È morto Gorbaciov. Pace all’anima sua, con il massimo rispetto dovuto a chi se ne va, quando anche si tratti di un nemico, come egli in effetti fu. In ciò bisogna distinguersi da chi invece giubila vigliaccamente per la morte altrui. Micrupsuchia, avrebbe detto Aristotele: cioè “piccineria d’anima”. Ciò non deve però neppure indurre a cambiare il giudizio sulla figura in questione: e nel nostro caso, si tratta di un giudizio profondamente negativo, al netto del rispetto per la perdita di una vita umana. Gorbaciov salutò come perestroika ciò che invece era la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la scellerata apertura al mondo unipolare atlantista degli anni 90. La fine dell’Unione Sovietica di cui Gorbaciov fu responsabile anche se non esclusivo fu una catastrofe a tutti gli effetti: una catastrofe non solo per il popolo Russo, le cui aspettative di vita negli anni a venire sarebbero scese di sette anni, grazie al tragico passaggio al nuovo ordine liberale delle privatizzazioni e della graduale subalternità russa a Washington continuata anche con Eltsin. Privatizzazioni selvagge, distruzione e smantellamento del sistema sociale sovietico, in posizione delle logiche neo-canannibaliche della concorrenza, immiserimento delle classi lavoratrici, rapida conversione dei burocrati e dei dirigenti di partito in nuovi cleptocrati e oligarchi portatori di incoscienza felice. In verità si trattò di una tragedia generale per gli equilibri del mondo intero e per le classi lavoratrici dell’intero pianeta: sul piano geopolitico, come già accennato, fu il cominciamento del monopolarismo imperialista atlantista non più contenuto dalla potenza sovietica (riesplosione incontenibile dei conflitti, bombardamenti umanitari e interventismi etici, missili democratici ed embarghi terapeutici made in USA); sul piano socioeconomico, fu l’inizio della aggressività sempre più disinibita del capitale che, venuto meno il suo rivale storico socialista, poteva ora passare all’incasso aggredendo frontalmente le classi lavoratrici e passando anche ad aggredire i ceti medi. Da quel momento principia l’immiserimento crescente dei ceti medi e delle classi lavoratrici di tutta Europa, grazie all’aggressività incontenibile dell’aristocrazia finanziaria e del patriziato cosmopolitico no border. Insomma, con la fine dell’Unione Sovietica prodotta da Gorbaciov si ebbe una tragedia di portata epocale, che solo gli araldi del capitalismo, vale a dire le classi dominanti senza frontiere, la plutocrazia neoliberale, poterono sognarsi di celebrare come libertà. Libertà fu soltanto per il capitale e per le sue classi di riferimento, effettivamente liberate da quella potenza che, pur con tutti i suoi limiti, aveva contenuto l’espansione illimitata del capitale stesso. Questa tragedia legata all’iglorioso crollo dell’Unione Sovietica è peraltro condensata in due immagini che riguardano proprio lui, Gorbaciov: l’anno prima rispetto all’implosione del socialismo reale, Gorbaciov sfilava vestito di tutto punto per la celebrazione della rivoluzione d’ottobre; già l’anno seguente, a perestroika avvenuta, lo stesso Gorbaciov era il protagonista di una pubblicità di Pizza Hut degli americani. Come si diceva, se la morte di una persona umana chiede rispetto, l’onestà intellettuale per parte sua chiede un giudizio rigoroso.
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