Che fare? Lo domandano in molti, invocando una risposta che sembra non arrivare da nessuna parte. Il da fare dovrebbe essere direttamente conseguenza della comprensione dei fatti, che ancora manca. I più, e non parlo che dei migliori, ancora non hanno capito che il problema primario, la matrice di tutte le contraddizioni, si chiama capitalismo. Che non è malato, per il semplice fatto che è esso stesso la malattia. Un sistema di produzione e di governo delle vite e delle coscienze che risulta straordinariamente adattivo e in grado di far presa anche su chi tutte le ragioni avrebbe per detestarlo. Non sarebbe forse ogni pancia vuota l’argomento più forte contro il capitalismo? Non sarebbe forse la volgarità quotidiana che prende forma in questo regime di esistenza l’elemento più direttamente visibile per contestarlo? Non è pura connivenza con l’insensatezza e con l’orrore la docile accettazione di un modo di produrre e di vivere che trasforma in scena quotidiana la lotta per la sopravvivenza e la riduzione dell’umano a merce fra le merci? Mi sono varie volte domandato il perché di questo successo davvero inspiegabile. Ho provato a elaborare alcune risposte. Tra le quali una mi pare particolarmente persuasiva, dacché fa leva sull’antropologia di ognuno di noi: il capitalismo vince e ci vince perché non ci chiede altro che di essere la parte peggiore di noi. Cinici e individualisti, possessivi e autocentrati, avidi e spregiudicati. Insomma, tutto ciò che ogni religione che si rispetti e ogni etica classica hanno condannato inappellabilmente. Tant’è che i più, e non parlo anche qui che dei migliori, contestano singoli aspetti del capitalismo, suoi epifenomeni e sue conseguenze, siano essi una pandemia o una guerra. Ma quasi mai contestano il capitalismo stesso, vuoi perché lo ritengono in fondo buono o comunque migliore di tutto ciò che c’è stato e che potrebbe esserci, vuoi perché sono talmente abituati ad esso da non vederlo nemmeno più, considerandolo alla stregua dell’aria che respiriamo.

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Di admin