Nature

TEMPO

“Che cosa è dunque il tempo? Se nessuno me ne chiede, lo so bene: ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so”. (Agostino, Confessioni)






A cura di Diego Fusaro

Si tratta di uno dei concetti su cui da sempre si affatica maggiormente la riflessione. Mi riferisco al problema del tempo, la cui difficoltà di definizione è stata magnificamente evidenziata da Sant’Agostino: finché non mi chiedi che cosa sia il tempo, in cuor mio ne conosco l’essenza. Ma se mi esorti a definirlo, allora mi trovo davvero in difficoltà. Nella sua definizione più generale, e trascurando le diversissime dimensioni del tempo su cui gli studiosi hanno portato l’attenzione, potremmo sostenere che il tempo è il divenire così come lo intuiamo. È, in altri termini, la dimensione nella quale noi concepiamo e misuriamo il trascorrere degli eventi: trascorrere in forza del quale operiamo la distinzione tra il passato, il presente e il futuro, che del tempo sono le tre dimensioni essenziali. Nella Fisica, Aristotele ha scritto che il tempo è “il numero del movimento secondo il prima e il poi”: con questa definizione, che a tutta prima può apparire bizzarra, egli intende sostenere che il fondamento stesso del tempo è il movimento e, dunque, il divenire. Il tempo, dunque, è l’ordine misurabile del movimento degli oggetti colti nel loro divenire secondo il prima e secondo il poi, ossia secondo la successione temporale. A ben vedere, pare che vi sia nel tempo qualcosa di paradossale. Per un verso, infatti, sembra che a esistere sia solo il presente. Il passato è ciò che non è più, e il futuro è ciò che non è ancora: di conseguenza, solo il presente è in senso proprio. Le altre due dimensioni temporali, invece, esisterebbero solo come ricordo delle cose che sono state e che ora non sono più (il passato) e come attesa delle cose che potranno essere e che adesso non sono ancora (il futuro). La nostra anima, allora, agirebbe come una sorta di spago, che si protende ora all’indietro, ricordando le cose che furono, ora in avanti, anticipando con l’aspettativa le cose che saranno. Eppure, per un altro verso, pare che le cose stiano in maniera diametralmente opposta e che, in senso proprio, il presente non esista. Pensaci bene, Epicuro: in fondo che altro è il presente, se non l’istante, che immediatamente sopprime se stesso, del continuo passaggio del futuro al passato? Non è forse vero che il presente è solo il punto del continuo incontro tra le cose che ancora non erano e quelle che non sono più? Il presente come tempo dell’accadere, in effetti, sembra avere questo di più tipico: esso è il luogo in cui l’evento che ancora non era (e che, dunque, era futuro) si compie e subito passa alla dimensione delle cose che non sono più, ossia al passato. I greci raffigurano mitologicamente il tempo come un dio dal nome Cronos, che è, appunto, il nome ellenico che dice il tempo (da cui il nostro cronometro, il “misuratore del tempo”): Cronos ha il brutto vizio, nella mitologia, di divorare i suoi figli. Esso rappresenta, così, il movimento più tipico del tempo: che letteralmente divora i suoi figli, ossia gli istanti che si succedono e che, nel loro accadere, si spengono immediatamente nel passato. Tra i tanti paradossi che contraddistinguono la questione del tempo, ve n’è ancora uno che vorrei per sommi capi prendere in esame. Riguarda la distinzione tra il tempo quantitativo e il tempo qualitativo. In prima approssimazione, parrebbe che di tempo ve ne sia uno soltanto, uguale per tutti e calcolato con precisione scientifica dagli orologi che portiamo ai polsi o dai dispositivi elettronici che sempre abbiamo con noi. Eppure, per quanto ciò possa apparire strano, il tempo non scorre sempre allo stesso modo, anche se, in termini meramente quantitativi, esso è sempre lo stesso. Per esprimere il concetto in forma immediatamente chiara: non è forse vero che un’ora trascorsa nella gioia è, sul piano qualitativo, completamente diversa da un’ora passata nella sofferenza? Eppure, sul piano quantitativo, si tratta della stessa unità temporale! Proprio in ciò risiede il paradosso: la stessa unità di tempo, ossia – supponiamo – un’ora, può sembrare qualitativamente più lunga o più breve sul piano qualitativo, ossia nella dimensione della percezione fattane dal soggetto, a prescindere dall’oggettiva misurazione scientifica. Queste e molte altre sono le questioni, non di rado paradossali, connesse al problema del tempo.

Citazioni

"La mente umana è inchinata naturalmente co' sensi a vedersi fuori nel corpo, e con molta difficultà per mezzo della riflessione ad intendere se medesima". (G. Vico, "Principi di scienza nuova")
(Visualizzazioni 192 > oggi 1)