Anche la critica dell’ordine dominante deve avere i suoi modi, le sue regole e il suo rigore. Uno degli errori principali che vengono generalmente commessi sta nel pensare e nel far pensare che tutti i nostri guai derivino da una perfida élite, più o meno ristretta, in assenza della quale il mondo splenderebbe sotto i raggi dell’umanità e della ragione. Un simile modo di procedere è affetto, oltre che da una palese ingenuità, da una pressoché totale incomprensione della struttura obiettiva dei rapporti di forza del modo capitalistico della produzione e delle sue contraddizioni obiettive. Il risultato grottesco che produce un tal modo di procedere della critica può così condensarsi: il modo capitalistico della produzione sarebbe di per sé perfetto, se solo non ci fosse sulla plancia di comando o nelle segrete stanze del potere una perfida élite, corrotta e maligna. La concezione materialistica della storia messa a punto da Marx e dalla eterogenea galassia dei suoi allievi ci mette al riparo da questo modo banale e pur diffuso di pensare, dacché ci insegna che la contraddizione capitalistica, obiettivamente determinata, si rimuove superando dialetticamente il capitalismo stesso e non solo cercando di rimuovere le élites in cui di volta in volta esso si esprime. Per semplificare, Giorgio Soros è un prodotto del capitalismo e non è il capitalismo a essere un prodotto di Giorgio Soros. Quest’ultimo è un nemico di classe nella misura in cui in lui si esprime – senza in lui risolversi – il capitalismo. Larga parte della critica banalizzante di cui si diceva attacca quotidianamente Soros senza dire pressoché nulla sui rapporti di forza obiettivi e sulla obiettiva contraddizione del modo capitalistico della produzione.

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