Vi è chi lo ha chiamato “neoliberismo progressista” (Nancy Fraser). Si tratta, in sostanza, del passaggio sinergico del capitalismo a sinistra e della sinistra al capitalismo. E ciò secondo una traiettoria avviatasi con il Sessantotto, quando le battaglie left-oriented presero a orientarsi intorno alla liberalizzazione individualistica, intrecciandosi – fino a fondersi – con quelle della nuova società consumista: abbattimento della famiglia e dell’etica classica, dell’idea di Stato e di religione; tutte istanze che, per la new left, avrebbero dovuto portare alla società dell’avvenire e che invece stavano realmente conducendo nell’impero del consumismo neocapitalistico; quel consumismo per cui tuto deve essere permesso, a patto che si abbia l’equivalente monetario per acquistarlo. Il capitalismo stesso, da borghese, si faceva postborghese, basato sul progressismo e sulla liberalizzazione dei consumi e dei costumi. Da quel momento, il “nuovo spirito del capitalismo” avrebbe unito inscindibilmente elementi di destra economica liberista e di sinistra culturale progressista. Per questo motivo, non è oggi possibile “superare il capitalismo a sinistra” (Michéa), proprio come ovviamente non è possibile superarlo da destra. Per superarlo, occorre forgiare nuove categorie del pensiero e della filosofia politica.
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