Nature

LA FILOSOFIA SERVE?

“Impossibile è conoscere l’opinione falsa prima che si sia adeguatamente afferrato che cosa è mai scienza” (Platone, Teeteto)





La filosofia serve a qualcosa? In tanti lo domandano. Si dice spesso che la filosofia è quella cosa con la quale e senza la quale il mondo resta comunque tale e quale. Frase logora e, in fondo, facilmente smentibile: giusto per addurre un esempio, sarebbe forse mai stata possibile la Rivoluzione francese senza i princìpi filosofici dell’illuminismo? A ogni modo, la domanda con cui ci si interroga sull’utilità della filosofia è intrinsecamente sbagliata. E lo è in ragione del fatto che – figlia del nostro tempo e della sua universale mercificazione – pretende di risolvere la bontà e la verità di ogni ente (filosofia compresa) nella sua utilità. Come se il senso di tutto, indistintamente, si esaurisse nel nesso del servire-a-qualcosa. Insomma, vi sarebbe già di che ragionare filosoficamente sulla domanda da cui abbiamo preso le mosse e sui suoi presupposti specifici: non è una domanda neutra, essendo invece figlia di un tempo – il nostro – che pretende di ridurre ogni ente alla sua utilizzabilità e magari anche al suo valore economico. A chi ci domanda a cosa serve la filosofia si potrebbe, allora, rispondere che essa serve anzitutto a evitare di porre domande come questa. La filosofia, in quanto amore per il sapere (è la sola disciplina che abbia l’amore nel suo nome), non mira se non al sapere fine a se stesso, senza utilità e senza tornaconto. Nella Metafisica, Aristotele spiega che la superiorità della filosofia su ogni altra figura del sapere risiede proprio in questo: nel fatto che essa soltanto è sciolta dal vincolo del servire, che è proprio di chi non è libero. E sempre Aristotele spiega che la filosofia nasce dal desiderio di affrancarsi dall’ignoranza. La filosofia, ancora, non riguarda la certezza scientifica, ma la verità dell’Assoluto: e, per questo, è “scienza della verità” (Aristotele) e “sapere della Totalità” (Hegel). Anche su queste basi, oltretutto, si capisce l’inimicizia vocazionale tra la filosofia e il potere, in generale, e il potere della civiltà capitalistica, in particolare: la filosofia spiace al potere, dacché è ricerca della verità e, in quanto tale, necessariamente non asservita ai reticoli del dominio e della cortigianeria. E, a maggior ragione, è osteggiata dal potere tecnocapitalistico, giacché si sottrae tenacemente al nesso del do ut des e della utilizzabilità a cui esso aspira a ridurre ogni ente. Di più, la filosofia, come si diceva poc’anzi, ci sveglia dal “sonno dogmatico” di un mondo in cui si presuppone che verità e bellezza, bontà e giustizia si risolvano nell’utile. Ed è, di conseguenza, la via regia per la liberazione dal potere stesso. Il mito della caverna di Platone ne è l’espressione forse più alta nell’intero canone occidentale: liberarsi da catene simboliche e materiali mediante l’asperrima via della ricerca del vero. Che al potere la filosofia spiaccia si evince, ancora, dal fatto che la filosofia si caratterizza per un’essenza intrinsecamente democratica: in filosofia “vince” non chi è più ricco o più potente, ma chi dimostra con la ragione il vero. E, oltretutto, non vi sono mai “sconfitti”, dacché anche chi viene confutato vince, liberandosi dall’errore. Insomma, la filosofia non serve, nell’accezione utilitaristica dell’espressione, e anche in ciò sta la sua grandezza. Tutte le scienze saranno più utili, ma nessuna sarà più necessaria. Se, come scrive Aristotele, siamo l’animale dotato della ragione, allora è filosofeggiando che esprimiamo massimamente la nostra essenza. E ci rendiamo simili a Dio, la cui essenza – sono sempre parole di Aristotele – è il “pensiero di pensiero”.

Citazioni

"I morti e inconsci fenomeni naturali non sono se non dei conati falliti della natura per riflettere sé medesima; la cosiddetta natura morta è soprattutto un'intelligenza immatura; perciò nei suoi fenomeni già traluce ancora allo stato inconscio, il carattere intelligente. La natura attinge il suo piú alto fine, che è quello di divenire interamente obbietto a sé medesima con l'ultima e la piú alta riflessione, che non è altro se non l'uomo, o, piú generalmente, ciò che noi chiamiamo ragione; in tal modo per la prima volta si ha il completo ritorno della materia a se stessa, e appare evidente che la natura è originariamente identica a ciò che in noi si rivela come principio intelligente e cosciente". (F.W.J. Schelling, "Sistema dell'idealismo trascendentale")
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