Puntuale come un orologio elvetico, parte oggi il festival della canzone italiana di Sanremo. Come ogni anno, il sottoscritto trascorrerà altrimenti il suo tempo, nella fattispecie leggendo di filosofia. Il festival della canzone di Sanremo rappresenta il non plus ultra della distrazione di massa cara al potere. La variante postmoderna del panem et circenses dei romani. Divertimento nell’accezione sottolineata da Pascal nei suoi “Pensieri”: se devertere, distrarsi rispetto alla realtà e alle sue contraddizioni, ai suoi traumi e ai suoi conflitti. Per un’intera settimana, gli strateghi del consenso e i padroni del discorso potranno tirare il fiato, poiché i problemi reali del mondo contraddittorio di cui siamo abitatori resteranno integralmente fuori dai radar. Perché, si sa, nella civiltà dello spettacolo è ciò che appare. E nulla esiste se non ciò che appare. Oltre a questa funzione, ve ne è un’altra svolta da Sanremo: la diffusione a tambur battente del pensiero unico di glorificazione dei rapporti di forza della globalizzazione neoliberale. Una grande ortopedizzazione di massa volta a far sì che gli internati dell’antro platonico amino le proprie catene e si educhino a comprendere la splendente razionalità di ciò che quotidianamente li fa soffrire: celebrazione della globalizzazione e dei suoi stili di vita, dissacrazione del sacro modalità Achille Lauro e santificazione dell’eroticamente corretto pansessualista e deregolamentato. Insomma un poderoso dispositivo di imposizione mediatica delle categorie mentali e psicologiche funzionali allo status quo.

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Di admin