatto insieme politico e culturale, e non vi è bisogno di insistervi. E poi l’appiattimento a sinistra del partito – nei simboli, nei nomi, nelle figure – fa volare in frantumi il tentativo – culturale e insieme politico – di superare la dicotomia destra-sinistra. E peraltro anche sul piano politico costituisce un grave errore, dacché allontana il consenso di chi – sempre più persone – già ha metabolizzato l’esigenza di quel superamento. E, oltre a ciò, costringe a combattere usando la stessa mappa che, basata sul conflitto destra-sinistra, viene imposta dal potere che dice di voler combattere. Anche per questi motivi, ho deciso di dissociare il mio nome da quello del partito, non ritrovandomi più in alcun modo nella linea di indirizzo ideologica e politica del medesimo. Di più, individuando in “Italia sovrana e popolare” il profilo del problema più che della soluzione ai mali che affliggono il nostro concitato presente. Ufficializzo ora il termine della mia collaborazione e le ragioni alla base di questa scelta: e ciò anche per evitare che il presidente, magari con lo zelante ausilio degli agitatori culturali di corte, trovi l’ennesima occasione per creare una sua narrazione parallela con la quale presentare le cose pro domo sua. Ciò in cui davvero, in questi mesi, è stato campione imbattibile. Rilevo nel presidente, accanto a questo spirito mattacchione, per cui riscrive sempre la storia dal proprio punto di vista, una ben più sgradevole tendenza autoritaria: in grazia della quale, egli pretende di imporre come partitico il proprio sovrano punto di vista individuale. L’abbiamo sperimentato quando nell’estate 2021 fece passare per posizione condivisa del partito la sua agiografica celebrazione di Viganò, la quale per quel che so mai è stata anche solo discussa all’interno degli organi deputati del partito. Una sintesi tra queste due costanti tendenze – autoritaria e mitopoietica – l’abbiamo poi riscontrata allorché il presidente ha presentato un’altra forza politica come indegna di essere coinvolta in coalizione perché preventivamente nemica e, di più, desiderosa di “svuotare il partito”, sono parole del presidente. Anche in questo caso, la oltremodo fervida fantasia del presidente ha sopravanzato la ruvida consistenza della realtà: egli ha avuto la sfrontatezza di sostenere che quella forza politica non voleva sedersi al tavolo con ancora Italia, dopo aver metaforicamente preso a cazzotti quella stessa forza politica due giorni prima che si sedessero come da programma al tavolo insieme. In effetti, difficilmente chi riceve per strada un cazzotto da quello che, di lì a poco, dovrà essere il suo commensale avrà poi il piacere di condividere con lui la tavola. Correva l’anno 2020, più precisamente l’estate dell’anno 2020. Ora, con quella forza politica, all’anagrafe Italexit, occorre necessariamente fare i conti e non perché lo dice Fusaro, che secondo la narrazione estrosa del presidente, degna del miglior fantasy, è sicuramente innamorato se non venduto. Per inciso, l’apertura al dialogo era una mossa in ogni caso vincente: vincente nel caso in cui il dialogo fosse avvenuto, dacché ancora Italia sarebbe apparsa come il cuore dell’unità delle forze del dissenso; egualmente vincente nel caso in cui il dialogo fosse stato respinto dall’altra parte, giacché Ancora Italia sarebbe apparsa comunque come la sola forza nell’area detta del dissenso in grado di proporre a 360 gradi le superiori ragioni del dialogo, contro particolarismi e conflitti settoriali. La verità è che bisogna fare seriamente i conti con Italexit: e ciò perché essa occupa uno spazio politico che in larga parte coincide con quello di ancora Italia, cosicché la prospettiva può essere solo quella o dello scontro totale, distruttivo per una o per entrambe le parti, o dell’accordo, di cui tutti senza esclusione potrebbero giovarsi. Non mi stancherò di ribadirlo fino alla nausea: occorre spezzare la linea divisoria di destra e sinistra e creare un campo largo del basso, che coinvolga tutte le forze che per una via o per un’altra sono giunte all’opposizione contro il capitalismo globale e hanno una visione che, anche con sfumature, assuma come paradigma di riferimento la democrazia contro l’ordine autoritario della tecnica e dei mercati. Il sottoscritto da subito ha proposto la prospettiva dell’accordo, confortato anche da ciò che in concreto è stato fatto, peraltro egregiamente, in questa direzione alle elezioni comunali di Genova; con buona pace della ancora una volta estrosa e a tratti mitopoietica narrazione del presidente, che con livore minacciava cause per danno a seguito di endorsement in realtà inesistenti, a meno che non si chiami endorsement semplicemente la teorizzazione di un’alleanza oltretutto già in re ipsa esistente a Genova. Alleanza peraltro che – voglio sottolinearlo – ha permesso alla coalizione di ottenere a Genova il miglior risultato sperimentato alle elezioni comunali della primavera scorsa. Curiosamente, anziché aprirsi un dibattito e un confronto, anche duro ma onesto e franco, su questi temi vitali, a cavaliere fra politica e cultura, il presidente ha scelto d’imperio di troncare ogni comunicazione e di chiudere ogni canale di dialogo con il sottoscritto: di fatto, con la scusa che delle cose politiche decideva il partito, non vi è stato alcun dialogo, né si è apertamente chiesto conto della mia prospettiva, vuoi anche per mostrarmi dove eventualmente fossero gli errori. Non si è avvertita l’esigenza, per quel che ne so, di ascoltare la mia prospettiva e le mie ragioni, benché da statuto fossi il teorico del partito. La sola esigenza avvertita, anzi, pare essere stata quella della mia epurazione con il mancato invito al secondo congresso nazionale del partito (Napoli, luglio 2022) e, di più, con la modifica dello statuto centrata sulla cancellazione di ogni riferimento alla mia figura e alla mia visione. Insomma, sul dialogo socratico hanno ancora una volta prevalso le due istanze intrecciate della mitopoiesi avulsa dal principio di realtà e dell’autoritarismo epurativo. Non voglio qui dilungarmi sul fatto – certo non trascurabile – che la modifica dello statuto è stata a Napoli approvata mediante il metodo dell’applauso plebiscitario, perché di certi abomini risulta penoso financo parlare. Tuttavia, colgo l’occasione anche per rettificare la prosaica questione, così tante volte impudentemente sollevata dal Presidente, relativa al contratto che regolava il nostro rapporto. Per come è stata presentata dal Presidente, con litania quasi ossessiva e con l’automatismo del riflesso pavloviano, spariva sempre con incredibile coincidenza la realtà dei fatti. E allora mi pare doveroso richiamare per cenni quella realtà fattuale. La collaborazione nacque nel settembre 2019, a Milano, allorché il presidente insieme con quelli che con lui sarebbero stati poi i fondatori di Vox, successivamente evoluta in Ancora Italia, mi pregò con tono postulante di fondare insieme a lui il partito. E, quando garbatamente declinai l’invito, mi propose se non altro di collaborare culturalmente in qualità di teorico e ideologo. Circa il tono postulante e il debito umano e teorico contratto con la mia persona dal presidente oltre che dal partito resta, a mo’ di documento indelebile, il video facilmente reperibile in rete del primo congresso fondativo di Vox a Roma nel settembre 2019, segnatamente nell’intervento del presidente; intervento nel quale peraltro, con tono orante, mi nomina “presidente onorario”. Non, si badi, “consulente a contratto”: bensì, appunto, “presidente onorario”. E lo asserisce non prima di aver testualmente affermato: “noi abbiamo nei confronti di Diego un lavoro di riconoscenza molto profondo”. Non mi dilungo poi su come, contrariamente alla sbalestrata e non innocente narrazione che mi svilisce a “consulente esterno del partito” (a proposito di “lavoro di riconoscenza molto profondo”!), l’evoluzione da Vox ad ancora Italia è avvenuta sotto l’egida, le garanzie e l’operato del sottoscritto e dell’avvocato Mario Gallo: là dove il presidente, in quella fase, era completamente delegittimato alla luce della decomposizione e, dirò di più, di fallimento operativo del trio della dirigenza nazionale di cui egli era parte. Non pretendo certo la gratitudine e la riconoscenza pure promessa, che sono del resto cose che possono provenire solo da spiriti grandi, ma se non altro il rispetto della realtà fattuale: fui io nei primi mesi del 2021 a tendere generosamente la mano al presidente accasciato al suolo dopo il fallimento della dirigenza del triumvirato di Vox; fui ancora io a offrirgli magnanimamente una seconda opportunità, rimettendolo in sella dopo la rovinosa caduta. Di tutto questo, curiosamente, nella sua ricostruzione fantasiosa e creativa non vi è traccia. Tocco questo tema prosaico del contratto per correttezza e per spirito di completezza, ma poi anche perché mi corre l’obbligo di confutare una narrazione mendace che troppo ha circolato impunemente in questi mesi: il partito non ha pagato il sottoscritto come “consulente esterno con parcella”, come volgarmente e maliziosamente è stato fatto credere. Semplicemente, il partito mi ha riconosciuto un impegno di conferenze filosofiche nonché, di fatto, la disponibilità a usare la mia immagine in qualità di teorico, secondo quanto anche chiarito dallo statuto: ove si precisava che il partito si riconosceva nelle mie idee filosofiche. Come possa essere un consulente esterno con parcella il teorico sulle cui idee, da statuto, il partito si fonda resta un enigma dalla difficile soluzione. Ugualmente, resta un mistero come possa essere un consulente esterno con parcella colui il quale nel 2019 era celebrato come “presidente onorario”, come punto di riferimento culturale e, ancora, colui il quale ha guidato la transizione da Vox ad Ancora Italia sul palco del congresso del febbraio 2021. Anche per rimuovere ogni ambiguità su questo tema, annuncio e ufficializzo la fine di ogni mia collaborazione, sic stantibus rebus, con Ancora Italia: mi pare oltretutto corretto e, di più, doveroso verso gli iscritti e i simpatizzanti, che ad oggi non hanno avuto notizie, anche alla luce del fatto che contrariamente agli annunci pubblicamente fatti alla direzione nazionale dal Presidente non è stato diramato nessun comunicato ufficiale che desse conto della mia assenza al Congresso di Napoli e delle sue ragioni. Insomma, un’epurazione silenziosa, della quale nessuno ha avuto il coraggio e l’onestà intellettuale di dare conto all’esterno e all’interno del partito. A ciò si aggiunga che a Napoli simpatizzanti e tesserati si sono in alcuni casi sentiti dire che la mia assenza era dovuta al fatto che mi trovavo in vacanza. Anche questo è capitato, peraltro in coerenza con lo stile delle narrazioni mitopoietiche di cui dicevamo. Più che mai doverosa dunque questa mia precisazione, che peraltro previene la costruzione di qualche altra possibile narrazione immaginaria come le precedenti. Tengo altresì a precisare che questo anno e mezzo di lavoro culturale e politico è stata per me un’esperienza arricchente e complessivamente positiva, che spero di poter presto o tardi riavviare su nuove basi. Un ringraziamento particolare mi pare doveroso rivolgere alle tante persone, meglio amici, che mi hanno seguito per fedeltà alle idee e per condivisione dei principi filosofici, pur sopportando umiliazioni e imposizioni dall’alto non condivise. Condizione inaggirabile affinché la ripartenza possa avvenire è la presenza di una diversa figura di presidente, rispettosa della cultura e ancor più delle relazioni umane, oltre che della vita democratica di una struttura che ad oggi tende a essere amministrata in forma autocratica e in assenza di dialettica concertata e dibattuta. Una figura che, oltretutto, sul binomio di mitopoiesi in assenza di realtà e autoritarismo in assenza di autorevolezza sappia far prevalere quello del senso critico realistico e del dialogo democratico. Finché sarà condotta nella maniera attuale, con questa visione abborracciata e piegata alla rincorsa di fini elettorali effimeri, Ancora Italia non avrà possibilità di successo: anche perché il successo si crea nel tempo e con il lavoro paziente e molecolare, con una progettualità strutturata su solide radici e con una visione complessiva dell’uomo e della società, del mondo e delle relazioni internazionali. Il mio, dunque, non è un addio ma un arrivederci, motivato dalle ragioni che ho esplicitato: e naturalmente anche dal fatto che non intendo abbinare oltre il mio volto e la mia credibilità a un progetto che, con le attuali basi, reputo distante almeno quanto Marte da Plutone dalla mia visione delle cose oltre che destinato all’insuccesso. Un caro saluto a tutti e buona fortuna.

Diego Fusaro

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