IDEOLOGIA
“Le idee dominanti sono le idee delle classi dominanti”
(K. Marx e F. Engels, Ideologia tedesca)
A cura di Diego Fusaro Il concetto di ideologia si rinviene la prima volta in Francia, a cavaliere tra XVIII e XIX secolo: gli “idéologues” – così li chiamò con disprezzo Napoleone – erano un eterogeneo gruppo di intellettuali legati alla cultura illuminista: ritenevano di poter spiegare la concreta formazione delle nostre idee a partire dalla sfera del sensibile. In questa prima accezione, l’ideologia sarebbe, in sostanza, la scienza che spiega la genesi materiale delle nostre idee. Dopo gli “idéologues”, il concetto muta significato e assume la connotazione di spettro, a cui facevo prima riferimento: con Marx ed Engels, “ideologia” è, in generale, la produzione mentale che rispecchia fedelmente e santifica il presente e i suoi asimmetrici rapporti di potere. In sintesi, l’ideologia presenta una duplice prerogativa: in primo luogo, riporta alla condizione della natura ciò che, invece, è storico e sociale. Dice, ad esempio, che le crisi economiche o le leggi della società capitalistica, lungi dall’essere un prodotto storico e, come tali, passibili di trasformazione, sono naturali: la natura, in ciò distinguendosi dalla storia e dalla società, deve essere semplicemente rispecchiata così com’è, senza poter essere né criticata, né trasformata. Chi si sognerebbe, in effetti, di criticare l’andamento dei pianeti o di intervenire per mutare le eclissi? Ricondurre a questo stesso statuto naturale la società e l’economia significa dichiararle immutabili e non criticabili, degne solo di essere accettate e registrate così come sono. La seconda prerogativa dell’ideologia è – così vorrei definirla – la falsa universalizzazione che essa opera: l’ideologia, infatti, presenta sempre come valido per l’intero ciò che lo è solo per la parte. In tal maniera, generalizza falsamente gli interessi della parte, contrabbandandoli per interessi della collettività: è questo, tra i tanti, il caso di quanti celebrano la già ricordata globalizzazione er il sistema della produzione capitalistica come se fossero un bene per tutti, quando lo sono solo per le classi più facoltose. È in questo senso che l’ideologia si presenta come il fantasma della verità, come l’ombra che si confonde con essa: vero è ciò che permette di essere pensato come realmente universale (ad esempio, l’abolizione della schiavitù e della tortura), mentre è ideologico ciò che si presenta universale, come il vero, ma che in realtà è sempre e solo un particolare falsamente universalizzato (pensiamo, ad esempio, al lavoro precario, esaltato come generalmente buono). Così concepita, l’ideologia è, allora, la visione che giustifica l’ordine dei dominanti, presentandolo come naturale (dunque come immutabile e fisiologico) e come valido universalmente per tutti (dunque, come buono anche per chi, in verità, tutto l’interesse avrebbe a contrastarlo in nome del vero universale). È questa, in fondo, la tesi che, prima di Marx, esprimerà Platone per bocca di Trasimaco nel primo libro della “Repubblica”: “il giusto è l’utile dei più forti”, i quali si adoperano per trasformare il loro dominio in naturale e buono in generale. Accanto ai due significati storicamente assunti dalla parola ideologia (come scienza delle idee e come mistificazione del reale a beneficio dei più forti), ve ne è un terzo: ideologia significa – soprattutto nel Novecento, il secolo delle ideologie – visione del mondo, grande narrazione in grado di mobilitare politicamente. Ad esempio, Gramsci sostiene che l’ideologia è una filosofia che si fa visione politica in grado di mobilitare le masse sul piano politico. Credo che l’epoca in cui viviamo possa verosimilmente definirsi come post-ideologica e, insieme, come massimamente ideologica. Si tratta di una contraddizione solo apparente. È post-ideologica, giacché, dopo il 1989, sono implose le grandi ideologie che, nel Novecento, avevano mobilitato politicamente le masse in vista di futuri diversi e migliori. È, però, un’epoca massimamente ideologica, secondo quella che ho individuato come seconda accezione del termine: dopo il 1989, infatti, prevale come unica visione, universalmente condivisa, quella dei più forti, che riescono con successo a contrabbandare l’ordine che li vede dominanti – la globalizzazione capitalistica – come naturale e come buono per tutti. Se la filosofia è ricerca del vero, allora essa non può non essere anche critica dell’ideologia, ossia del falso che aspira a essere accettato come vero. |